I Love You Honeybear, uscito il 10 febbraio per la storica etichetta Sub Pop, è già considerato come uno degli album più significativi degli ultimi anni, grazie a un anti-inno dal titolo eloquente, Bored in the USA (annoiato negli Stati Uniti), singolo di lancio che fa il verso alla celebre Born In The USA di Springsteen. Al secondo LP sotto il moniker Father John Misty, ci si aspetta il passo definitivo verso il successo per il songwriter ex batterista dei Fleet Foxes, Joshua Tillman. Ti. E lo dimostrano i ripetuti sold out nel tour che dagli Stati Uniti lo porterà in Europa e poi di nuovo in Nord America nei maggiori festival del pianeta.
Joshua nasce nel 1981 in quel di Rockville, sobborgo del Maryland a due passi da Washington DC. Cresce insieme a tre fratelli più piccoli in una famiglia molto religiosa e tradizionalista e si divide fin da piccolo tra la chiesa battista del suo quartiere e una scuola elementare episcopale. Come ha raccontato nelle interviste e come si legge in alcuni dei suoi brani più biografici, da piccolo il suo sogno diventa quello di diventare un pastore. Non è un caso, anche perché i suoi sembravano investire tempo ed energie mentali solo per garantire ai figli uno status spirituale degno della famiglia.
Indolente e poco avvezzo agli studi, il giovanissimo Tilman ha una passione per la chitarra e inizia a strimpellare già all’età di dodici anni. Per lui diventare musicista è una velleità, più che un progetto e il pastore resta l’unica attività di performer a cui aspira. Dopo le scuole elementari finisce in un istituto messianico pentacostale ebraico e ciò contribuisce ad accrescere la sua confusione e inquietudine per tutto ciò che riguarda riti e costumi religiosi. Completamente avulso dalla realtà e da quei punti di riferimento culturali tipici dei suoi coetanei. Nei suoi ascolti non è concesso nulla di laico. Con un espediente riesce a farsi regalare Slow Train Coming di Bob Dylan, spacciandolo per “artista cristiano”. Ma Joshua non si arrende, conseguita la maggiore età, riesce a recuperare presto il meglio del cantautorato a stelle e strisce appassionandosi a Neil Young e imitatori.
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Il primo strumento che impara veramente a suonare è la batteria, grazie a un maestro del jazz di Washington molto scettico sul talento di Joshua, che vedrebbe, non a torto, più adatto a strumenti classici. La vita di J. Tillman, suo primo pseudonimo, cambia con l’emancipazione dalla famiglia. Dopo una breve parentesi a New York, a ventun anni va a vivere sulla costa opposta, a Seattle. La città del grunge gli cambia la vita. Di giorno lavora in una panetteria, di sera e di notte registra brani. I suoi testi sono popolati da spettri, inquietudini e un eterno senso di alienazione e desolazione, mai privi di un sarcasmo da crooner cinico, da scrittore di sermoni laici.
Un demo colpisce al cuore Damien Jurado, cantautore di culto di Seattle, noto in Italia per esser protagonista con un brano nel pluripremiato film di Paolo Sorrentino, La grande bellezza. Jurado è catturato dal talento di Tillman e lo sceglie come supporto nel suo tour. Entrambi finiranno poi ad aprire gli show del tour americano dell’icona alternative country Richard Buckner. Dopo i primi due dischi autoprodotti, l’esordio vero e proprio, per Joshua, arriva nel 2006, Minor Work, distribuito dall’etichetta indipendente Fargo Records. Nel 2008 si apre una parentesi inedita, invece, da batterista per uno dei nomi nuovi più esplosivi degli Stati Uniti, i folk-revivalist Fleet Foxes con cui registra due dischi che fanno il giro del mondo e gira in tour fino al gennaio del 2012.
Il maggio successivo nasce Father John Misty che esordisce con Fear Fun partorito in solitudine dopo un viaggio senza meta con tanti funghi allucinogeni nel bagagliaio. Da “nomade” si stanzia nel Laurel Canyon, dalle parti di Los Angeles dove, dopo mesi, porta a termine il tormentato e intenso esordio di padre John Misty. Nel 2013 è ospitato nel disco del rapper newyorkese Kid Cudi e scrive la colonna sonora di The History of Caves diretto dalla moglie Emma Elizabeth, con cui si trasferisce a New Orleans.
Sono anni di grazia, è scelto in tour come supporto da Lana Del Rey e Beck, una sua collaborazione con T. Bone Burnett (Angry River) finisce nel season finale della serie di culto True Detective. Ma la popolarità non l’ha cambiato. Nelle sue gemme di folk orchestrale cinematografico tra Rufus Wainwright e Sufjan Stevens resta vivo quel senso di spietato distacco dalla realtà che lo circonda. Nonostante il successo ormai crescente, padre John, ne siamo certi, continuerà artisticamente a procedere tormentato senza una direzione in una “piccola nazione fatta di oggetti insignificanti”, che “dovrebbe rappresentarlo”, ma gli ha dato soltanto “un’istruzione inutile e dei subprime per una casa costruita con le proprie mani”.