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February 22, 2015
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Note di persecuzione e resistenza: la musica dell’olocausto

Maria Antonella ManninobyMaria Antonella Mannino
Time: 7 mins read

La musica ha da sempre un ruolo fondamentale nella cultura ebraica e lo ha avuto anche nei momenti più drammatici della storia di questo popolo. Se n'è parlato all'Italian Academy della Columbia University, in occasione del simposio Music, Fascism, and the Holocaust, parte del ciclo di incontri e manifestazioni organizzato ogni anno, in occasione del Giorno della Mermoria, la ricorrenza che commemora la liberazione di Auschwitz. 

Dopo il discorso di benvenuto di Barbara Faedda, associate director dell'Italian Academy, ll fine di comprendere appieno le connessioni esistenti tra musica e olocausto e fascismo, olocausto e musica sono intervenuti Michael Beckerman (New York University), con un intervento dal tutolo Moravia and the Wild Goose: Terezin, Summer 1944, e Harvey Sachs (Curtis Institute of Music) che ha parlato di Jewish and Anti-Fascist Musicians in Mussolini’s Italy. 

Michael Beckerman (NYU)

Michael Beckerman (NYU)

Michael Beckerman  (Carroll and Milton Petrie Professor of Music presso la New York University, e Professore di Storia presso l'Università di Lancaster), ha affrontato nei propri studi – tra gli altri –temi quali la musica dei Rom (Gypsies), Mozart, Brahms. Per molti anni è stato un collaboratore regolare al New York Times e sta attualmente dedicandosi ad una serie di progetti legati alla musica nel campo di concentramento di Terezin. 

Terezin (Theresienstadt, in tedesco) è una città della Repubblica Ceca; nata alla fine del XVIII secolo come città-fortezza, era composta da due poli distinti: la "grande fortezza" e la "piccola fortezza". La "grande fortezza" durante la seconda guerra mondiale fu trasformata dai nazisti in campo di concentramento. Con lo scopo di fugare le voci inerenti ai campi di sterminio e alle relative atrocità in essi perpetrate, il 23 giugno del 1944 delegati della Croce Rossa Internazionale (dopo un primo sopralluogo, avvenuto nel giugno del 1943) visitarono il campo. In tale occasione i nazisti organizzarono – riuscendo appieno a raggiungere il proprio scopo – una messinscena tale da poter ingannare i pervenuti (tra i quali lo svizzero Maurice Rossell, il quale confermò che nessun ebreo – seppur qualcuno pareva patire stenti – era realmente in pericolo di vita). Soprattutto in occasione della seconda visita, i nazisti “ricrearono” il campo quasi fosse un set cinematografico  cosa questa che, invero, verrà fatta qualche mese dopo quando per scopo propagandistico verrà girato a Terezin il film – definito da Beckerman come il più grande film horror di tutti i tempi, e nel quale farà una breve comparsa anche il musicista Pavel Haas – Der Führer schenkt den Juden eine Stadt (Il Führer dà agli ebrei una città) del regista ebreo Kurt Gerron (costretto, suo malgrado, dai nazisti a realizzare l’opera). 

Con l’intento di mostrare ai delegati della Croce Rossa (e, tramite loro, al mondo intero) una normale vita, anche in ambito “musicale”, venne organizzato un concerto avente come “protagonisti” il cantante Kreal Berman ed il pianista Rafael Schächter. Il programma prevedeva l’esecuzione di quattro opere composte rispettivamente da Wolf, Beethoven, Haas, Dvorak. I testi di  Four Songs in Chinese Poems” di Pavel Haas – anch’egli deportato nel campo di concentramento di Terezin – erano libere traduzioni di quattro poesie cinesi (I Heard Wild Geese,  In The Bamboo Grove, Far Away Is The Moon Of Home, Sleepless Night) tradotte in ceco da Bohumil Mathesius. Uno dei temi fondamentali trattato in questi testi è quello di “casa”, concetto – questo – che per traduttore (Mathesius), compositore (Haas), pianista (Schächter) ed interprete (Berman) finisce per coincidere con quello di “Moravia”: terra tra Boemia e Slovacchia, sinonimo – per i deportati – di pace e bellezza; immagine questa che riproduce nell’immaginario collettivo non solo il già citato concetto di casa (e di tutto ciò che è possibile sognare), ma anche – al contrario – luogo di solitudine e paesaggio di morte. 

Anche quello dell’ “oca selvatica” (Wild Goose) è concetto fondamentale ripreso dalla tradizione Morava: immagine, questa, associata a quella dell’“alta torre” ed indiscusso simbolo di libertà. Beckerman mostra allora come la scelta di queste opere e temi non è chiaramente casuale da parte dei musicisti presenti a Terezin. Altro esempio citato è quello del “Trio” di Klein, composto nel 1944 a Terezin.  Nel “Trio”, oltre alla ricorrenza dei temi precedenti (Moravia, Wild Goose), è da notare come la presenza di modifiche nei tre movimenti (l’inserimento di una marcia funebre, per esempio) debba considerarsi  come specchio della consapevolezza dell’autore (e dei deportati tutti, presenti nel campo) del destino a cui stava andando incontro. 

Le partiture e le scelte musicali divengono allora, secondo Beckerman, documento fondamentale da non sottovalutare per un’adeguata ricostruzione storica. 

Harvey Sachs (Curtis Institute of Music)

Harvey Sachs (Curtis Institute of Music)

A conclusione dell’interessante discorso di Beckerman,  Barbara Faedda ha brevemente introdotto l’intervento dal titolo Jewish and Anti-Fascist Musicians in Mussolini’s Italy curato da Harvey Sachs, docente presso università e istituzioni culturali di tutto il mondo. Sachs ha vissuto in Europa per diversi anni, ed è stato direttore artistico della Società del Quartetto di Milano. Fa parte del corpo docente del Curtis Institute of Music di Philadelphia, è critico musicale del The Hudson Review, e scrive, in  Italia, per Il Sole 24 Ore; ha scritto le biografie di Arturo Toscanini e Arthur Rubinstein; ha inoltre collaborato – tra gli altri – con New Yorker, The New York Times, The Wall Street Journal, The Times Literary Supplement di Londra.

All'Italian Academy, Sachs ha cominciato il proprio intervento parlando dell’Italia post-unitaria descritta come luogo “felice” per le comunità ebraiche italiane. L’Unità d’Italia era avvenuta poco più di sessanta anni prima, quando, nell'ottobre del 1922, Benito Mussolini divenne primo ministro. Gli ebrei rappresentavano solo una piccola parte della popolazione del Paese, ma avevano ricoperto numerosi incarichi in ambito politico e militare. Per comprendere il clima che si respirava in Italia, basti pensare che anche celebri musicisti ebrei tedeschi ai quali non era improvvisamente più stato possibile – a causa delle leggi razziali – avere parte attiva nella vita musicale in Germania, erano stati accolti in Italia.  A metà del 1930 qualcosa, però , cambia: Mussolini comincia a pensare ad un’alleanza con la Germania e, dal 1938 – con l’avvento delle leggi razziali – anche in Italia gli ebrei vengono progressivamente privati dei loro diritti. 

Tra i maggiori compositori di origine ebraica in Italia vi erano Franchetti, ed il più noto Mario Castelnuovo-Tedesco (la cui musica era stata eseguita da artisti come Walter Gieseking, Jascha Heifetz, Gregor Piatigorsky e Arturo Toscanini) il quale, a causa delle leggi razziali, emigrò negli Stati Uniti nel 1939 con la moglie e i figli. Sachs cita le parole di Castelnuovo-Tedesco che – qualche anno dopo – scriverà che quello che aveva provato al momento della partenza dalla sua amata patria non può semplicemente essere chiamato dolore, rimpianto o sofferenza spirituale: era un tormento quasi fisico, una mutilazione; sembrava essere addirittura una prova generale per la morte.

 Altri compositori ebrei italiani che avevano ricevuto un ampio riconoscimento in patria e  che si trovarono improvvisamente impossibilitati a svolgere le loro professioni furono: Guido Alberto Fano, rimosso dal suo incarico di docente di pianoforte presso il Conservatorio di Milano; Renzo Massarani, che era stato fascista ed aveva occupato posizioni importanti nella nel regime, a causa delle leggi razziali si trovò costretto ad emigrare in Brasile; Vittorio Rieti, il quale emigrò negli Stati Uniti, continuando a comporre ed insegnare; Ferdinando Liuzzi, compositore e docente –  cognato di Castelnuovo-Tedesco – con l’avvento delle leggi razziali si trasferì dapprima a Bruxelles e poi a New York, ma quando si ammalò gravemente di cancro decise di ritornare nuovamente a Firenze, dove morì nel 1940. 

Sachs cita un aneddoto che ci fa comprendere qual era l’aria che si respirava in quel periodo: egli dice che chi ha familiarità con l’Italia sa che le regole tendono talvolta ad essere applicate con noncuranza: “l'Italia, è il paese in cui nulla è consentito, ma tutto è permesso”, ribadisce. E questo accadde anche sotto la dittatura di Mussolini. Solo per citare alcuni esempi: nel mese stesso in cui venivano promulgate le leggi razziali, Musica d'oggi (importante rivista musicale), dedicava ampio spazio al librettista ebreo di Mozart, Lorenzo Da Ponte, in occasione del centenario della sua morte.

Un altro aneddoto riguarda un violinista italiano, il quale doveva eseguire un capriccio di Henryk Wieniawski durante un concerto al Conservatorio di Milano. Quando un amministratore gli chiese se Wieniawski era un ebreo (in tal caso il capriccio non avrebbe potuto essere eseguito) un tacito compromesso venne raggiunto: il violinista andò in scena annunciando al pubblico che invece di suonare il capriccio in programma di Wieniawski avrebbe suonato un capriccio di un compositore anonimo, finendo poi per suonare comunque quello di Wieniawski.

Nell'autunno del 1943, quando i tedeschi occuparono la metà settentrionale del paese, tutto peggiorò anche per gli ebrei in Italia. Guido Alberto Fano riuscì a sopravvivere; Veneziani (musicista) fuggì in Svizzera. Cesare Ferraresi, violinista, fu deportato in un campo di concentramento ma riuscì a sopravvivere anch’egli. Alla fine della guerra, alcuni emigrati ritornarono a casa, ma la maggior parte rimase nei paesi di adozione (Castelnuovo-Tedesco, ad esempio, diventò un compositore di colonne sonore di film a Hollywood). 

Da ricordare tra gli italiani non ebrei antifascisti è Toscanini, il quale si recò in Palestina per due volte (1936 e 1938) a proprie spese per mostrare la sua solidarietà con le vittime della persecuzione. Mussolini aveva anche confiscato il passaporto di Toscanini nel 1938, dopo che questi si era esposto contro le leggi razziali. Toscanini trascorse gli anni della guerra in America; quando ritornò in Italia per dirigere il concerto inaugurale dopo il restauro della Scala (che aveva subito gravi danni nel 1943) decise di far riavere il proprio lavoro a tutti quei musicisti ebrei, tra cui Veneziani, che avevano perso il diritto di esercitare la propria professione durante l’applicazione delle leggi razziali. 

 

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