Stella era la quintessenza dell’italiano”. Con questa frase Barbara Haskell, nota critica d’arte americana, ha aperto il suo discorso sull’artista italoamericano Joseph Stella (1877- 1946), durante la tavola rotonda a lui dedicata giovedì 10 novembre al Museo di Newark in New Jersey. Proprio in questo museo, al secondo piano, un’intera sala ospita una delle opere più celebri di Stella e del Futurismo americano: si tratta di Voice of the City of New York Interpreted, un polittico realizzato tra il 1920 e il 1922, che restituisce un’immagine di New York unica, mistica e futurista al tempo stesso. Organizzato dalla Cattedra Inserra di Studi Italiani e Italoamericani della Montclair State University (New Jersey), in collaborazione con il Consolato Italiano di Newark e il Dipartimento di Arte e Design di MSU, l’evento è stato un’importante occasione per conoscere a fondo un artista vissuto tra l’Italia e gli Stati Uniti, che trovandosi tra due mondi, in esilio perenne, ha saputo dare un’originale interpretazione del Futurismo, carica della forza che solo la visione dell’industrializzazione americana poteva scatenare. “È proprio questo doppio aspetto della vicenda personale e artistica di Stella che mi ha portato a realizzare questa serata e a Newark, dove Stella ha lavorato come artista – ha sottolineato Teresa Fiore, titolare della Cattedra Inserra. “Sono grata alle varie istituzioni che hanno sostenuto questo evento, con dinamismo, direi, futurista, e, oltre al museo, in particolare al Console Andrea Barbaria che in linea con il mio spirito ha abbracciato un progetto incentrato sulla ‘congiunzione dei mondi’ per citare Stella, i mondi della cultura italiana, americana e quindi italoamericana”.
Sul palco del Billy Johnson Auditorium del Museo di Newark, di fronte a una platea di circa trecento persone composta da studenti di italiano e di storia dell’arte di MSU e Rutgers University, cosí come di esponenti della comunità italoamericana e aficionados di questo interessante museo, si sono susseguiti gli interventi di Ara H. Merjian (NYU), Barbara Haskell (Whitney Museum), Renato Miracco (Ambasciata Italiana) e Pellegrino D’Acierno (Hofstra University), coordinati da Teresa Fiore. Ha aperto la tavola rotonda Ara H. Merjian, professore di Studi Italiani e Storia dell’Arte,
che ha proposto un solido excursus sia attraverso la produzione degli artisti contemporanei a Stella che operarono a New York nell’ambito delle avanguardie sia attraverso i dipinti classici che hanno influenzato il poliedrico Stella, dai ritratti del Caravaggio, alle tele del Botticelli e alle immagini sacre della tradizione popolare. Dopo Merjan è stata la volta di Barbara Haskell, che conosce a fondo la figura di Stella avendo curato una retrospettiva delle sue opere nel 1994 al Whitney Museum. Il catalogo intitolato Joseph Stella, da lei realizzato in quella occasione, è considerato ancora oggi il più autorevole riferimento per gli studiosi dell’artista italoamericano. In poco più di venti minuti, Haskell è riuscita a restituire al pubblico uno straordinario ritratto di Joseph Stella, sia come artista che come immigrato italiano negli Stati Uniti. “Quando Stella è arrivato a New York, nel 1896, non era motivato da ragioni economi- che, né tantomeno politiche, e in un primo momento si sentiva spaesato”, ha spiegato
Haskell. Lavorando come illustratore per riviste americane, l’artista, originario di Muro Lucano in Basilicata, si trovò presto a documentare con i suoi disegni la vita dei poveri immigrati, in particolare quella dei minatori. Scendendo nelle miniere di carbone della Pennsylvania con i suoi conterranei, ha conosciuto “l’inferno”, e ha potuto riflettere sul rapporto tra gli uomini e la macchina industriale.
Stella è stato un “artista eccezionale fin dall’inizio, a partire dai suoi studi a New York”, ha raccontato Haskell. Ma la rivelazione di come il futurismo potesse entrare in relazione con l’America moderna è arrivata a Coney Island, quando “immerso in una cacofonia di suoni, segni, luci e persone”, Stella ha riconosciuto quell’esperienza multisensoriale che anima la poetica futurista e ha realizzato la rivoluzionaria tela Battle of Lights (1913).
Parlando di Voice of the City of New York Interpreted, l’opera in esposizione permanente al museo di Newark, Haskell ha poi svelato la spiritualità dell’opera di Stella. L’artista ha ripreso una struttura utilizzata comunemente nel- l’arte religiosa, il polittico, per “portare sull’altare” la modernità. “Davanti al ponte di Brooklyn si sentiva come dinanzi a una nuova divinità” ha spiegato. Il ponte diviene un simbolo dell’America, della tecnologia e del progresso, dove uomo e macchina si uniscono per diventare una cosa sola. Nei cinque pannelli che compongono l’opera (il porto, Broadway I e II, il ponte, e i grattacieli) non sono rappresentate persone, ma si percepisce la vitalità umana e si celebra la redenzione attraverso il progresso tecnologico. “Il lavoro di Stella va molto oltre lapoetica futurista. È un inno romantico all’innocenza e alla gioia”, anche se l’artista era consapevole del volto infernale ed alienante del progresso industriale.
La seconda parte della tavola rotonda ha poi proposto degli interventi di carattere spettacolare. Renato Miracco, curatore di mostre e attaché culturale dell’Ambasciata Italiana a Washington, ha rapito e stupito il pubblico improvvisando un reading futurista à la Filippo Tommaso Marinetti. “È questa l’energia dell’Italia che Stella ha portato in America”, ha detto Miracco appena terminata la sua performance, ricevendo una pioggia di applausi. Nel corso del suo intervento, il critico ha voluto inoltre sottolineare il background dell’artista lucano e l’influenza che hanno esercitato su di lui gli altri futuristi italiani: Marinetti, Depero, conosciuto a New York, ma soprattutto Giacomo Balla e Umberto Boccioni, le cui opere sono esposte anche al MoMA. Descrivendo la reazione di Balla di fronte alle luci di Parigi, in una città in cui le candele erano ormai state sostituite dall’elettricità e sembrava che neppure la luna avesse più ragione d’esistere, Miracco ha aiutato il pubblico a intuire lo stupore che deve aver provato Stella immerso in una metropoli moderna e industrializzata come New York.
A chiudere la tavola rotonda è salito sul palco Pellegrino D’Acierno, professore di Italiano e Studi Comparati: con un cappello sullo stile di quello indossato da Stella nelle fotografie d’epoca, D’Acierno non ha potuto nascondere una certa somiglianza fisica con l’artista. Mentre sullo sfondo scorrevano panorami dei paesi arroccati sulle alture della Lucania, accompagnate da fotografie del lungo viaggio in nave affrontato dagli immigrati, e da immagini dell’America industrializzata, D’Acierno ha letto dei brani tratti dagli scritti di Stella, pubblicati nel catalogo di Barbara Haskell. “Bisogna prestare attenzione a due aspetti degli scritti di Stella”, ha avvertito lo studioso prima di iniziare: “Ai testi, deliranti come i suoi dipinti, e alla sintassi,che tradisce le sue origini italiane”. In effetti, come aveva sottolineato anche Haskell duran-
te il suo intervento “a Stella non importava diventare americano”.
Sarà anche per questo che è diventato uno degli artisti italiani più interessanti negli Stati Uniti del ventesimo secolo?