«Classico ribelle», di Giovanni Allevi, pp. 135, Rizzoli, Milano, 2011, Euro 16,00
Un tenace “guerriero della musica” e la battaglia contro “il mondo accademico che mi ha attaccato”: questo, in sintesi, il «Classico ribelle» di Giovanni Allevi, pianista dalla tecnica e dalle doti incredibili, compositore e… filosofo. Si parla qui, con poesia e libertà, del vero e del bello, della tradizione e del presente, di Platone e di Mozart, di un nuovo Rinascimento e di un vivere artistico alla giornata. E’, al solito, un Allevi senza peli sulla lingua, arguto e innocente, che non evita il colloquio-scontro con l’Accademia paludata, e non si fa scrupolo per un futuro che, non disdegnando il passato, comincia comunque con l’oggi, con noi. Un modo coraggioso ed intelligente, il suo, di “mettersi in gioco” ogni istante, affermando a chiare lettere il diritto alla propria unicità, costi quel che costi. Come non essere d’accordo con lui che “va bene Mozart, ma non restiamo incantati di fronte alla sua magnificenza, e incapaci così di scrivere qualcosa di nuovo”? E non era forse lo stesso Mozart un “ribelle” per i suoi tempi”?
E non lo furono poi, di volta in volta, anche gli altri grandi compositori di concerti, sinfonie, etc., da J.S. Bach a Beethoven? E forse un certo Verdi non attingeva a piene mani alle realtà storiche dei suoi giorni, ribelle perciò egli stesso?
Allevi, di gran stile, raffinato, coraggioso e deciso a raggiungere il sogno di libertà e di umanità che solo la musica riesce a suggerire (e a realizzare), scrive composizioni originali e suggestionanti, sia con le parole sia con le note, un’ispirazione genuina la sua che dalla tradizione, conosciuta assai bene ed amata, si muove verso un futuro di novità e di maggiori libertà espressive.
Che la musica si rinnovi continuamente, che sia sacrificio, espressione di una quotidianità sempre alla ricerca di un mondo comunque migliore e più equo (non solo nell’arte) è missione per il Nostro ha da sempre seguito religiosamente e professato a chiare lettere. Non l’indeboliscono perciò il confronto col reale e la lotta contro l’ottusità di chi dubita che il nuovo possa essere "vero". Un’intelligente lezione di… filosofia, quindi, questa di Allevi, che ci fa compagnia con i suoi dubbi esistenziali, le sue fobie e le sue attese, e ci aiuta a meglio comprendere, attraverso le sue "normali" difficoltà, quanto e quanti ci vivono intorno.
«L’emozione – ha scritto – è il linguaggio attraverso cui si comunica con sincerità, mettendosi a nudo, senza timore di mostrarsi fragili e indifesi, perché la fragilità è la nostra forza, in un mondo trascinato dalla ragione verso la competizione estrema».
Ed emozioni la sua musica offre in quantità e qualità impressionanti. Eccellente tecnica non solo, ma anche, se non soprattutto, un cuore grande così e una mente che non evita la dialettica con i compositori più famosi, ma riesce a dialogare con loro, a staccarsene con coraggio e determinazione, e ad affermare dietro ogni nota le sue idee, seguendo il concetto che la musica
sia evoluzione e non rottura rivoluzionaria con quanto sia stato prima tanto per… rompere, e senza l’ansia dell’originalità a tutti i costi quest’ultima anzi, viene spontanea proprio attraverso quel rimuginìo che è il tormento sanguigno e palpitante della creazione.
«Chiunque affronti un’attività artistica e creativa entra in diretto contatto con il mistero delle cose. E scopre che la quotidianità, privata del disincanto grazie all’Arte, è capace di regalare squarci di senso e lampi di divino».
Poesia quindi, oltre che filosofia. Sete di perfezione, tensione costante, e coscienza dei limiti dinanzi al trascendente, all’assoluto verso cui la musica è viatico (e anche sofferenza), testimonianza inesauribile della sorpresa e dello stupore dinanzi a quel che non si riesce a cogliere con lucidità. La musica vibrante di Allevi è tutto questo: una via essenziale, catartica e necessaria sottolinea la sete di stelle e d’infinito.
Passione, preghiera e poesia: forse queste tre parole riescono più di altre a riassumere la sua ispirazione. E’ il gusto della sorpresa e lo stupore dinanzi ai misteri dell’esistenza ad essere sottonileati in composizioni che affascinano soprattutto (ma non solo) il mondo dei giovani, e che cozzano spesso (vedere, ad esempio, le passate polemiche col violinista Uto Ughi e con certa critica) con ciò che “è” o “è stato”. Ma Allevi, forte com’è anche di una solida preparazione filosofica affiancantesi alla sua forte educazione da conservatorio, sa benissimo quanta e quale sia la forza d’urto del cosiddetto “nuovo” quando questo va a minare certezze apparentemente consolidate, nella vita d’ogni giorno e, più in particolare, nel mondo della musica. Il suo è un canto delle cose, del minimalismo (nient’affatto in senso negativo) esistenziale, di un paradiso fatto francescanamente d’ingenuità e di semplicità, di piccoli tesori.
Così, mentre da un lato è colto dalla “febbre” della composizione o impegnato in incisioni o in tour concertistici, da solo o in compagnia d’una vera e propria orchestra sinfonica, resta affascinato da un filo d’erba o da un ragno che si muove su una terra spaccata e secca. E’ questo il suo senso della vita, ed è questo uno dei significati che più compaiono nella sua musica.
Una favolosità leggera, antica e giovane insieme, imprevedibile e ricca di coloriumori come voli di farfalle. Questa la prima immediata sensazione che si prova ad ascoltare le sue note e a leggere le sue pagine. Sembra quasi di trovarsi, con lui, fra le creature di certi Calvino e Bonaviri, impalbabili eppur reali, di un mondo che è dentro e fuori di noi allo stesso tempo; a tratti, poi, ci si trova immersi in una ombrosità misteriosa alla Ortese, a tratti in un mitico riveduto e riassaporato alla Savinio.
Ma è la vita in sé, i sentimenti genuini che accomunano, la pensosità sull’esistenza, che si rifà a un certo Socrate, a trovar passo in composizioni che possono venir lette (pardon, "ascoltate") come un unicum oppure come quadri sparsi d’una gran bella e coerente galleria.
Ma la musica cos’è veramente per Allevi?
«Una strega capricciosa – ebbe a dire in una recente intervista – che viene a trovarmi solo ed esclusivamente se io sono aperto al mondo, alla vita, alle esperienze. La musica bussa alla mia porta quando sono fragile e indifeso rispetto al mondo esterno».
Una forza intrigante e suadente la sua, che porta a una sorta di viaggio-scoperta ove il virtuosismo sposa l’intuizione, e dove la poesia si fa confessione d’amore e di solidarietà con gli altri, ove la genialità (non possiamo né sappiamo trovar altro termine) va a trovare poi espressione in una quotidianità dall’ovvietà di- sarmante.
Il genio insomma, questo Allevi, non è creatura che vive e produce altrove, lontano da tutti e da tutto, chiuso nella presunzione sufficiente del sé, ma è
uno di noi, comune eppur differente, capace com’è – e non è dote di tutti – di cogliere messaggi e sensazioni sia col cuore sia con la mente, e di schiuderne il segreto a chiunque sia pronto ad accoglierlo. Ed è in questa luce che andrebbero lette e meditate queste pagine anti-casta.
«C’è sempre – afferma Allevi – un’attenzione da parte mia alla realtà che ci circonda, a chi, in ogni settore della società, dà il massimo e il meglio di sé».
E la musica, la sua musica, non è certo differente, anzi. Allevi è un poeta bambino che attraverso le note e le parole rivela il suo stupore dinanzi all’incanto e alla meraviglia delle cose, degli uomini e della natura, del visibile e dell’immaginabile, di quanto si sente e si tesorizza dentro di noi. Una specie di liricità musicale e filosofica insieme, rivoluzionaria sì ma non troppo, coinvolgente e misteriosa, fragile e compassionevole; umana, insomma. E anche una dichiarazione disarmante di insicurezza.
«Se fossi stato più sicuro di me – ha confessato – probabilmente non avrei mai fatto musica».
Una vera e propria lezione di filosofia, esistenziale oltre che musicale, quindi, questa di Allevi, e anche d’umiltà. Non resta che "ascoltarlo" e leggerlo, convinti anche noi che la musica si rinnovi continuamente, che sia sacrificio, oltre che espressione di una quotidianità sempre tesa alla ricerca di un mondo comunque, e malgrado tutto, migliore e più equo (non solo per l’arte).
Una lezione, in fondo, d’amore.