Mi dispiace non aver contato le volte in cui Amadeus nelle ultime due sere del Festival di Sanremo ha detto “bellissime”. “In questo Festival siamo pieni di donne bellissime”, un “bellissima” parola passe-partout appena la co-conduttrice di turno scende la scalinata, “davvero bellissima” per salutare una cantante.
Mi dispiace non aver contato tutte le gag Amadeus-Fiorello di cui avremmo volentieri fatto a meno: quelle che non hanno fatto ridere, quelle goffe come la lambada “ballata” sulla gamba di Fiorello, quelle sessiste “Siamo donne, oltre alle gambe c’è di più” cantata indossando due parrucche con un elastico sotto al mento per non farle volare via.
Ma “Siamo donne oltre alle gambe c’è di più” dovrebbero dirlo, appunto le donne. E invece la giornalista Barbara Palombelli, co-conduttrice della quarta serata che ha decretato Gaudiano con “Polvere da sparo” come vincitore delle nuove proposte, fa un monologo dove dice: “Care ragazze dovete resistere”. E viene da chiedersi, ma resistere a cosa, esattamente? Ad un Festival che va a due velocità e che sembra voler far di tutto per non evolversi, nemmeno sul piano dei diritti?
Io non voglio resistere. Io voglio esistere, voglio vedermi rappresentata in conduttrici che mi assomiglino, che io sia grassa, non abile, nera italiana, anziana, non conforme, queer. Voglio avere una voce che venga ascoltata e non che ripeta a pappagallo altre gag scritte per me. Voglio poter essere androgina, sexy, fuori dagli schemi, elegantissima senza che i giornali titolino che sono “Fuori di seno” se indosso una giacca aperta. Voglio che i fiori li ricevano anche i miei colleghi sul palco. Persino i fiori di Sanremo appassiscono nel perimetro della mattonella dentro alla quale pare di essere state confinate.
C’è un Festival che va a due velocità, come se Furia il cavallo del West dovesse trascinare una carrozza di piombo. Corrono in testa Madame con il suo talento autentico, giovane, fresco, di rottura, quasi incomprensibile secondo schemi stantii. Le fa compagnia La rappresentante di lista. Vorrebbe correre veloce anche Achille Lauro, lo stava facendo bene l’anno scorso, ma diventare la caricatura di se stessi all’interno di un contesto dove ancora i vocalizzi arabi di Mahmood vengono paragonati da Fiorello allo yodel, diventa pura strumentalizzazione.
In un’Italia cambiata come nell’ultimo anno, Sanremo non convince più, perché non innova e nemmeno parla dell’elefante nella stanza, ma cerca di fare spettacolo riempiendo gli spazietti vuoti al suo intorno. Ma se Sanremo quell’elefante, chiamato Cosa siamo diventati dopo il Covid, come ci ha ridotto, come stiamo, cosa non sopportiamo più, l’avesse invece intervistato?
Niente più Fiorello e Amadeus, via, boom, nella vita reale. I cantanti, 20 magari al posto di 26, continuano ad esibirsi all’Ariston, che resta immagine e icona, acustica e palco del Festival, nessuno vuole snaturare ma trasformare semmai Pinocchio in un bambino vero.
Quei palchi e festival e teatri chiusi invece di citarli ogni sera, li apri, ci metti dentro tante conduttrici e tanti conduttori diversi in collegamento con l’Ariston. Smezzi e spartisci il cachet, dai lavoro, coinvolgi. Vai nel piccolo, scavi, racconti la quotidianità, gente comune che ogni anno guarda Sanremo e che quest’anno a Sanremo si racconta, storie di tutti in cui tutti si rivedano. Togli i lustrini, non ti servono quest’anno, fanno salire il nervoso mentre tu lo puoi condividere il nervoso di una situazione senza nemici. Scrivi una lettera collettiva, che ti racconti un Paese e che abbia diversi passaggi del testimone. Un Eurovision in Italia-con-il-Covid-Vision.
E invece Fiorello non fa più ridere quando dice che “non si può più dire niente” e Amadeus in un anno non avrà certo cambiato la mentalità del lodare le donne che sanno stare un passo indietro. La messa di Sanremo continuano a predicarla preti maschi e sembra che gli ultimi anni siano peggiorati, tanto che le conduzioni Clerici, Carrà, Ventura appartengono già a ricordi senza social.
La battaglia per la vittoria quest’anno, già persa sul piano dello show, si gioca su pochi nomi: Noemi per la “rinascita”, Ermal Meta perché è un brano molto sanremese, La rappresentante di lista perché ci convince, Willie Peyote perché provoca non sempre nel modo giusto, Irama perché ha già perso con il Covid, Colapesce Dimartino se fosse vero che chi entra Papa esce Papa, forse Michielin Fedez. O forse qualche outsider voluto con forza dal televoto.
Non ci resta che cantare, che magari ci passa. O forse no.