Il siciliano è un miscuglio di quante lingue? Sulle origini della lingua siciliana, intervistiamo lo studioso glottologo e dialettologo Giovanni Ruffino, palermitano di Terrasini, primo linguista siciliano nominato accademico della Crusca il 20 febbraio 2017. I suoi studi linguistici e scientifici sono rivolti alla dialettologia, alla geografia linguistica, alla sociolinguistica, alla lessicografia, all’onomastica.

Ruffino, professore ordinario di Dialettologia e Linguistica italiana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, ha ricoperto il ruolo di preside tra il 1998 e il 2007, ed è anche presidente del Corso di Laurea in Lingue e Letterature straniere e coordinatore nazionale di progetti di ricerca (PRIN). Ha diretto sia il Centro di Studi filologici e linguistici siciliani di cui è presidente, e sia la collana di dieci volumi dei “Lessici siciliani”. La sua carriera si estende all’estero dove ha contribuito a fondare il Dipartimento di Lingua e cultura italiana nell’Università Garyounis di Bengasi, e in Argentina la cattedra di linguistica italiana e dialettologia siciliana nell’università di Rosario, dove gli hanno intitolato il Centro de Estudios Sicilianos. Il professore ha anche collaborato con Max Pfister per il Lessico etimologico italiano, ed è il fondatore dell’Atlante Linguistico Siciliano (ALS), del quale dirige la sezione etnodialettale, e da molti anni guida il Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani. Il contributo del professor Ruffino è fondamentale allo studio dei dialetti italiani e dei rapporti tra lingua e dialetti.
Professore, la lingua siciliana è molto complessa e con radici diverse da quella italiana. Che lingua si parlava in Sicilia mille anni fa o all’epoca normanna?
“Non possiamo dire che la lingua siciliana (ma il termine “dialetto” secondo me è più appropriato) ha radici diverse rispetto alla lingua italiana. In definitiva, entrambe derivano dal latino parlato, anche se hanno poi avuto una storia e un’evoluzione diverse. Tanto per cominciare, a differenza della Toscana – che fu la culla dell’italiano -, dove era presente un sostrato etrusco, all’epoca della conquista romana, la Sicilia era abitata da popolazioni puniche nella parte occidentale, era greca nella parte orientale, mentre le genti di più antico stanziamento – Sicani e Siculi – dimoravano nei territori più interni. Vi è poi da dire che, subito dopo l’anno mille, i Normanni produssero una vera e propria rivoluzione linguistica, introducendo numerose forme di origine settentrionale”.
I primi scritti in lingua siciliana sono datati all’epoca dei normanni e in questi testi si possono notare termini di radice francese fusi nel siciliano moderno? La lingua siciliana odierna si deve ai Normanni oppure discende direttamente dal latino parlato in Sicilia al tempo dei Romani?
“È vero, il grande influsso normanno sulla lingua e la cultura siciliana è ravvisabile nella lingua scritta oltre che in quella parlata. Della lingua scritta oltre che di quell’epoca possediamo solide testimonianze, mentre è possibile ravvisare ancora oggi nel parlato, termini risalenti all’epoca normanna, cioè quasi un millennio fa. Termini normanni e dell’antico francese, ma anche italiani settentrionali (liguri e piemontesi), portati in Sicilia da coloni cosiddetti “lombardi” o galloitalici. E tuttavia la situazione è ancora più complessa, perché prima dei Normanni, alla fine del primo millennio, la Sicilia era stata conquistata dagli Arabi. I conquistatori arabi, in prevalenza berberi, sconfitti i bizantini che erano insediati soprattutto nella Sicilia orientale, trasformarono profondamente il territorio, l’economia, i rapporti sociali e l’identità religiosa. Anche la lingua fu profondamente trasformata. Quando gli Arabi conquistarono la Sicilia, i siciliani parlavano una lingua neolatina, così come nell’intera penisola e in gran parte dell’Europa occidentale. Ovviamente, in ogni territorio il latino aveva una avuto propria e diversa evoluzione, come oggi possiamo osservare nel gran numero di dialetti neolatini.

Inoltre, in Sicilia era anche presente la lingua greco-bizantina, vitale soprattutto – accanto al neolatino – nella Sicilia orientale. Ebbene, durante gli oltre due secoli di presenza araba, anche la lingua fu profondamente arabizzata, tanto che, quando subentrarono i Normanni, moltissime forme originarie latine erano praticamente scomparse. Possiamo dunque vedere come il siciliano odierno presenti diversi strati linguistici: quello latino originario, quello greco-bizantino, quello arabo, quello normanno e quello di matrice spagnola, che verrà successivamente. Si può ben dire che la situazione linguistica della Sicilia è la più complessa (e forse anche la più affascinante) nell’intera area neolatina. Anche per questo i maggiori linguisti italiani e stranieri si sono molto dedicati allo studio della storia linguistica della Sicilia”.
Il latino, come qualsiasi lingua, nel corso degli anni ha subito un’evoluzione e dei cambiamenti. Quale latino arrivò in Sicilia?
“Tutti i linguisti concordano sul fatto che, dopo la conquista romana del 241 a.C., il latino stentò ad affermarsi in breve tempo, così come era avvenuto nelle altre regioni conquistate. Non si può, dunque, sostenere una sostanziale coincidenza tra conquista militare, colonizzazione e latinizzazione. Si può invece dire che, dopo la conquista romana, si avviò un processo estremamente lento di penetrazione e affermazione del latino, processo che si sarebbe concluso qualche secolo dopo, addirittura in epoca imperiale. Come mai? È semplice. All’epoca della conquista la Sicilia godeva della fiorente civiltà greca, incomparabilmente superiore a quella latina del III secolo a.C. È dunque impensabile che i siciliani potessero accogliere la lingua dei conquistatori se non nei limiti dei rapporti politici, amministrativi ed economici. Se a un certo momento il latino si affermò, ciò avvenne perché la cultura romana, erede e continuatrice della cultura greca, aveva raggiunto un pari splendore e prestigio”.
Quanto influsso ebbe la lingua siciliana da quella spagnola sotto il dominio spagnolo, e quali sono i termini spagnoli che si sono diffusi nel lessico siciliano moderno?
“Quando si parla di influsso spagnolo, occorre parlare di catalano e di castigliano, anche se non sempre è facile distinguere le parole di origine catalana da quelle di origine castigliana, penetrate successivamente. Un esempio: una voce come nzirtari ʽindovinareʼo anche ʽcolpire nel segnoʼ che era stata considerata un castiglianismo (da acertar), proviene invece dal catalano ncertar, parola foneticamente più simile al termine siciliano. Altri sicuri catalanismi sono, per esempio, muccaturi ʽfazzolettoʼ o carnizzarìa ʽmacelleria, capunata ʽpietanza in agrodolce a base di melanzaneʼ, appagnàrisi ʽspaventarsiʼ, disfiziatu ʽesasperato, disgustatoʼ, taliari ʽguardareʼ. Tra i numerosi castiglianismi ricordiamo criata ʽservaʼ, baschiari ʽsmaniareʼ, camperi ʽguardiano di un latifondoʼ, làstima ʽdolore, afflizione, pena, lamentoʼ, zotta ʽfrustaʼ, gana ʽvogliaʼ, mantiglia ʽmantellinaʼ”.
Quando avvenne la latinizzazione dal greco nel siciliano? sono evidenti gli influssi lessicali della lingua greca nella lingua siciliana moderna?

“Occorre dire che molte parole greche penetrarono in Sicilia attraverso il latino, dal momento che si erano precocemente latinizzate. Faccio l’esempio di bùmmulu ʽrecipiente di creta per tenervi l’acquaʼ, che deriva dal lat. BOMBYLA a sua volta dal greco bómbylos. Altri esempi di latinismi di origine greca sono grasta ʽvaso per fioriʼ, cuddura ʽfocacciaʼ, càntaru ʽvaso per escrementiʼ, timpagnu ʽfondo della botteʼ. Tuttavia nel siciliano resistono ancora oggi alcune parole che appartengono all’antico strato greco, anteriore al latino, che hanno resistito nei secoli come nel caso di casèntaru ʽlombricoʼ o naca ʽcullaʼ, da cui annacari ʽdondolareʼ. E c’è da precisare che nel greco antico nake voleva dire ʽpelle di montoneʼ (con cui si costruivano le antiche culle sospese)”.
In Sicilia ai tempi degli Arabi si parlava il siculo-arabo oppure un siculo fuso con altre lingue indo-europee?
“Al tempo degli Arabi, cioè tra il primo e il secondo millennio, in Sicilia si parlava prevalentemente un misto di neolatino e di arabo, che qualcuno ha definito “mozarabico di Sicilia”. Questo idioma si indebolì progressivamente con l’avvento dei Normanni, ma non al punto da non lasciare tracce estese e tenaci nei dialetti siciliani con temporanei, ricchissimi di arabismi nel lessico, ma anche nella toponomastica e nei cognomi e soprannomi”.