Forse è esagerato parlare di nemesi, fate voi. Chiedete a chiunque di citare cinque canzoni “classiche”, di Frank Sinatra; nove su dieci, compreso chi scrive, risponderà: “My Way”, “New York, New York”, “Fly me to the moon”, “Strangers in the night”, “That’s life”. Quale che sia il giudizio, l’opinione che si ha del Sinatra uomo, il Sinatra artista, attore ma soprattutto cantante non si discute: era, è, qualcosa di unico. In maniera unica ha interpretato mille canzoni, e in particolare le cinque citate: cavalli di battaglia “cavalcati” a ogni concerto, esibizione…
Di due di questi “classici” la leggenda vuole siano state letteralmente detestate dal suo interprete. Sinatra sarebbe stato certamente Sinatra anche senza queste due canzoni. Non c’è tuttavia dubbio che sia “My Way” che “Strangers in the Night” hanno potentemente contribuito a creare il personaggio che è stato, che continua a essere, a più di vent’anni dalla sua morte.
Per quel che riguarda “Strangers in the Night” (la musica è di Bert Kaempfert; Charles Singleton e Eddie Snyder gli autori del testo), incisa nel 1966 c’è chi giura di aver sentito Sinatra definirla “un pezzo di merda”, “la peggior fottuta canzone che abbia mai sentito”. Chissà.
Ce n’è anche per “My Way”, che Sinatra incide cinquant’anni fa, il 30 dicembre. Lo fa andando di fretta, la prima “buona si stampi”; a quella canzone Sinatra non sembra dare particolare peso.
Eppure se si prescinde dall’esecuzione (un Sinatra in forma smagliante), anche il testo sembra fatto per lui, su misura. Il “suo” manifesto:
“And now, the end is near / And so I face the final curtain / My friend, I’ll say it clear / I’ll state my case, of which I’m certain / I’ve lived a life that’s full / I’ve traveled each and every highway / And more, much more than this / I did it my way / Regrets, I’ve had a few / But then again, too few to mention / I did what I had to do / And saw it through without exemption / I planned each charted course / Each careful step along the byway / And more, much more than this / I did it my way / Yes, there were times, I’m sure you knew / When I bit off more than I could chew / But through it all, when there was doubt / I ate it up and spit it out / I faced it all and I stood tall / And did it my way / I’ve loved, I’ve laughed and cried / I’ve had my fill, my share of losing / And now, as tears subside / I find it all, all so amusing /
To think I did all that / And may I say, not in a shy way / Oh no, no, not me / I did it my way / For what is man, what has he got? / If not himself, then he has naught / To say the things he truly feels / And not the words of one who kneels /
The record shows I took the blows / And did it my way / And did it my way”.
Sembra quasi di vedere, mentre Sinatra la canta, il Clint Eastwood triste, disincantato ma capace ancora di passioni di “Gran Torino”; i solitari, melanconici, eroi che “fanno la cosa giusta perché è giusto e non perché conviene”, alla Henry Fonda, Kirk Douglas, John Wayne… Niente: a “Ol’ Blue Eyes”, quella canzone non dice nulla. Racconta la figlia Tina alla “BBC”: “La detestava. Ogni sera la cantava, ma non gli piaceva. La trovava autoindulgente, autodeclamatoria”.
A convincere Sinatra che quella canzone è la “sua” canzone ci vuole del bello e del buono dell’altra figlia, Nancy: è lei che insiste: “Questa canzone incarna il mito americano, del self-made man”. Sinatra cede, ma non muta opinione.
Anche la storia di “My Way” è curiosa. Il motivo originale è di un autore francese: Jacques Revaux. Intitola la bozza “For me”. Il pezzo è giudicato triste, poco originale; quindi rifiutato. Nel 1967 un cantante allora famoso, Claude François, dopo la fine non consensuale con un’altra cantante, France Gall, riprende il motivo; lo intitola: “Comme d’habitude”. Passerebbe quasi inosservato, non fosse per Paul Anka, che lo adatta in inglese. La versione in inglese non ha nulla a che fare, per quel che riguarda il testo, con la canzone originaria: parla di un uomo forse vicino alla morte che traccia un bilancio della sua vita: giusto o sbagliato quello che ha fatto, non ha troppi rimorsi, perché ha vissuto “a modo mio”. Grazie a Sinatra, alla sua straordinaria voce calda e profonda, all’inconfondibile timbro insieme aristocratico e popolare. “My Way” esplode, diventa il classico che sappiamo.
Da allora, almeno duemila gli artisti che si sono cimentati in “My Way”. Nessuno come Sinatra. Perfino Luciano Pavarotti: se ne trova una versione in internet: un concerto assieme a José Carreras e Placido Domingo, l’orchestra diretta da Zubin Metha. Bravissimi, come sempre: ma questa volta i tre tenori arrivano secondi.