Il 12 dicembre 1915 nasceva a Hoboken, New Jersey, il cantante, attore e produttore americano che sarebbe diventato uno dei più celebri e influenti artisti musicali del ventesimo secolo, riuscendo a vendere nel mondo più di 150 milioni di dischi; non solo un’icona, ma uno dei più riconoscibili simboli della cultura statunitense. Il suo nome era Francis Albert, ma tutti lo conoscevano come Frank. Frank Sinatra.
Con una brillante esibizione all’Istituto Italiano di Cultura, Gianluca Guidi ha presentato “That’s Life!”, un vero e proprio tributo alle più belle canzoni rese celebri dall’indimenticabile “The Voice”, aprendo così la settimana del “Peperoncino Jazz Festival – New York Session”, che si svolgerà dal 20 al 26 maggio a New York. La celebre kermesse di musica jazz, il cui direttore artistico è Sergio Gimigliano, ha luogo ogni anno in Calabria ed è giunta alla sua diciottesima edizione. Per la prima volta la sessione newyorkese darà spazio a grandi artisti italiani e americani di origine italiana in undici concerti imperdibili, tra cui quello del pluripremiato John Patitucci, bassista e compositore italoamericano di origine calabrese e co-direttore artistico del festival. Guidi, che per l’occasione è stato supportato da tre autentici fuoriclasse del jazz internazionale – il pianista Steven Feifke, il contrabbassista Alexander Claffy e il batterista Elio Coppola – ha regalato agli spettatori uno spettacolo raffinato, non solo cantando, ma anche raccontando episodi della sua vita e di quella di Sinatra. L’attore ci tiene subito a precisare ironicamente: “Ho pensato che fosse da pazzi andare a cantare Frank a New York. Ed eccomi qua. Non troverete nessuno che canti meglio di lui. Neanche stasera”.
Eppure Guidi è capace di trasmettere efficacemente il valore di ogni canzone, riuscendo ad emozionare ed intrattenere con grande naturalezza, grazie anche a come trent’anni di esperienza sul palcoscenico lo facciano sentire completamente a suo agio nell’interagire col pubblico. Un’esibizione misurata, senza sbavature, un gioiellino per gli amanti della musica di classe. Interpretando “My funny valentine” si intuisce da subito come gli strumenti e la voce del cantante siano in grado di riempire la sala di un’atmosfera coinvolgente, piena di sentimento. Con “Solo più che mai”, versione italiana di “Stranger in the night”, Guidi omaggia il padre Johnny Dorelli, il Sinatra italiano, la cui interpretazione rimane un successo nella sua straordinaria carriera. Originariamente il pezzo, dal titolo “Beddy Bye”, era solo strumentale e fu inserito nella colonna sonora del film “A Man Could Get Killed” del 1966. Del 1961 invece ”Moon River”, composta da Henry Mancini e vincitrice di un Academy Awards come miglior canzone originale del film “Colazione da Tiffany”.
Dopo le celebri melodie di motivi come “Fly me to the moon” e “That’s life”, la performance si conclude con quello che viene definito “The Anthem”, l’inno nazionale di Sinatra: “My way”. Un motivo senza tempo, cantato da più generazioni, che neanche nell’era digitale dello streaming è passato di moda.
Si intuisce dal suo modo di coinvolgere il pubblico che Guidi non solo è un bravo professionista, ma una persona ben educata, schietta, che emerge nel panorama artistico proprio per i suoi modi gentili oltre che per la bravura e al termine dell’esibizione ha risposto a qualche nostra domanda.
È la prima volta a New York?
“È la prima volta che mi esibisco con questo spettacolo, ma c’ero già stato nel maggio del 1990, col Festival di Sanremo. Cantavamo al Madison Square Garden e devo dire che New York non era così bella come è adesso. Tombini fumanti dappertutto, era cupa, pericolosa. Ebbi la sensazione che fosse una città senza guida, un’enorme giungla allo sbando. Ora New York è la capitale del mondo, dove il popolo rispetta gli attori, il teatro, la musica. E’ impressionante come ci siano nove milioni di abitanti ma sia un posto comunque pulito. Ed è fantastico l’atteggiamento colloquiale dei newyorchesi; sembra come se vivessero in un piccolo villaggio, come fosse un paese dove tutti si conoscono e parlano tra di loro”.
In che senso New York è capitale del mondo?
“Non solo a livello economico e di business, la ricchezza qui sta nella diversità. Se avessimo solo il 10% del rispetto che New York ha per la cultura avremmo noi questo primato, senza considerare che il nostro Paese potrebbe campare solo di quello. E’ che in Italia purtroppo c’è ancora in qualche modo un’idea e una mentalità un po’ provinciale. L’unica cosa che mi infastidisce qui è la disuguaglianza tra ceti sociali e ho paura che possa diventare così in tutto il mondo. E’ scomparso il ceto medio, la media borghesia, non esistono più le fabbriche. Gli uomini non hanno più il ruolo che avevano prima”.
Come mai parli un inglese così perfetto?
“È perché sono andato a scuola e all’Università americana a Ginevra, in Svizzera e anche i miei figli frequentano una scuola americana, per cui mi capita spesso di parlare coi professori. Inoltre guardo sempre film in lingua originale e l’inglese è diventata un po’ una seconda lingua. Sai, a una certa età il cervello inizia ad incamerare nozioni e capita che impari automaticamente un po’ per conto suo”.
L’idea di celebrare un uomo come Sinatra come ti è venuta?
“È uno spettacolo che in realtà portiamo in giro già da quattro anni. Ho sempre cantato le sue canzoni e con un gruppo di musicisti fantastici che conosco da molto tempo ho voluto omaggiarlo in occasione del centenario della sua nascita. Non è solo un’esibizione musicale, c’è proprio la voglia di raccontarne un po’ anche la vita attraverso gli aneddoti che sono legati alle canzoni”.
Parlando di grandi dello spettacolo, sei figlio di Lauretta Masiero e Johnny Dorelli. Quanto ha pesato nella tua carriera il fatto di essere conosciuto prima che per la tua bravura per il fatto di essere figlio d’arte?
“Innanzitutto bisogna capire che tipo di arte e chi la fa, perché oggi viene usata questa parola un po’ a sproposito. Per me è stato un grande vantaggio. All’inizio la gente mi veniva a vedere per capire cosa facesse il figlio dei loro beniamini, cosa che non capita a tutti gli attori, poi però sono rimasti perché evidentemente piaceva quello che facevo. Non so come sarebbe stata la mia vita se non fossi stato figlio d’arte ma sicuramente è stato di grande aiuto. Sono un privilegiato e se dicessi il contrario mentirei”.
Però hai saputo dimostrare di avere un tuo valore individuale e ora sei Gianluca Guidi, non più “il figlio di”.
“Ho debuttato nel ’87, trentadue anni fa e posso dire che sicuramente bisogna avere fortuna e serietà per fare questo lavoro, ma non bisogna neanche prendersi troppo sul serio. Il rischio è di recitare nella vita il ruolo che uno ha, che non necessariamente vuol dire fare le cose per bene. La recitazione è soprattutto tecnica espositiva e la tecnica preserva dalle mode. Una volta imparata quella sei hai talento vai avanti, se no no”.
Cosa ne pensi della proposta culturale in Italia, soprattutto in un’era dove in televisione sembra andare di moda più il trash che l’intrattenimento come espressione artistica?
“Non vado spesso in televisione, se non in programmi che mi piacciono. Spesso si ha a che fare con il dilettantismo, che prevarica la professione. In Italia rimane sempre il problema per cui posti strategici di ogni livello sono occupati da persone che non ne hanno le qualifiche. Qui c’e fermento, c’e voglia di fare, c’è libertà di pensiero. Penso che la difficoltà comunque sia nella proposta, non nel pubblico. Il pubblico è un recettore, si adegua a quello che gli viene offerto. Non è tanto cosa esige dalla televisione, ma quello che gli viene offerto”.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
“La prima cosa appena torno in Italia è andare a salutare mamma al cimitero a Venezia. Poi tornerò a Roma e comincerò le prove di uno spettacolo che debutta il 6 e 7 luglio al Festival Teatrale di Napoli, in cui sono interprete con Giampiero Ingrassia e di cui faccio anche la regia. Poi sempre alla regia lavorerò a un altro spettacolo, che debutterà al Festival di Borgio Verezzi e ho un concerto in programma il nove agosto in Calabria, a Crotone. Infine partirò per le vacanze con i miei figli, divise tra l’Inghilterra e la Sicilia. Non vedo l’ora”.