È nato alla fine degli anni Ottanta, ma ascoltando le sue composizioni si entra in una macchina del tempo che ci riporta indietro di mezzo secolo. Con il secondo album, Primrose Green, uscito a fine marzo per la prestigiosa Dead Oceans (Akron/Family, Destroyer, The Tallest Man On Earth e Kevin Morby che abbiamo presentato in questa rubrica), Ryley Walker sembra destinato a far parlare molto di sé e lo dimostra il successo che sta avendo in queste settimane nel suo tour nordamericano. Arriverà finalmente anche in Europa ed è stata già confermata una data per il 17 settembre sulla spiaggia dell'Hana-Bi di Marina di Ravenna.
Ryley è cresciuto nella periferia della periferia nell'area settentrionale dell'Illinois, a Rockford, località che sorge sulle rive del Rock River. Crescere in una zona particolarmente tranquilla e soporifera dello Stato lo porta fin da adolescente a trascorrere ore e ore in camera a suonare la chitarra. Si stenterà a crederci, apprezzando oggi i suoi arpeggi molto suggestivi, ma Walker è un autodidatta e come molti suoi coetanei si avvicina alla musica ascoltando i classici. Sono i Led Zeppelin a impressionarlo, soprattutto nelle loro ballad acustiche più mistiche.
Suona altrettanto strano oggi ripensarlo in una band punk-rock, ma è con il trasferimento a Chicago nel 2007 dopo il liceo che diventa a tutti gli effetti un musicista più o meno di professione. Gli inizi quando si tuffa nella scena garage-punk della città sono all'insegna di incandescenti e velocissime esibizioni nei dive bar della scena universitaria e alternativa di Chicago. Con alterne fortune suona tutte le settimane in progetti molto underground quali i Wyoming e gli Heat Death. Grazie ai suoi chiassosissimi esordi punk si fa le ossa e il suo nome in qualche modo inizia a circolare nei circuiti che contano grazie a un buon numero di cassette autoprodotte vendute in giro dopo i live.
Tra 2008 e 2009 inizia a pensare a una carriera solista. Ryley inizia a crescere e a coltivare una passione per la musica più tranquilla e introversa. Come spesso accade, è il caso a dare la svolta definitiva alla sua carriera. Un incidente in bici lo costringe a rallentare i suoi ritmi e abbandonare temporaneamente i suoi lavoretti part-time. Passa così lunghi pomeriggi e nottate a esercitarsi alla chitarra perfezionando il suo fingerpicking. Lo studio paga e il primo disco è un sorprendente revival folk che guarda a Bert Jansch e Nick Drake e in cui la sua voce non sfigura, anzi stupisce per fascino retrò e intensità. È il 2014, Cloud Nothings, progetto indie-rock di Dylan Baldi, lo scelglie come supporto in tour e così finalmente si inizia a parlare di Ryley Walker anche fuori dallo Stato.
Ma l'irrequieto talento di Rockford non si accontenta e decide di mettere in piedi una vera e propria band per dare sfogo alle sue suggestioni più jazz e prog, che dai classici anni Sessanta passano per mostri sacri come Van Morrison o John Fahey. Nelle sessioni che daranno vita a Primrose Green è affiancato da veterani e giovani promesse della musica d'autore di Chicago, da Fred Lonberg-Holm e Frank Rosaly, rispettivamente violoncellista e batterista jazz della vecchia guardia e poi ancora Anton Hatwich al contrabbasso e gli amici Brian Sulpizio, chitarrista e Ben Boye, già nella backing band di Bonnie “Prince” Billy. I testi sono un po' improvvisati, come ha ammesso, e il titolo prende il nome da un cocktail a base di whiskey e campanula. Nelle sue atmosfere sospese in una realtà bucolica fuori dal tempo, si sente l'eredità di Tim Buckley e una cura delle armonie molto accurata. C'è il folk, c'è il blues del Deep South e delle andature jazz che rendono Primrose Green un disco particolarmente raffinato e adulto.
Ascoltando la sua voce si viaggia con la mente nel Tennessee di qualche decennio fa. Le serate punk in claustrofobici baretti di Chicago, per Ryley Walker, sembrano ormai un ricordo molto remoto.
Ryley Walker è su Twitter (@Ryley_walker) e su Facebook.