
Colpita da una pagina di testo elaborata e ricca di disegni e colori – mi sono messa alla ricerca della autrice ed ho incontrato Tina – che seppur raffreddata – mi ha riscaldato il cuore con il suo racconto.
Tina raccontaci qualcosa di te: chi sei, cosa fai?
“Mi chiamo Tina Festa, sono una insegnante di scuola primaria a Matera – città in cui vivo e lavoro attualmente”.
Però ho fatto lavori diversi prima di approdare – per vocazione – all’insegnamento.
“Insegnare è la mia dimensione ideale – la mia missione, ma per arrivarci ho percorso strade differenti partendo da stazioni diverse. Ho lavorato prima come interprete in una multinazionale israeliana – poi sono passata ad occuparmi di “qualità” – ossia del controllo di qualità – presso la stessa azienda finendo per assumere – col tempo – un ruolo manageriale. E’ stato un percorso interessante perché questa evoluzione lavorativa ha coinciso con un periodo di grande riflessione personale. Mi sono gradualmente accorta infatti che ero bravissima ad occuparmi di “controllo di qualità” ma che stavo vivendo parallelamente una vita qualitativamente non soddisfacente con il mio “io” più profondo; quindi mi sono allontanata da questo settore e mi sono riavvicinata all’insegnamento, che avevo accantonato.

“Nothing’s carved in stone” – dicono gli statunitensi…
“Già. Nulla è definito a tal punto da non poter essere modificato. Io mi sono semplicemente accorta – dato che stavo attraversando un momento delicato della mia vita – che ciò che stavo facendo a livello lavorativo non era quello che mi dava maggior soddisfazione”.
Tina il cosiddetto “Caviardage” di cui sei la pioniera quando vede la luce?
“Cronologicamente potrei risponderti che una data c’è ma te ne parlerò più avanti. Anche in questo caso c’è un pregresso, esiste qualcosa che ha portato a far sì che nascesse, che vedesse – come tu dici – la luce. Nel 2004 ho attraversato un periodo di esperienze forti che mi hanno fatto mettere in discussione tutto: dal rapporto con Dio, a quello con la famiglia e con gli altri in genere, tanto che le mie prospettive erano cambiate, come taluni miei pensieri. Ero alla ricerca – quindi – di strumenti per tirare fuori, per esternare queste emozioni perché non riuscivo ad esprimerle a voce. Ho provato ad avvicinarmi all’arte ma non avendo fatto studi artistici né avendo alcuna conoscenza o rudimento tecnico – in me non c’era altro che una sorta di frustrazione emotiva. Ero afona e volevo gridare – ma come? La mia valvola di sfogo la trovai qualche tempo dopo con la scoperta della cosiddetta “mail art” (arte postale) ossia l’arte espressa tramite cartoline postali”.
Spiegaci meglio: cosa intendi per arte con cartoline postali?
“Si tratta di un movimento artistico nato alcuni decenni fa – precisamente intorno agli anni ‘20 ed aperto a tutti, non serve essere artisti. Ci si iscrive a dei bandi che vengo lanciati – dal tema prestabilito : ecologia, natura, etc ed è possibile partecipare “costruendo” la propria cartolina postale a mano (sono delle vere e proprie opere d’arte) e spedendola in tutto il mondo. Pensa che ho avuto anche l’onore di partecipare con la mia creazione vedendola accanto a quella di Yoko Ono – grande sostenitrice e partecipante a questa corrente artistica. Però mi sono resa conto che anche questa forma espressiva – visuale prevalentemente – non mi era più calzante a pennello. Mi restava l’inquietudine di non comunicare comunque qualcosa di scritto – qualcosa di mio: continuava a mancarmi la “parola”. Siamo nel 2009 ed io perdo il mio primo bambino. Dicono che il dolore tiri fuori risorse insperate ed insperabili ed in questo caso è stato così. Una sera ero insonne, assorta nel mio dolore al quale non riuscivo al dare voce. Improvvisamente ricordai di aver visto una trasmissione alla televisione che si chiamava “Passepartout” condotta da Philippe Daverio il quale – quando parlava in studio – aveva una riproduzione alle sue spalle: c’era un’opera che mi sembrava un testo tratto da un libro con varie strisce nere a ricoprire parti di discorso e frasi. Partì tutto da quella immagine: creai il mio primo “caviardage” e lo fotografai con una macchinetta fotografica digitale. Era il 15 ottobre del 2009. Nel mio libro c’è la foto di questo mio primo lavoro. E’ stata donata al poeta Tonino Guerra, ha immagini di farfalle svolazzanti – un messaggio positivo perché è ciò che la sua poesia mi ha sempre trasmesso. Ne seguirono naturalmente altri – e gli ho sempre regalati. Solo negli ultimi tempi ho cominciato a conservare i miei lavori per poter creare una raccolta”.

Parlando con te – mi sembra di capire che il “caviardage” sia un procedimento molto introspettivo.
“Esattamente Paola. Non è un semplice hobby, un semplice annerire od occultare o cancellare cose scritte da altri (così rispondo a qualche critica e spiego meglio il concetto); è un procedimento di scrittura poetica che si realizza partendo da una pagina scritta ma che si conclude attraverso una elaborazione personale. Un processo guidato dalle proprie emozioni e sensazioni. Chi pensa che sia sufficiente cancellare ed annerire parole altrui – non ha minimamente capito cosa sia il “caviardage”; lo stesso nome che deriva dal francese “caviarder” (censurare annerendo) forse può trarre in inganno i profani. Però ci terrei a precisare che è esattamente il contrario: è un procedimento più profondo che mette in gioco emotività inespresse. La prospettiva è diversa; tant’è che esistono lavori effettuati senza annerire od occultare alcuna cosa”.
Col senno di poi – gli daresti un nome differente?
“Beh, sì. Molto probabilmente non è il termine giusto – ma è anche vero che ormai lo conoscono tutti così”.
Quale è il campo di applicazione del “Caviardage”?
“Insospettabilmente variegato. Non ci sono limiti alla creatività. Si può utilizzare in didattica ad esempio nell’insegnamento dell’italiano, storia, geografia, nella scrittura poetica, ma anche con la matematica, il diritto, ecc. E si possono avvicinare ovviamente tutti: adulti e bambini, senza distinzioni. Ho avuto numerosi feedback positivi da colleghi per quanto riguarda la didattica standard ma anche per quel che concerne la relazione d’aiuto al bambino”.
Ci puoi raccontare qualche episodio?
“Certamente. Ricordo che mi rimase impresso il ricordo di un “lavoro” eseguito da una bambina. Era in affidamento o in adozione – non lo rammento precisamente. Era una bambina senza problemi che viveva in un nuovo contesto familiare, accolta ed allevata con amore; però non riusciva – forse – ad esprimere a nessuno quello che era il suo più grande desiderio: ossia quello di conoscere i suoi genitori biologici. Attraverso una sua opera e con questa tecnica – ci era riuscita. Come ti ho detto anche prima, è un procedimento attraverso il quale le persone tirano fuori cose che hanno celate nella loro intimità e con una certa naturalezza. E per tale motivo si può utilizzare il Caviardage anche in arte-terapia, psicoterapia e come un valido strumento nelle mani di professionisti della relazione di aiuto”.
Alcuni però storgono il naso quando vedono pagine strappate dai libri…
“Grazie Paola, perché mi dai l’occasione per specificare bene una cosa. Si utilizzano (io li chiamo così) espressamente “libri da macero” – tu forse non hai idea di quanti libri si buttano ogni anno – migliaia e migliaia. La nostra è una scelta ecologista: diamo una seconda vita, una seconda chance ai libri che ogni anno vengono gettati come spazzatura. Pensa che una casa editrice – qualche tempo fa – ci ha donato una pedana di libri (saranno stati cinque o seimila volumi) dicendoci chiaramente che le sarebbe costato di più smaltirli al macero che regalarceli”.
Una pagina fotocopiata da un libro – non sarebbe la stessa cosa?
(Tina mi risponde con un “nooooooo” che riecheggia per qualche secondo. Ndr)
“Assolutamente no. Oltre al fatto che fare fotocopie non è una scelta ecologica- ci tengo ad affermare che solo il libro abbia l’energia giusta per procedere al caviardage. Quindi rigorosamente libri da macero – pagine strappate e tanta tanta creatività”.
Alcuni saranno anche contenti di strappare pagine dai libri (seppur da macero) ma è necessario? Non si può operare su un libro senza strappare nulla?
“Sì. Questa è una scelta soggettiva. Ci sono persone che lavorano bene su di una pagina particolare (spesso scelta a caso); altre che girano in borsa col loro libro da macero e lavorano su ogni pagina – così da creare il proprio libro rielaborato. La filosofia del caviardage è proprio questa: ognuno diventa l’artefice della propria opera e la propria opera rispecchia il suo artefice e le sue emozioni del momento”.
Tina oggi tu sei influenzata; dimmi la verità: si potrebbe rielaborare anche il bugiardino della aspirina?
“Perché no? Non poniamo limiti alla fantasia e se questa è una sfida – sarei pronta ad accettarla”.
Per saperne di più:
email: tinafesta@caviardage.it
Qui il sito ufficiale del Metodo Caviardage®
La pagina Facebook di Tina Festa
E qui il gruppo facebook degli appassionati di Caviardage
Qui il libro dedicato al Metodo Caviardage® edito dalle edizioni la meridiana.
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