A lato Edoardo Bennato; sotto insieme a Silvia Giampaola dell’IIC, la traduttrice e Massimo Gallotta.
Siamo abituati a sentirlo cantare, a vederlo su un palco imbracciare la chitarra e indicarci la strada per l’isola che non c’è. Ma alla vigilia del concerto alla Highline Ballroom di New York del 26 Marzo, Edoardo Bennato si ‘siede’ nel salotto dell’Istituto Italiano di Cultura insieme ai fan e agli appassionati di una generazione.
A organizzare l’incontro Massimo Gallotta, della Gallotta Production che riporta Bennato a NY dopo ben vent’anni, e Silvia Giampaola, addetta alla promozione culturale dell’Istituto per le sezioni del Teatro, della Musica e della Danza.
Puntuale la presenza della stampa, un po’ meno forse quella del pubblico che probabilmente ha preferito attendere il giorno successivo, quello del concerto, ma quando entra Bennato la sala sembra improvvisamente riempirsi e stringersi intorno a questo piccolo uomo che ha fatto grande il rock in Italia e che in perfetto inglese (nonostante l’interprete a disposizione) inizia a raccontarsi: «Quando ero un bambino di appena 5 anni, il mio primo contatto con l’America fu la radio e il suo sound mi colpì moltissimo –e il cantante napoletano fa eco intonando l’indimenticabile “Diana” di Paul Anka- I’m so old and you are so young. This, my darling, I’ve been told».
Il legame di Bennato con l’America ha quindi radici profonde tanto che il cantante confessa di comporre le sue canzoni dapprima «in un inglese strano e poi devo trovare il testo che può arrivare anche dopo una ricerca di anni. Perché la voce del rock è in inglese –dice Bennato- e se non vogliamo che il nostro venga considerato ‘Spaghetti Rock’ c’è un solo modo di fare rock in Italia, devi comunicare qualcosa».
Attualmente Edoardo Bennato è impegnato nella produzione del Musical Peter Pan, le cui musiche sono tratte dall’album “Sono solo canzonette”: «Questo Musical era il mio sogno segreto e dopo il grande successo riscosso in Italia, ho tradotto i testi in inglese e ora vorremmo portarlo in America, che è come vendere frigoriferi in Alaska! Niente è impossibile. Noi possiamo competere!»
L’entusiasmo del cantante è contagioso quanto il sorriso che rivolge al pubblico con il quale dialoga come a un incontro tra vecchi amici. Si alza un giovanissimo e con nonchalance gli da del ‘tu’ chiedendo se esiste ancora in Italia il Rock&Roll di un tempo: «Il Rock è uno stile di vita. Quando ho iniziato, negli anni ’50, i primi idoli erano Elvis, Jerry Lewis, Muddy Waters e c’erano ragazzini fuori dalle scuole che si scambiavano i loro album. Quei ragazzini si chiamavano Mick Jagger e Paul McCartney che a loro volta diventarono grandi. I tempi cambiano e ora non c’è più il fanatismo per i grandi idoli, forse gli ultimi sono stati gli U2, ma ci sono ancora buone energie».
Silvia Giampaola, con una punta di malizia nella voce, chiede a Bennato: chi sono oggi i ‘buoni e i cattivi’? «In ogni schieramento ci sono i buoni e ci sono i cattivi –risponde il cantautore- Quando ho scritto questa canzone ironizzavo sul fatto che i ‘buoni’ accusavano i ‘cattivi’ di stare al potere. Ogni comandante ha l’esercito che si merita e ogni esercito ha il comandante che si sceglie. Ma è sempre dal popolo che arriva quella coscienza sociale dell’umanità che regola i meccanismi tra le popolazioni». Poi Bennato approfondisce il suo pensiero filosofico: «C’è un parametro che regola questa cosa. È il motivo del perché la gente è diversa a Seattle piuttosto che nel Lagos o in Nigeria o a Palermo. Non è una questione di buoni o cattivi, di stupidi o intelligenti, di vittime o carnefici ma semplicemente di come la famiglia umana ha reagito in relazione ai luoghi e all’emigrazione. Tutti gli esseri umani hanno le stesse potenzialità, oramai lo sappiamo, non ci sono razze ma solo una che si è modificata in base allo spostamento latitudinale».
Infine, quasi cogliendo la malizia tesa dalla Giampaola, Bennato dice: «Il Rock per me è provocazione. Le sue canzoni vogliono essere provocatorie anche sulla situazione che c’è oggi in Italia, che possiamo definire kafkiana, quasi grottesca –dal pubblico si ode una risatina- …e fortuna che ridiamo!»
Edoardo Bennato saluta tutti ma prima imbraccia la Gibson appena acquistata e ci fa ascoltare un passo di quella che forse è la sua canzone più amata e che inizia così: Seconda stella a destra, questo è il cammino. E poi dritto, fino al mattino..
Dedicato al Peter Pan che vive in ognuno di noi.