L’ultimo lunedì è di un anno fa, il 9 marzo. Non c’era più nemmeno un posto al bancone del bar per ascoltare la Woody Allen and The Eddy Davis New Orleans Jazz Band al Carlyle. La pandemia sembrava ancora lontana a guardarla da New York, ma la situazione mutò in fretta, in un paio di giorni. Trump bloccò i voli dall’Europa, i turisti sparirono, la città si svuotò.
Faceva ancora freddo a Manhattan il nove marzo del 2020. Pochi mesi prima era uscito “Un giorno di pioggia” a New York. Molte scene erano dedicate proprio al locale che il regista ha adottato ormai da anni, tana in cui rifugiarsi a suonare quel jazz che ama smisuratamente, almeno quanto Manhattan. Perché se è vero che quel film è un omaggio alla città, lo è altrettanto che accarezza le atmosfere jazz dell’Upper East Side, esaltandone note e ambienti.

Da quel nove marzo, e dal suo ultimo concerto, è passato un anno. In mezzo c’è tutto ciò che ha travolto il mondo intero, tra contagi, morte e saracinesche abbassate. Il Café Carlyle è chiuso da allora. “Non abbiamo ancora una data di riapertura – taglia corto gentilmente Jennifer Cooke, che ne dirige la comunicazione – ma speriamo sia presto”. Orfano delle serate con Woody Allen, ma anche dei tanti artisti che negli anni si sono esibiti in quello che viene considerato tra gli otto locali jazz migliori del mondo, il Carlyle non ha voluto spegnersi del tutto. Ha trasferito sui social la sua essenza, regalando al suo pubblico le note delicate del compositore e pianista americano Earl Rose, con brevi concerti serali in diretta Instagram. Vincitore dell’Emmy Award, Rose ha realizzato diverse colonne sonore, tra cui quella del documentario di Matthew Miele del 2018 “Always at the Carlyle”. Una pellicola che con interviste, video d’epoca e testimonianze ripercorre la storia dell’Hotel tra la 76ma e la Madison che ospita l’omonimo Café, i ricordi di persone e personaggi di fama internazionale che lo hanno frequentato, da George Clooney a Naomi Campbell, da David Bowie a William e Kate, fino a Roger Federer.
Al Café Carlyle è capitato di vedere Bono degli U2 esibirsi all’improvviso o che Ornella Vanoni facesse il tutto esaurito. E poi al lunedì c’era lui, Allen, quel Woody così tanto appassionato di jazz da rincorrerlo per tutta la vita. Consapevole di esserci riuscito a metà. Perchè bisogna ammetterlo, a reggere i concerti di fatto è la sua band. Lui entra, sistema il clarinetto in silenzio, poi si siede e socchiude gli occhi. Ascolta. E quando tocca a lui sembra ancora un principiante, nonostante ce la metta proprio tutta.
Chissà se gli mancano i suoi lunedì. E’ dagli anni ’70 che non ne perde uno, salvo nei periodi in cui impegnato a girare.“Da quell’ingenuo babbeo che ero – scrive nel suo A proposito di niente – non capivo che ero destinato, malgrado tutto il mio entusiasmo e il mio amore per la musica, a essere una nullità, ascoltato e tollerato per via della mia fama cinematografica”. Sarà. Ma nonostante tutto le atmosfere di quei lunedì avevano un loro perchè.
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