Sarà il palco del Jazz Showcase di Chicago ad aprire il 13 Giugno il tour americano di Fabrizio Bosso e del suo quartetto che si concluderà il 20 Giugno all’Auditorium dell’Istituto Italiano di Cultura di New York. Al pubblico americano, Fabrizio Bosso presenterà il progetto “State of the Art”, doppio album live uscito ad aprile 2017 e registrato dal vivo durante i concerti del quartetto a Roma, Tokyo e Verona insieme al pianista Julian Oliver Mazzariello, il contrabbassista Jacopo Ferrazza e il batterista Nicola Angelucci, storico quartetto che ormai da anni divide il palco insieme a Bosso.
Musicista e compositore, Fabrizio Bosso si è diplomato in tromba al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino a soli 15 anni, completando poi i suoi studi al St. Mary’s College di Washington D.C. Non solo jazz. Nella carriera di Bosso c’è anche spazio per il pop e la musica leggera italiana grazie alle collaborazioni con artisti come Tiziano Ferro, Renato Zero, Claudio Baglioni. “Io sono cresciuto ascoltando la musica pop e ho cominciato a improvvisare ascoltando i dischi dei nostri cantautori. Ho sempre cercato di prendere le cose belle, mettendo da parte la tecnica e suonando con più sentimento”, dice Bosso.
Tra standard jazz e improvvisazione, il quartetto italiano si prepara a regalare al pubblico americano brani composti dallo stesso Fabrizio Bosso oltre ai grandi classici. E sullo stato del jazz in Italia dice: “Siamo ancora lontani dal sistema dei college americani, dove i ragazzi vivono nelle scuole e sono in contatto ogni giorno con gli insegnanti. Tuttavia, posso affermare che i musicisti italiani si sono decisamente affermati in Europa”.

Come si sta preparando, insieme al suo quartetto, al tour americano che inizierà il 13 Giugno?
“Abbiamo atteso questo tour per molto tempo ed è come un sogno che si realizza. Con il quartetto, abbiamo suonato in moltissimi paesi e, siamo felici adesso di suonare questa musica negli Stati Uniti, dove è nata. Cercheremo di evitare l’ansia da prestazione, che ci sarà sicuramente. Personalmente, ho suonato già altre volte in America, come sideman, ma mai come titolare di un mio progetto”.
Cosa deve aspettarsi il pubblico americano che verrà ai suoi concerti?
“Spero che possa emozionarsi e divertisti con noi. Con il quartetto abbiamo ormai instaurato un ottimo rapporto, siamo molto affiatati. La speranza, quindi, è che arrivi tutta la nostra energia”.

State of the Art è il doppio album live che ha pubblicato nell’Aprile del 2017. Quali sono gli elementi significativi dal punto di vista musicale di questo album. Quali rispetto al passato?
“Con questo album, la mia visione di musica si è spostata verso il suono di gruppo, con l’intenzione di arrivare alle persone non come un solista che viene accompagnato, ma appunto come band. Responsabilizzare al massimo tutti i musicisti permette di tenere sempre la tensione alta, ed essendo loro molto bravi, c’è sempre una grande energia durante ogni assolo. Non ci isoliamo mai, siamo sempre connessi. Siamo quattro individualità forti ma con un minimo comun denominatore”.
Nella sua carriera c’è stata anche un’apertura ad altri generi musicali come il pop. Cosa pensa delle varie contaminazioni di genere e in che modo prendono spazio nella sua musica?
“Io sono cresciuto ascoltando la musica pop e ho cominciato a improvvisare ascoltando i dischi dei nostri cantautori. Ho sempre cercato di prendere le cose belle, mettendo da parte la tecnica e suonando con più sentimento. Ne ho tratto sicuramente un beneficio nelle esposizioni delle ballad e nelle parti più liriche. Lavorare con i cantautori italiani ha portato qualcosa di nuovo nel mio linguaggio”.
Quali sono i riferimenti del jazz americano che hanno influenzato la sua formazione?
“Sono tantissimi, principalmente sono cresciuto con il bebop e l’hard bop, ascoltando, Clifford Brown, Charlie Parker, Gillespie e Coltrane. Per passare poi in una seconda fare a Miles Davis, Chet Baker, per citarne alcuni. Sto ascoltando e studiando anche Winton Marsalin, che credo sia il musicista più geniale tra quelli viventi”.
Jazz europeo vs jazz americano. Come sta cambiando lo scenario in Italia rispetto al passato?
“In Italia, negli ultimi dieci anni, siamo riusciti ad avvicinarci agli Statu Uniti, grazie all’apertura delle cattedre jazz nei conservatori. Poi ci sono anche alcune scuole private, poche ma fondamentali. Il livello è diventato altissimo e i giovani a vent’anni sono preparati. Poi, certo, la carriera va costruita con sacrificio e passione. Siamo ancora lontani dal sistema dei college americani, dove i ragazzi vivono nelle scuole e sono in contatto ogni giorno con gli insegnanti. Tuttavia, posso affermare che i musicisti italiani si sono decisamente affermati in Europa”.

Standard jazz e molta composizione. Cosa dedicherà al pubblico americano?
“Vorrei dedicare al pubblico americano due brani miei, Black Spirit e Dizzy’s Blues, insieme a un altro composto dal pianista Julian Oliver Mazzariello, Goodness Graciuous. Probabilmente, ci sarà un tributo a una grande voce Americana contemporanea”.
Tour
13/6 Jazz Showcase Club, Chicago
15/6 Greensboro Cultural Center, Greensboro
17/6 DC Jazz Festival, Washington
18/6 Auditorium Ambasciata d’Italia, Washington
19/6 Residenza Ambasciatore d’Italia, Washington
20/6 Italian Cultural Institute, New York