La Sicilia è la terra che più d’ogni altra sa donargli risposte e ispirazione, il siculish la chiave linguistica per trasporre in parole e musica le storie senza tempo dell’emigrazione siciliana in America, cui lo legano aneddoti familiari e motivi di studio: Cono Cinquemani, artista poliedrico e animo sensibile, ha accettato di raccontarci un viaggio che muove dalla sua Catania e si snoda lungo due continenti, seguendo percorsi espressivi inesplorati, alla riscoperta di una lingua che definisce “compromesso” nella continua ricerca d’identità dell’uomo marginale. Cantautore, regista, scrittore, negli anni ha recuperato in maniera originale il siculo-americano, impiegandolo in brani cantati e testi teatrali con cui vuole sfuggire a un panorama artistico e sociale sempre più uniformato. Dal sempre attuale tema dei migranti a quello della valorizzazione del patrimonio artistico e culturale siciliano, l’intervista che vi proponiamo parla anche di New York ed Ellis Island, di fusione linguistica e sentimenti di patria, nonché di idee giovani e progetti che attingono al passato per sperimentare nuove forme d’arte.
Com’è nata l’idea di recuperare il siculo-americano e di impiegarlo in opere che uniscono musica e parole? Sorprende che un giovane artista come te abbia deciso di utilizzare una forma di “broken English” sviluppatasi oltre un secolo fa, in un altro continente, per parlare al pubblico di oggi…
“L’idea di recuperare il siculo-americano è nata dalla necessità di affrontare un argomento poco dibattuto in Sicilia e in Italia. Il recupero di quello che ormai definisco Siculish, è l’obiettivo che ho deciso di sviluppare attraverso l’arte, la musica e la scrittura. Nella lingua ci si rifugia per identificarsi e riconoscersi in un gruppo, in una comunità e in una storia. Per chi emigra, per brevi o lunghi periodi, il linguaggio è un segno di riconoscimento che mantiene saldi e ancorati alle origini. Nei dialetti, nelle parlate e nelle lingue madri troviamo riparo e forza; per questa ragione per me è necessario raccontare l’importanza di termini che non sono solo parole, di espressioni che non sono solo modi di dire. Quando per motivi di studio sono arrivato a New York, ho sentito nei racconti degli ultimi siculo-americani una nostalgia carica di romanticismo, un legame con la Sicilia che mi ha spinto a raccontare le loro storie. A metà fra il siciliano e l’angloamericano, ciò che mi arrivava era una lingua fusa in un nuovo codice linguistico, che non è soltanto una delle tante declinazioni di un inglese scomposto. Non si tratta soltanto di una variante del “broken english”: c’è in gioco la vita sospesa di chi ha lasciato casa per costruirne un’altra. La ricerca e il recupero sono delle caratteristiche che vedo sempre più in altri artisti contemporanei, oggi più che mai abbiamo la necessità di fare un passo indietro perché tutto è diventato uguale, formattato. Tornando indietro si riattivano ingranaggi che mettono in moto storie che dovevano ancora essere completate”.
Dal tuo punto di vista, si tratta di una lingua ancora viva e/o in trasformazione? Cosa racconta degli emigrati all’estero e del loro bisogno di identità condivisa?
“Il Siculish è una lingua che sopravvive, c’è stato un tempo in cui non soltanto veniva correntemente parlata, ma era arrivata anche da noi in Sicilia. Ogni siculo-americano che tornava in Sicilia portava con sé pezzi di America, cose accompagnate da nomi, oggetti cui necessariamente bisognava abbinare una definizione. Nei pacchi della ‘Merica, per esempio, ogni oggetto aveva una sua definizione: dalle “chendi” al “cottu”, dalla “nappichina” alle “ciunga”, tutto veniva descritto nell’immancabile lettera spedita dai parenti americani. Oggi, in pochi utilizzano il Siculish; per questo motivo sono necessari il recupero e la cristallizzazione del fenomeno. Attraverso la musica, i brani cantati e i testi teatrali raccontiamo le storie di ogni emigrato siciliano, utilizzando il Siculish come linguaggio riconfermiamo il fenomeno conosciuto in sociologia come la crisi dell’uomo marginale. La difficoltà di chi parte nel riconoscere appieno come patria il paese ospitante. L’identità condivisa è dunque realizzabile solo attraverso la lingua di origine, ciò che accade con il Siculish è un compromesso tra ciò che si era e ciò che si è diventati”.
Una parola chiave che descrive il tuo lavoro è sperimentazione. Quanto spazio c’è per l’arte sperimentale in Italia? E all’estero? Hai trovato difficoltà a proporre un genere così inedito e a fare accettare il Siculish in forma di lingua vera e propria, con una sua dignità anche culturale e artistica?
“La sperimentazione è la chiave dell’artista, la strada per emozionarsi la si percorre avventurandosi in posti mai esplorati prima. Ogni volta che vogliamo stupirci dobbiamo affacciarci da una finestra, questo è ciò che ho fatto: ho portato gli spettatori davanti ad una finestra. Un balcone che da su “Mulberi Stritti”, nella Little Italy. Passando per “Bensinosti”, per il “Brucculinu” e per tutta “Novaiorca”, faccio vedere quanti pezzi di cuore siciliano ci sono in America.
L’arte in Italia fatica ad affermarsi se non c’è una produzione a supporto. Se c’è, però, una buona idea, con la perseveranza si realizza. Ho trovato moltissime difficoltà per far conoscere il Siculish ma, d’altro canto, moltissima curiosità negli occhi degli spettatori che vogliono conoscere un passato a volte dimenticato. Negli ambienti accademici ho trovato una spaccatura netta tra i detrattori e i sostenitori della ricerca. Il Dipartimento di Lingue dell’Università Guglielmo Marconi di Roma ha, per esempio, creduto nel progetto, sostenendolo e chiedendomi la collaborazione per la redazione di tre tesi sul fenomeno Siculish”.
Siculish dà il nome a uno degli spettacoli che hai diretto e portato in giro, ma negli anni hai dato vita anche ad altri progetti, come Valigie piene di donne – A siculish Drama o Ish, entrambi incentrati sulla storia dell’emigrazione italiana. Perché senti il bisogno di esplorare questa tematica? Sicuramente, si tratta di soggetti marginali ed emarginati – nella loro condizione femminile o in quella di emigrati del Sud – per le epoche che fai rivivere in scena. Pensi ci sia un fil rouge che lega questi protagonisti ai tanti e nuovi migranti di oggi?
“Le storie di emigrazioni sono storie senza tempo, oggi come ieri c’è sempre qualcuno che scappa. Oggi come ieri ci sono realtà aperte all’ospitalità e posti in cui l’arrivo dello straniero è motivo di forte preoccupazione. I miei spettacoli, le storie che racconto sono un esercizio di memoria per non dimenticare che prima di ospitare immigrati in difficoltà siamo saliti su piroscafi diretti in tutte le parti del mondo. Tra i personaggi degli spettacoli, un ruolo fondamentale è stato affidato a Favola Cinquemani, una mia lontana parente conosciuta tra i file del museo di Ellis Island: dopo aver inserito il mio cognome nel motore di ricerca del database dedicato agli emigrati siciliani, ho trovato piccoli indizi che mi hanno portato sulle sue tracce. Una storia avvincente, che ho iniziato a romanzare nel libro a lei dedicato. Si tratta del mio primo romanzo e sarà una storia Siculish”.
Tra gli eventi che ti vedono protagonista, ce n’è anche uno che ormai è diventato un appuntamento estivo, il tour Sicily Coast to Coast. Ce ne vuoi parlare?
“Il Sicily Coast to Coast è un itinerario artistico che nasce dall’esigenza di far conoscere progetti artistici inediti che, solitamente, non trovano spazio perché troppo poco commerciali. Seguendo la filosofia della lumaca, a bordo di un camper, siamo noi che portiamo l’arte al pubblico. A bordo di un camper giriamo la Sicilia, abbinando il viaggio ad un evento che cambia a ogni edizione. Per la quarta edizione porteremo la musica nei sette siti siciliani scelti dall’Unesco come beni materiali dell’umanità”.
Da catanese trasponi tanta Sicilia nelle tua attività. Da chi o cosa trai maggiore ispirazione? E che tipo di rapporto hai con la tua terra d’origine?
“La Sicilia è la terra che maggiormente mi ispira. Pur avendo viaggiato tanto, posso affermare che nessun altro posto ha una carica così forte. Qui in Sicilia ho trovato molte più risposte che altrove, è la terra perfetta per l’Arte. Se ciò che l’artista deve fare con la propria arte è indagare, sperimentare e stupirsi, ecco che allora la Sicilia è una tappa obbligata”.