Nella foto la fisarmonica e voce Gualtiero Bertelli; Piano e voce Paolo Favorido; Voce Giuseppina Casarin; Voce, chitarra e percussioni Rachele Colombo; insieme a la voce narrante Gian Antonio Stella e la Prof. Teresa Fiore (Foto di Rosella Pennacchio)
Io partu pe’ l’America luntana,
nun sacciu adduje me porta la fortuna.
Con questi versi di un canto popolare si è aperto “The Horde” (L’Orda), lo spettacolo teatrale che venerdì 30 Settembre ha portato in scena “Storie, canti e immagini degli immigrati italiani” alla Montclair State University del New Jersey. Coordinato dalla Prof.ssa Teresa Fiore, docente di Studi Italiani e italoamericani presso la cattedra intitolata a Theresa and Lawrence Inserra, l’evento rientrava nel NY-NJ Italian Culture Bridge Program ed è stato realizzato con il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura a New York, dei Consolati italiani di New York e Newark e del Coccia Institute for the Italian Experience in America.
I canti e il talento de La Compagnia delle Acque, uniti dalla regia di Gualtiero Bertelli ai racconti e al carisma di Gian Antonio Stella, hanno accompagnato i quasi 150 spettatori in un viaggio della memoria attraverso i dolori e i successi di oltre un secolo di immigrazione italiana.
A riempire il Jed Leshowitz Recital Hall della Cali School of Music c’erano di studenti, professori, rappresentanti di associazioni italoamericane (tra cui UNICO), diplomatici, musicisti e italoamericani in pensione.
Stella, nota firma del Corriere della Sera e prolifico autore di libri, tra cui “L’Orda” (Rizzoli, 2002), dal quale è tratto lo spettacolo, ha fatto riemergere dall’oblio eventi e personaggi che hanno segnato la storia degli immigrati, sottolineando come questa stessa storia sia intrinseca alla storia italiana, così come a quella americana. “L’Orda e`un modo ideale per riflettere sulla formazione della nazione italiana attraverso la lente complessa e imprescindibile della sua diaspora, in occasione del 150mo anniversario dell’unificazione", ha precisato in apertura dello spettacolo la Prof.ssa Fiore. Diviene dunque anche un modo per portare in scena e dare il giusto spazio a quella parte d’Italia che ha trovato fortuna lontano, e che in molti casi è riuscita a fare grandi cose. A una parte d’Italia che, pur essendo stata costretta ad abbandonare la propria terra per inseguire una vita dignitosa, non esita a dichiararsi ancora orgogliosa delle proprie origini. “Throughout the whole program, I was touched, emotional, wishing my parents and family attended and most importantly, proud to be an Italian," ha commentato via mail uno degli spettatori.
E in effetti, come ha ricordato Stella attraverso un’impressionante carrellata di nomi, gli italoamericani hanno ottime ragioni d’orgoglio, accanto all’ottima cucina che possono vantare di aver esportato.
Partendo da Filippo Mazzei, che ha ispirato il principio fondamentale della Dichiarazione di Indipendenza statunitense “tutti gli uomini sono stati creati per loro natura uguali”, passando per l’intraprendenza di Amedeo Giannini, fondatore a Francisco della Bank of Italy, oggi Bank of America, Stella ha ricordato la genialità di Enrico Fermi, padre dell’energia nucleare, fino ad arrivare al successo nella musica e nel cinema di personalità come Frank Sinatra (nato nel New Jersey) e Robert De Niro. Il pubblico ha poi sussultato nel ricordare che anche dietro a “Mr Peanut” ci fosse inaspettatamente un italiano: Amedeo Obici, fondatore della Planters Peanuts Company.
La lista di nomi che hanno dato un memorabile contributo alla storia, alla scienza e alla cultura americana è poi sfociata nel verso di un canto popolare “Urtò il Sirio un orribile scoglio, di tanta gente la misera fin.” E così dal successo si è passati alla tragedia, all’orrore di una nave che naufraga, oggi nel Mediterraneo come ieri. Era il 4 agosto 1906 quando il piroscafo “Sirio” si schiantò sulle coste spagnole di Cartagena, interrompendo la vita di quasi 500 persone (secondo alcune fonti), per la maggioranza Italiani in rotta per il Brasile. Di eventi del genere se ne sono verificati molti, ma non abbastanza da scoraggiare le partenze. In centinaia continuavano a cercare un’alternativa alla fame di un’Italia poverissima, per poi doverla conquistare con fatiche e sacrifici che forse neppure avevano immaginato. La vita era durissima, “che se avessi potuto non mi sarei fermato in America neppure un’ora”.
“The Horde” ha inoltre ricordato al pubblico del New Jersey che la difficoltà non stava solo nel sopravvivere al viaggio e alla fatica del lavoro. Bisognava superare anche un’altra fase inevitabile in ogni storia di immigrazione: il processo di integrazione, che per forza di cose passa per un’ altra vicenda, più dolorosa, chiamata discriminazione o peggio ancora, più propriamente, razzismo. Alcuni “scienziati” tentarono di dimostrare l’associazione tra la razza nera e quella italiana (la linea rossa che avrebbe diviso gli “ariani” dai “neri” passava all’altezza di Milano e avrebbe fatto rabbrividire anche Bossi) e tra gli Italiani immigrati centinaia furono le vittime di discriminazioni e linciaggi. Basti ricordare la tragedia del 25 marzo 1911, quando il fuoco divampò alla Triangle Shirtwaist, una camiceria situata al decimo piano di un palazzo di New York, in cui le operaie erano rimaste intrappolate, chiuse dentro dal proprietario timoroso che uscissero a fumare. Si buttarono dalla finestra e i teli non bastarono ad attutire la caduta. Durante questa “macabra grandinata”, per usare le parole del Daily Telegraph, persero la vita quasi 150 donne, incluse tante italiane.
Esemplare è poi stata la vicenda di Nicola Vanzetti e Bartolomeo Sacco, i due anarchici arrestati ingiustamente con l’accusa di omicidio e condannati alla sedia elettrica nel 1927. La loro esecuzione ha scosso le coscienze di migliaia di Americani ed è sulla scia del riconoscimento di questo “martirio” che gli Italiani cominciarono ad acquisire una nuova considerazione: negli anni Trenta Fiorello La Guardia venne eletto sindaco di New York.
Lo spettacolo si è concluso con un tuffo nel presente, sulle coste del Bel Paese: un viaggio nel tempo che ha accostato i primi immigrati italiani in America ai nuovi immigrati in Italia. È così che l’Italiano vestito da uomo-orchestra con un cappello da giullare, la ghironda in mano e un tamburo sulle spalle, somiglia incredibilmente al ragazzo nordafricano che si sfianca sulle spiagge bollenti carico di mercanzia. A degli occhi superficiali, così addobbato, potrebbe ricordare un albero di Natale fuori stagione. E invece dovrebbe ricordarci noi.