Quella dell’ascolto è una dote che ad Elena non è mai mancata: ascoltava le sue amichette di Mestre quando ancora piccola le chiedevano di cantare le canzoni più disparate che lei eseguiva come un jukebox, ascoltò il jazz come un canto di sirena che le indicò la via professionale di musicista, si bloccò nell’ascoltare il suono di New York, quando la chiamò per nome nel 2004, spingendola a trasferirsi e cambiare vita. Ma Elena ascolta tutti i giorni anche le voci di bambini autistici che solo nella musica dimenticano la paura e trovano la libertà d’espressione. Da una passione ad un vero e proprio mestiere, quello della cantante ma con pochi lustrini e luci di scena, tanta umiltà e un indiscutibile talento. Da un lavoro al mettersi al servizio, spiegando come utilizzare un mezzo di comunicazione tanto universale quanto trasversale come il canto.
Se la vita di Elena Camerin, mestrina di origine, newyorchese d’adozione da 9 anni, fosse una canzone sarebbe Sing Sing Sing (with a swing) di Benny Goodman.
“Il mio rapporto con la musica è sempre stato amatoriale fino a che ho conosciuto il jazz – spiega – da quel momento la mia vita è cambiata, ho iniziato a studiare più approfonditamente e ad andare ai concerti. In Italia ho conosciuto musicisti meravigliosi e nel giro di poco tempo mi sono ritrovata ad essere una cantante professionista”. Un percorso testimoniato da un CD, uscito nel 2005 per la Caligola Records, dal titolo Grazie dei Fiori? che contiene brani della musica Italiana degli anni ’50, e da un tribute realizzato nel 2008 dedicato ai Led Zeppelin.
Poi la passione, lascia il posto al talento ed a un riconoscimento che si rivela essere la porticina d’accesso al nuovo mondo. “Nell’estate del 2004 Michele Hendricks e Renato Chicco mi conferiscono il premio Spoleto Jazz Vocal Workshop come miglior studente. Vinco un viaggio di una settimana a New York, dove canterò ad alcuni concerti. Vengo invitata poi a trascorrere qualche settimana da una cara amica musicista e durante quella permanenza l’idea di rimanere un po' più a lungo si fa chiara”.
Così, una volta in Italia, Elena inizia le pratiche per ottenere il visto artistico e parte. “La cosa che più mi ha attratto è stata l’enorme quantità di musica e di musicisti di altissimo livello. Basta prendere la metro e puoi passare ogni giorno della settimana ad ascoltare i migliori del mondo, a due passi da casa. Sono arrivata in città con l’obiettivo di approfondire, studiare, imparare il più possibile ed è ciò che ancora sto facendo”.
Non solo collaborazioni con strumentisti, cantanti, sperimentazioni video con filmmakers e concerti in tutti gli Stati Uniti, nelle sue giornate un momento importante lo ricopre l’insegnamento del canto a ragazzi autistici. “La più grande difficoltà che la popolazione autistica dimostra è la capacità di connessione con altri esseri umani, spesso imprevedibili nelle loro azioni e di conseguenza spaventosi. Attraverso il canto è facile trovare un terreno comune dove esprimersi e dove tutti siamo uguali, dove sentirsi al sicuro. Il mio ruolo è quello di offrire questo strumento ai miei studenti, lasciando che essi stessi mi segnalino il modo migliore per comunicare, sfruttando le loro spesso inascoltate, se non addirittura represse, capacità di espressione e guidandoli gradualmente ad una comprensione del linguaggio musicale convenzionale, con cui poter dare voce alla propria creatività”.
Ma l’Italia è come un piatto che ami anche se fatichi a digerirlo, le tue radici, ciò che ti manca: “Una sera ad una festa una ragazza australiana, dopo che le avevo detto di essere Italiana, mi ha detto: 'Mi dispiace molto per il tuo paese per il suo Primo Ministro'. Sono corsa a riempirmi il bicchiere di vino. Nonostante tutto amo molto l’Italia e provo nostalgia per moltissime cose. Gli italiani dovrebbero imparare a smettere di lagnarsi e guardare avanti invece di continuare a blaterare su cosa si è perso e per colpa di chi. L’archeologia funziona solo per gli oggetti e le costruzioni”. Ma quando le chiediamo se ritornerà in Italia e dove si vede tra dieci anni, scopriamo che per Elena la felicità non è un luogo: “Spero solo di essere in buona salute e di continuare ad esplorare la vita come sto facendo ora. In Italia, negli USA o in Argentina, non ha molta importanza”. E a chi vive in Italia con la precarietà nel cuore consiglia: “Se la tua vita non ti piace, cambiala e non trovare scuse per giustificare la tua frustrazione. Parti perché vuoi partire, resta perché vuoi restare”.