Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, si è esibito sabato pomeriggio a Prospect Park, Brooklyn, nel corso del festival GoogaMooga aperto venerdì da band come gli Yeah Yeah Yeahs e The Flaming Lips. In Italia la performance di Jovanotti a New York ha guadagnato i titoli dei giornali ma in America non sono in molti a conoscere il nostro connazionale. Quando si tratta di pop music e tanto più di hip-hop o rap — che è, almeno in teoria, il filone in cui si inserisce Jovanotti — l’Italia non è esattamente il paese cui si rivolgono sguardi e orecchie. La musica italiana continua a essere legata a espressioni più classiche.
Le apparizioni di Jovanotti su questa sponda dell’Atlantico non sono una novità. Fin dal 2009, il cantante ha concentrato le sue energie a diffondere la sua musica negli USA, ma un rapido sondaggio tra amici e conoscenti dimostra che la missione non è compiuta. E sabato, nel prato davanti al palco, chi era arrivato per sentire Jovanotti era per lo più italiano. Gli altri erano stati richiamati da un festival che sta diventando rapidamente popolare, anche perché è uno dei pochi eventi di quelle dimensioni offerti gratuitamente.
Nonostante gli sforzi di alcuni musicisti pop, la musica italiana negli States è associata alla canzone melodica popolare o alla musica colta. Superare lo stereotipo di O Sole mio non è cosa facile e nel migliore dei casi gli americani associano l’Italia a Pavarotti e alla lirica. Per gli appassionati di musica classica, poi, il volto dell’Italia è quello di Riccardo Muti, sicuramente un biglietto da visita d’eccellenza, che però non riflette la complessità del panorama musicale nostrano contemporaneo.
E sarà anche un poco colpa nostra, se non riusciamo a far conoscere il meglio della nostra produzione culturale (non solo in campo musicale) e le uniche cose che facciamo uscire dai confini nazionali sono prodotti commerciali che hanno, obiettivamente, poche speranze quando si tratta di competere con chi la musica pop l’ha inventata. Anche scorrendo il calendario dei tanti eventi in programma per il 2013 Anno della Cultura Italiana, ci si accorge che la musica contemporanea è quasi del tutto assente, come fosse il cugino povero di cui alle feste ci si vergogna. Molti gli eventi verdiani, le orchestre e le filarmoniche, ma si rischia di dare la sensazione che, dai tempi di Verdi, l’Italia non abbia più prodotto una nota degna di essere esportata.
Un nome, però, c’è. Un nome e una musica che in questi giorni può capitare di sentire nelle radio americane. Ludovico Einaudi, pianista e compositore eclettico e raffinato, che parte dalla tradizione classica per inventare una musica estremamente contemporanea, ha già conquistato gli inglesi e promette di riscuotere successo anche in America. Einaudi si è esibito sabato alla Town Hall di New York e nei prossimi giorni sarà a Washington, Los Angeles, San Francisco e Boulder con brani del suo ultimo album In a Time Lapse. La sua musica è in grado di mescolare le sonorità della cultura popolare italiana, tra pizzica e tarantella, con la musica classica, l’elettronica, il rock e il pop, dando vita a una produzione unica nel suo genere. La settimana scorsa la stazione radio WNYC ha dedicato una puntata del programma New Sounds al musicista italiano che ha parlato delle sue influenze, delle sue molte collaborazioni e raccontato la lavorazione del suo ultimo album. “In Europa Ludovico ha raggiunto uno status molto vicino a quello di rock star”, ha detto il presentatore del programma, John Schaefer. Pasticciando tra presidente della Repubblica e presidente del Consiglio, Schaefer ha poi ricordato che “Ludovico viene da un’illustre famiglia italiana”. Einaudi infatti non è un semplice omonimo, ma è il figlio del famoso editore, nonché nipote del secondo presidente della Repubblica Italiana. Sembra che per la terza generazione consecutiva, la famiglia Einaudi abbia dato vita a qualcosa di cui l’Italia può essere orgogliosa.