Sono lontani i tempi di “Almeno tu nell’universo”, “L’immensità”, “Piazza grande”, “Ti regalerò una rosa”, “Perdere l’amore”, e potrei continuare per ore. A dirla tutta è proprio finita l’era di “Una vita spericolata” e di “Vacanze romane” ma, soprattutto, quella delle vacanze.
Perché, se è vero che il Festival è un “carrozzone che va avanti da sé con i suoi fanti, le regine e i suoi re”, è pur vero che non è un carrozzone funebre, ma in tempo di pandemia avremmo avuto bisogno più di musica per l’anima che di battute comiche, e di sicuro avremmo fatto a meno dei palloncini con gli smile alla Forrest Gump, men che meno della lambada danzata da Amadeus e Fiorello. Tale innocente ma neanche troppo gag, all’unanimità poco apprezzata, mi ha ricordato i tempi del liceo, quando (G. C.), il meno disciplinato dei miei compagni di classe, approfittava di una distratta, molto distratta insegnante di Filosofia per scimmiottare la lambada alle sue spalle o meglio, dietro il suo sedere. E quella lambada non mi piaceva già da allora.
Fiorello e Amadeus, onestamente, ce l’hanno messa proprio tutta, ma gli italiani non hanno lo spirito giusto per divertirsi. Non adesso, almeno. Nell’anno del “celafaremo” e “Iorestoacasa”, infatti, il festival perde – non a sorpresa – quasi due milioni di spettatori rispetto all’anno precedente.
Ma non bastano le bischerate fuori luogo e fuori tempo sull’Ariston a giustificare un tale tracollo.
Diciamocela tutta, la qualità delle canzoni è davvero bassa quest’anno, fatta eccezione per qualche marziano. Mancano i grandi autori che hanno scritto la Storia della Musica italiana, manca quell’atmosfera del ‘Sanremo che fu’ che ci faceva fare le 2, anche le 3 di notte per una settimana intera, a casa come da George La Nuit, locale della città dei fiori ritrovo di discografici, produttori e artisti in gara e non, ma quello che manca più di tutto alla manifestazione sono le voci, tanto è vero che basta ascoltare Orietta Berti, che ha la stessa età della kermesse canora, per comprendere che no, non ci stanno neanche quelle, e neppure gli artisti dal momento che la Berté, coetanea della dolce ed elegante signora suddetta, diventa la star applauditissima della manifestazione ligure.
E poi mancano le novità che di certo i talent non sfornano, mancano i professionisti “gavettati”, quei musicisti e cantanti forgiati dai tour con le automobili in fila al traghetto di San Giovanni a 40 gradi e senza aria condizionata, mancano i veri artisti tra le nuove generazioni. Fatta qualche dovuta eccezione, una per tutti CasadiLego, che quando è venuta alla luce invece del biberon ha trovato un microfono. Non ci mancano invece gli outing della bella e brava Elodie sullo stile ‘nato ai bordi di periferia’, già visti con Eros Ramazzotti in un lontano festival del 1987 e con una media di 15.950.000 spettatori (superata solo dall’edizione del 1995 che vide vincitrice la celeberrima “Come saprei”). Dettagli.
Un pout pourri di canzonacce e urli, rossetti dark, cosce senza farfalline ormai tutte in testa alla Loredana nazionale, gossip e fantapolitica, qualche artista redivivo che comunque ascoltiamo con piacere data la situazione, e piume e quadri d’autore a firma di Achille/Apollo Lauro che almeno ci destano tra uno sbadiglio e l’altro.
Ci sono quei momenti solenni però che sono puro balsamo per il cuore, come la performance de Il Volo e il loro omaggio al grande Ennio Morricone, con la direzione d’orchestra del figlio Andrea. E ti accorgi che con quei tre minuti di poesia hai perdonato tutto al Festival, anche il palloncino a forma di fallo seduto in platea.
Il Festival di Sanremo è lo specchio esatto del nostro Paese che non ha più voglia di sognare, e riempie di aria palloncini che non voleranno. Quasi come ritrovarsi per sbaglio ad una festa con un terribile mal di denti e dover sopportare gli altri che vorrebbero farti divertire a tutti i costi.
ll festival in tempo di Covid, quindi, ci convince poco. Non ha convinto neanche alcuni grandi ospiti che hanno declinato l’invito. A ragione.
Ma al Festival, lo sappiamo, non si può rinunciare. Ve lo dice una che a Sanremo è uscita cento volte dalla porta e cento volte è rientrata dalla finestra. Ci sono i grandi sponsor che pagano l’azienda, e quest’anno anche con tariffe lievitate, dal momento che la gente sta a casa, hai visto mai… C’è Laura Pausini che vince il Golden Globe e va onorata per giusto patriottismo, c’è il compleanno di Lucio Dalla e il 50° anniversario dalla sua partecipazione con la famosa ‘4 marzo 1943’ da celebrare ma, tralasciando tutto il resto, c’è il bisogno impellente e urgente di una boccata di ossigeno per chi con il festival ci campa. Per gli artisti l’Ariston significa visibilità, e la visibilità porta con sé serate, ospitate, lavoro per tutti gli addetti al settore, musicisti, tecnici, sarti, parrucchieri, organizzatori di eventi, manager, uffici stampa, gestori di locali e teatri, e così via. C’è un settore in ginocchio che sta morendo, dimenticato da chi lo spettacolo non fa e non sa, e questa immensa, incommensurabile tragedia ce la ricorda lo Stato Sociale:
Ma la gente tutto questo non lo sa e, pur costretta a casa dal coprifuoco, decide di snobbare il festival e guardarsi un film su Netflix.
Diciamo che Amadeus debba essere applaudito per il coraggio.
Nel frattempo, si apre il sipario sulla sclerosi multipla e la canzone più bella la canta lei, l’attrice Antonella Ferrari con un toccante monologo. E per un momento torniamo tutti umani.
Ma come canta qualcuno, “non c’è niente che sia per sempre”… tranne Sanremo! E noi, al festival, gli vogliamo bene nonostante e comunque, anche se personalmente preferirei una migliore selezione di cantanti e artisti in gara. Magari facendo curare il cast da chi la Musica la fa per davvero. Forse il pubblico a casa userebbe meno il telecomando.
Intanto, baciamo le mani, anzi, il palco dell’Ariston in segno di rispetto come ha fatto Ermal Meta, mentre “il carrozzone va avanti da sé perché tempo per piangere, no, non ce n’è…” canterebbe Renato Zero.