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December 19, 2020
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L’arte musicale che annulla spazio e tempo per unire contro la discriminazione razziale

"Babylon‌ ‌Ghetto,‌ ‌Renaissance,‌ ‌and‌ ‌Modern‌ ‌Oblivion": il magnifico video concerto musicale prodotto da Salon/Sanctuary della fondatrice Jessica Gould

Stefano AlbertinibyStefano Albertini
Time: 3 mins read

Cos’ha in comune il compositore ebreo Salomone Rossi, nato a Mantova 450 anni fa col movimento Black Lives Matter che nei mesi scorsi ha denunciato la sistemica discriminazione razziale e la violenza della polizia americana nei confronti delle minoranze nere e latine? Molto di più di quello che pensiate, ma diciamo che tutto inizia con un salmo, il 137, uno dei più belli, noti e poetici del salterio. Un salmo che conosciamo senz’altro in tante sue successive incarnazioni, anche se non siamo abituali frequentatori di chiese e abbazie. Comincia con queste parole:

“Là, presso i fiumi di Babilonia,
sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion.
Ai salici delle sponde avevamo appeso le nostre cetre.”

Una veduta di Mantova

È uno dei salmi dell’esilio che esprime il dolore per la libertà perduta, la nostalgia per la patria lontana e il desiderio di rivalsa contro l’oppressore. Nei secoli ha ispirato popoli e persone che si sono trovati in tali condizioni di schiavitù, sfruttamento ed oppressione. Verdi, per il suo Nabucco l’ha trasformato nel coro operistico più famoso di tutti i tempi, quel ‘Va pensiero’ che fu, nel nostro Risorgimento, l’inno ufficioso dei patrioti italiani che volevano scuotersi di dosso il giogo del dominio straniero ed unirsi in un solo popolo. Quasimodo lo prese a prestito per la sua poesia ‘Alle fronde dei salici’, un grido di dolore che saliva dall’Italia straziata dagli orrori della dominazione nazifascista.

Ma Rainey in concert (Photo JP Jazz Archives/Redferns)

E l’esperienza afroamericana contemporanea come si colloca rispetto al salmo 137? E, più in particolare, cos’ha a che vedere Salomone Rossi, violinista e compositore ebreo mantovano, classe 1570, con il musicologo e compositore afroamericano contemporaneo Brandon Waddles, classe 1988?

L’idea di metterli insieme nel video Babylon‌ ‌Ghetto,‌ ‌Renaissance,‌ ‌and‌ ‌Modern‌ ‌Oblivion‌ è della musicologa e soprano Jessica Gould, fondatrice e direttrice di Salon/Sanctuary, una compagnia che produce concerti e spettacoli in cui i confini fra generi musicali, periodi storici e luoghi geografici vengono sistematicamente abbattuti, esaltando il potere unificante, al tempo stesso rivoluzionario e terapeutico della musica.

Jessica Gould

Di Salomone Rossi sappiamo pochissimo, se non che fu un musicista di grande talento che, primo nella storia, usò la polifonia per mettere in musica la preghiera liturgica ebraica. Nacque e visse a Mantova, che ebbe alla corte dei Gonzaga una dei centri più prolifici per la produzione della musica polifonica. Il buon Salomone, pur godendo probabilmente di qualche trattamento di favore rispetto agli altri membri della sua comunità, era parte di una minoranza discriminata e vide, nel corso della sua vita, l’erezione del ghetto di Mantova (1610-12). Allo stesso tempo Salomone veniva guardato con sospetto dai suoi correligionari, ci spiega Jessica Gould, che ritenevano quanto mai inadatta la polifonia alla preghiera di un popolo che, dopo la distruzione del tempio e la diaspora, doveva ritenersi in uno stato di perpetuo esilio e lutto. Solo la difesa del rabbino Leone da Modena che sosteneva che la polifonia fosse una metafora della pluralità di voci degli ebrei della diaspora, permise a Salomone Rossi di continuare a musicare le antiche preghiere del suo popolo con le melodie più innovative del suo tempo.

Dello spiritual composto dal maestro Waddles, Singin wit’ a sword in my han’ non voglio dirvi molto, ma vorrei invitarvi ad ascoltarlo con attenzione e cuore aperto. Sentirete una polifonia ovviamente diversa da quella di Rossi nella quale risuona la pluralità delle voci e delle sonorità che gli africani schiavizzati portarono nel nuovo mondo; riconoscerete l’anelito alla libertà che trovava nella Scrittura la sua più alta legittimazione. Dal ghetto di Mantova ai ghetti delle metropoli americane contemporanee, la musica continua ad essere il linguaggio che porta consapevolezza della propria oppressione e invita ad agire per la propria liberazione.

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Stefano Albertini

Stefano Albertini

Sono nato a Bozzolo, in provincia di Mantova. Mi sono laureato in lettere a Parma per poi passare dall'altra parte dell'oceano dove ho conseguito un Master all'Università della Virginia e un Ph.D. a Stanford. Dal 1994 insegno alla New York University e dal 1998 dirigo la Casa Italiana Zerilli Marimò dello stesso ateneo. Alla Casa io e la mia squadra organizziamo un centinaio di eventi all'anno tra mostre, conferenze, concerti e spettacoli teatrali. La mia passione (di famiglia) rimane però l'insegnamento: ho creato un corso sulla rappresentazione cinematografica della storia italiana e uno, molto seguito, su Machiavelli. D'estate dirigo il programma di NYU a Firenze, ma continuo ad avere un rapporto stretto e viscerale col mio paese di origine e l'anno scorso ho fondato l'Accademia del dialetto bozzolese proprio per contribuire a conservarne e trasmettere la cultura. I was born in Bozzolo (litterally 'cocoon') in the Northern Italian province of Mantova. I obtained my degree from the University of Parma, after which I moved to the other side of the ocean and obtained my Master’s from the University of Virginia and my Ph.D from Stanford. I have been teaching at New York University (NYU) since 1994, and I have been running the Casa Italiana Zerilli Marimò of NYU, since 1998. At the Casa, we organize more than one hundred events annually, including exhibitions, conferences, concerts and theatrical performances. My personal passion, however, continues to be teaching: I created a course on the cinematographic portrayal of Italian history, and one on Machiavelli in its historical context. I also run the NYU program in Florence every summer. I continue to have a close and visceral relationship with my town of origin, and 2 years ago, I founded the Academy of the Bozzolese Dialect to conserve and promote the local culture.

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