Di questi giorni mezzo secolo fa venne lanciato per la prima volta in Italia un disco dei Beatles. Si trattava di “Please Please Me” (“Ask Me Why” il B-side). Questo 45 Giri destinato a passare alla leggenda, lo comprai pochi giorni prima di Natale. Natale, appunto, del 1963. Lo acquistai, per 6 o 700 lire, da “Ricordi”, in Via Cesare Battisti, Roma. “Ricordi”, un lussuoso, accogliente negozio discografico, tutto vetro, alluminio, mogano, ingentilito ancor di più da formose commesse, anche un poco ‘fatali’, immensamente sensuali, ‘provocanti’ senza manco volerlo, ma irreprensibili, inappuntabili: la ‘confidenza’ che cercavi, loro non te l’avrebbero concessa neppure sotto tortura: giustissimo!
C’erano perfino comodissime cabine per l’ascolto dei dischi sui quali ci si orientava, s’usava così… Le cabine erano imbottite, imbottite di gomma bombata, rivestita di raso; coi sedili quadrati, in legno pregiato, erano “cozy”. Erano uno dei migliori esempi del grande Design italiano, europeo d’allora. Lì per lì, osservando la copertina del disco, pensai che ‘questi’ Beatles fossero americani… Di complessi musicali inglesi noi in Italia conoscevamo soltanto gli “Shadows” e di cantanti solisti inglesi, la sola Petula Clark, che nel ’61 aveva sfondato anche da noi con “My Friend The Sea”. Fino ad allora avevano dilagato gli americani, i francesi: Frank Sinatra, Nat King Cole, Elvis ‘The Pelvis’ Presley, Little Richard, Pat Boone, Chubby Checker, il Kingston Trio, Frankie Avalon, Brenda Lee; Edith Piaf, Gilbert Bècaud, Yves Montand, Charles Aznavour, altri ancora. Buona, buonissima la Pop americana; di alta classe quella francese, e anche la nostra con Mina, Ornella Vanoni, Miranda Martino, Betty Curtis, Wilma De Angelis, Carmen Villani, Luigi Tenco, Umberto Bindi, Gino Paoli, Adriano Celentano, Sergio Endrigo, Fausto Cigliano, Bruno Martino, Marino Marini, Fred Bongusto.
Ma noi aspettavamo qualcos’altro… Noi dico quelli nati, grosso modo, fra il ’43 e il ’48: noi fiorentini, napoletani, palermitani, milanesi, torinesi, genovesi, triestini. Non sapevamo bene che cosa, ma aspettavamo, sì, una musica con un timbro diverso, un ‘passo’ diverso, uno spessore diverso. A volte melensa, certa nostra musica; a volte frenetica, troppo frenetica, o ‘manieristica’, certa musica americana. In questi termini c’era nell’aria un senso d’incompiuto, a lungo andare di insufficiente, inadeguato… Occorreva la scossa! Non lo sapevamo, ma volevamo anche un po’ d’estemporaneità. Batteva in noi il culto del Passato, ma volevamo anche andare incontro al Futuro con slancio, ardore, gioiosità; appassionarci a temi nuovi, adottare mode nuove.
https://youtube.com/watch?v=he0B0VMxCsw
Ci pensarono i Beatles… Non ricordo come venni a sapere (troppo tempo da allora è passato) che loro erano inglesi, e non ‘americani’; sta di fatto che fra il gennaio e il febbraio del 1964, tutti in Italia sapevano che i Beatles erano inglesi. Sorpresa! Gli Inglesi versati nella Musica Leggera?? Possibile…? Poi, attraverso studi necessari apprendemmo che andava proprio agli Inglesi la paternità del Vaudeville, e che la musica tradizionale inglese rappresentava il grande “sentire”, proletario e aristocratico al tempo stesso, d’un popolo ‘portato’ alla melodia; d’un popolo cultore della melodia.
I Beatles piombarono così’ su di noi e da allora nulla più fu “come prima”… “Please Please Me” è incalzante, battente; segue un crescendo che si rinnova passo dopo passo; arriva a un apice che fa “impazzire”! Come una squadra di Rugby che in 6, 7, 8 passaggi precisi, rapidi, divora con imperiosa eleganza 60 metri di terreno e fila quindi in meta! “Ask Me Why” è invece tenera, dolce, morbida. Ma mai melensa.
Sì, il Mondo oramai non era più come prima…
I Beatles… Quattro geni nati nella stessa città, Liverpool. Nati e cresciuti in un ben ristretto perimetro. Come i giocatori di Calcio del Glasgow Celtic, Campioni d’Europa 1966-1967 nella Finale contro l’Inter a Lisbona, tutti nati a Glasgow. Tutti! Non è forse straordinario tutto questo??
I Beatles… Eccentrici, anche un poco irriverenti; forniti del più tagliente senso dell’umorismo inglese. Sorpresa, anche qui… Ma quale sorpresa!! L’Inglese è un eccentrico dai tempi di Enrico IV, dai tempi del leggendario attore di teatro Edmund Keane; dai tempi di Virginia Woolf, G.B. Shaw, Oscar Wilde (Anglo-Irish). Bene: l’Inghilterra che si presenta al Resto del Mondo a partire dal 1962-63 è una Nazione che dopo il “sonno vittoriano” e il “risveglio edoardiano”, ha deciso di attingere a piene mani a se stessa per esprimersi in senso compiuto! Arriva appunto così la musica dei Beatles, Rolling Stones, Searchers, Manfred Mann, Status Quo, Herman Hermit’s, Small Faces, Cupid’s Inspiration, The Dave Clark Five; Tom Jones, Cilla Black, Dusty Springfield, Sandie Shaw.
E’ un’ispirazione generale. Un’ispirazione che trae origine dalla natura contemplativa degli Inglesi (leggere a riguardo le opere letterarie del naturalista americano di genitori inglesi, Hudson) e che, disfattasi, appunto, del soffocante orpello vittoriano, si afferma, incanta, seduce. Ti guadagna alla sua causa! Di pari passo, arriva il “New English Cinema”, di cui è caposcuola il regista Lindsay Anderson, “neo-realista” d’Oltremanica: temi quindi forti, aspri, veri, come in “This Sporting Life”, con un superbo Richard Harris, una superba Rachel Roberts. Arriva la Fotografia “the English way”, che nel 1967 ispirò Michelangelo Antonioni col suo celeberrimo “Blow Up”.
Aveva comunque preceduto tutti quanti Mary Quant che nel ’55, in King’s Road, aveva aperto la boutique “Bazaar” e lanciato poi la sensazionale minigonna, tesa alla valorizzazione delle carnose cosciotte delle ragazze inglesi, e quindi delle cosciotte di francesi, tedesche, svedesi, americane, italiane…
E’ una pirotecnia! Uno sfavillìo! Nulla di simile s’era visto dai tempi del Settecento francese, inglese, olandese, anche italiano in termini di moda femminile e maschile, in termini di “joie de vivre”: in termini grandiosamente estetici. Ma anche cerebrali, spirituali.
I Beatles scandiscono le giornate, gli anni degli Inglesi e di tanti non-inglesi: italiani come noi, tedeschi, francesi, scandinavi, australiani, neozelandesi, canadesi, anche americani. Dopo il periodo ‘giovanile’ (“Please Please Me”, “She Loves You”, “You Can’t Do That”, “I Saw her Standing There”) arriva la ‘maturazione’. Arrivano “No Reply”, “Crying For No-One”, “While My Guitar Gently Weeps”, “She’s Leaving Home” “Fool On The Hill”.
Lennon, McCartney, Harrison, Ringo Starr sono, eccome, gli interpreti di un Nuovo Mondo tuttavia ancorato (“Penny Lane”, “In My Life”) alla dolcezza della Tradizione, del Ricordo… In questo risiede, sì, il genio inglese raffigurato dai “Fab Four”. Basti fare l’esempio di “Honey Pie”… She was a working girl north of England way… Now she’s hit the big time in the U.S.A… But if she could only hear me, this is what I’d say”…
Era un mondo legato all’essenzialità della vita quotidiana, ma anche alla ‘grandiosità’ dell’essere umano. Era un mondo di creativi. Di esteti! Di donne e uomini disposti alla riflessione, all’introspezione. All’indagine, “spietata”, di se stesse, di se stessi. Un Mondo che non ci poneva limiti… E noi galoppavamo con gioia, con curiosità, “no matter what”! Come dicono gli Inglesi, “we used to take things in stride”!
I Beatles… Avevo 19 anni, era l’estate del 1965… Mi trovavo a Portici, dove viveva la ragazza della quale ero cotto stracotto… Si chiamava Immacolata, detta Titti. Il pomeriggio l’aspettavo in un caffè di Piazza San Ciro, provvisto di juke-box “Wurlitzer”. “No Reply”… “I Wanna Hold Your Hand”, “You Can’t Do That”…
Poi lei arrivava flessuosa, dondolante, e allora ci rifugiavamo ansiosi, frementi, al Granatello o al Cinema “Vittoria”…
Che bello esser nati nel 1946!