La musica l’ha conosciuta da ragazzino, quando ancora in fasce ascoltava il suono dei pianoforti che l’azienda di famiglia produce. Con la musica nel cuore e nell’anima, studia al Conservatorio di Santa Cecilia e all’università La Sapienza (specializzazione in Letteratura Italiana e Cinema).
Nel 2012, per amore, si trasferisce a Los Angeles e comincia un nuovo capitolo della sua vita. Decide che la musica oltre che una passione, deve diventare una professione. Dopo gli studi alla prestigiosa UCLA (L’Università della California, Los Angeles), Gabriele Ciampi, romano, tocca con mano l’America Dream. Nel 2015, su invito della First Lady, Michelle Obama, si esibisce alla Casa Bianca. E’ il primo compositore italiano.
Lui, di formazione classica, musicista, compositore e anche direttore d’orchestra, coniuga classicismo con accenti contemporanei. Dopo il prestigioso contratto con la Universal music, il 28 ottobre è uscito il suo ultimo cd : In Dreams Awake. Tredici nuove tracce eseguite da 30 giovani elementi della sua CentOrchestra, diretta dal Maestro stesso, fondata nel 2011. Un album di musica classica contemporanea dove Ciampi si confronta con uno tessuto armonico e melodico minimalista.
Oggi Ciampi vive tra Los Angeles e Roma, dove a Capodanno terrà un concerto-evento all’auditorium Parco della Musica. Compone musica rigorosamente seduto di fronte al pianoforte con carta e matita. Lo abbiamo intervistato e ci ha raccontato del suo ultimo album e della fase della vita in cui si trova.
E’ appena uscito il suo ultimo album, In Dreams Awake. Da quale bisogno nasce e quale messaggio sente di condividere con il suo pubblico?
“Dal punto di vista musicale, quest’ultimo album rappresenta il seguito del mio album precedente (The Minimalist evolution) sia a livello concettuale che musicale. In ques’ultimo caso sperimento e attuo un tessuto melodico ridotto attraverso poche note. Una cosa difficile per chi scrive musica. E poi, c’è anche il discorso legato al sogno che si realizza. Sveglio nei sogni, rappresenta questa fase della mia vita artistica in cui inizio a toccare con mano sogni in fase di realizzazione. Mi ha colpito molto la frase del poeta Americano Henry David Thoreau> ‘La nostra vita più vera è quando ci troviamo svegli nei sogni’”.
Questo significa anche che questo suo ultimo lavoro rappresenta la consacrazione e la realizzazione dei suoi sogni?
“Il mio sogno è sempre stato quello di trasmettere emozioni con la mia musica. Senza compromessi. Il mio sogno si è realizzato quando sono stato invitato da Michelle Obama ad esibirmi alla Casa Bianca, nel 2015. Ho avuto l’onore di essere il primo musicista italiano”.
Che emozioni ricorda di quella esperienza?
“In quel momento non mi sono reso conto ma dopo ho capito che questo paese dà a tutti delle grandi possibilità. Per me è stato un onore essere ospite di Barack e Michelle Obama. Di Michelle apprezzo la determinazione ad utilizzare la musica come linguaggio universale che unisce diverse culture”.
A lei, alla First Lady, ha anche dedicato una traccia nel suo ultimo album. L’altra è stata dedicata a Papa Francesco
“Michelle è una donna eccezionale, come dicevo prima. Di lei ho ammirato la volontà di trasmettere a questo paese valori come la famiglia, il rispetto delle culture diverse, il ruolo della donna e la musica. Il brano è Michelle, eseguito per la prima volta alla Casa Bianca per il White House for Holidays. Il tema prende spunto dal II movimento del concerto per pianoforte e orchestra in La maggiore, e la parte armonica è affidata alle chitarre in arpeggio continuo come sostegno all’intera composizione. Il brano dedicato al Santo Padre , Preludio for Two Cellos è in accordo e sintonia con il suo operato. Lui ama l’essenziale e il mio brano si lega molto al messaggio legato a quest’ultimo Giubileo della Misericordia. E’ un dialogo tra i due strumenti che, grazie all’utilizzo dei diversi registri del violoncello, mette in risalto due diverse sonorità: quella più misteriosa e del registro grave e quella melodica, dolce e profonda del registro medio-acuto. In un momento storico difficile questo brano vuole essere un messaggio di speranza per il futuro, scritto per lo strumento dalla sonorità dolce e allo stesso tempo potente per eccellenza: il violoncello”.
C’è ancora un’altra donna americana, la candidata democratica alla presidenza, Hillary Clinton, che ha apprezzato il suo lavoro
“Hillary incarna perfettamente uno dei principali e fondamentali concetti americani: never give up. Lei, in piena campagna elettorale, ha avuto modo di apprezzare il mio lavoro con una bella lettera che mi ha inviato, spingendomi ad andare avanti, a crederci ancora. “Sono stata felice di ricevere il suo lavoro e, particolarmente, lieta di apprendere tutti i successi ottenuti in America. Ha il mio sostegno per continuare su questa strada”, queste le sue parole”.
Quindi possiamo dire che, ancora una volta, le cose in America accadono. Lei come è arrivato in questo paese?
“Per amore. Ho incontrato mia moglie che mi ha spinto a venire in America sostenendo che qui avrei potuto fare il mio lavoro. Anche se ho studiato pianoforte, in Italia non ho iniziato la carriera di musicista perché ho lavorato nell’azienda di famiglia, che costruisce e fornisce pianoforti. Sempre di musica parliamo, ma con ruoli diversi. In America, ho avuto la possibilità di esprimermi e di realizzarmi come musicista, compositore e anche produttore”.
Senza parlare di cervelli in fuga, quali sono le difficoltà legate alla sua carriera in Italia e le differenze rispetto agli Stati Uniti?
“Infatti non amo parlare di cervelli in fuga ma semmai di cervelli in prestito. Io credo che la formazione classica italiana, europea, sia essenziale. In America c’è un approccio molto più pratico, anche quando si parla di musica. Noi studiamo anni e anni al conservatorio ma poi non sappiamo produrre in studio un disco. In America succede esattamente il contrario. Le due esperienze sono pero’ importanti e complementari. Per un musicista questo paese è una tappa proprio perché consente di acquisire un approccio pratico. In Italia, però, sono convinto che si possono fare grandi cose. Il problema è culturale, di educazione musicale. Qui la musica ha un peso rilevante, pari alle altre materie. E’ più accessibile a tutti”.
La sua musica ha un background classico ma con accenti molto contemporanei. Un modo per renderla meno elitaria?
“Assolutamente sì. Utilizzo molto le chitarre per renderla più accessibile a molti che amano il rock. La musica classica appartiene e tutti ma purtroppo noi l’abbiamo resa elitaria. Oggi le cose stanno cambiando anche in Italia. Ad esempio, è lodevole l’iniziativa dell’Accademia di Santa Cecilia di portare la musica classica negli aeroporti, nello specifico in quello di Roma. Io credo anche nel crossover: la contaminazione di altri generi. E anche nello svecchiamento delle orchestre che devono accogliere giovani compositori, eseguire i loro brani, per aprirsi al mondo di oggi”.
Tredici tracce che attingono ad un bagaglio classico, con accenti contemporanei. Sembra di sentire anche le orchestrazioni di John Adams. Quali sono i suoi riferimenti musicali?
“Sì, anche lui di certo. I miei riferimenti musicali sono tutti o compositoi russi di fine Ottocento. Rachmaninov è ancora oggi molto attuale”.
Come nasce l’ispirazione nella sua composizione?
“Non credo alle muse ispiratrici. Traggo ispirazione da qualsiasi evento legato alla quotidianità. In questo senso, Los Angeles mi aiuta perché è una città che ha molte stratificazioni, una luce unica ma anche un disequilibrio interiore che diventa la molla per comporre. La composizione è talento ma soprattutto tecnica, molto lavoro. Io compongo solo utilizzando carta e matita e sedendomi al pianoforte. Non mi avvalgo di nessuno strumento tecnologico o digitale”.
Vive tra Roma e Los Angeles, due città che tradotte in musica, cosa sarebbero?
“Roma è frenetica ma io ho imparato ad apprezzarla adesso che non ci vivo a tempo pieno. Per me Roma è legata al pianoforte mentre Los Angeles, più lenta ma con mille sfumature, la assocerei alle opera del compositore Gustav Mahler”.
Cosa rappresenta per lei la musica?
“Un linguaggio universale, l’unico in assoluto. Un bisogno primario di comunicare per me. Non riuscirei ad esprimermi diversamente se non in note”.
Guarda un video Ansa su Gabriele Ciampi: