“Noi non usiamo un linguaggio come strumento, noi siamo fatti di linguaggio, è il mattone della nostra struttura inconscia.” –Julio Monteiro Martins
In quest’articolo evidenzio la musica della parola, cioè l’accento, che determina la melodia e il ritmo del discorso di ogni parlante.
Ognuno di noi ha un accento che ci distingue dagli altri e ci collega al posto in cui siamo nati e cresciuti, per cui fa parte della nostra identità.
Tuttavia, ci sono persone convinte di non avere un accento che marca la loro identità connessa a una specifica regione, o alla loro nazionalità, eppure tutti abbiamo una pronuncia che evidenzia le nostre radici, il paese natio, o una specifica parte del mondo. Per esempio, noi italiani ci distinguiamo dall’accento a seconda la regione o città da cui proveniamo; chi nasce e cresce in Sicilia o a Napoli si distingue da un’intonazione diversa da chi nasce e cresce a Milano o a Venezia, e questo succede per tutti i parlanti del mondo. Anche negli USA si riconosce l’accento delle persone a secondo lo stato o la città da cui provengono; chi nasce e cresce a Boston articola parole in modo diverso dai cittadini di Atlanta, che parlano con tono diverso da quelli del Dakota o del Texas.
La lingua è uno strumento in grado di trasmettere anche significati e valori sociali: parlando ci presentiamo agli altri, e il nostro accento è regolarmente sottoposto a una valutazione più o meno esplicita. Di conseguenza, se nel parlare la nostra lingua madre abbiamo un accento che ci collega al posto in cui siamo nati e cresciuti, noi abbiamo questa elevazione della voce anche quando parliamo o insegniamo una lingua straniera, e spesso chi ci ascolta vede in noi il posto da cui proveniamo. In fatti, in ogni lingua, e per ogni parlante, l’accento è l’anima della semantica, cioè, la sonora musicale (accentus /ad cantus) della parola, e trasmettiamo in maniera indiretta informazioni che si riferiscono al luogo da cui proveniamo, all’educazione che abbiamo ricevuto, e alla classe sociale che apparteniamo.
Proprio perché il nostro accento discende principalmente dal nostro ambiente culturale, o di provenienza, può essere percepito dagli altri interlocutori come positivo o negativo. Spesso, in alcuni posti di lavoro, o altri ambienti sociali, le persone con un accento marcato sono considerate di condizione sociale inferiore. Tuttavia, è importante sapere che i commenti, le critiche e gli insulti sul lavoro che si riferiscono all’accento del parlante sono segni di discriminazione linguistica e possono essere esaminati attentamente dai tribunali. Un datore di lavoro deve dimostrare un legittimo motivo non discriminatorio per aver negato una possibilità d’impiego a causa dell’accento di un impiegato. Negli Stati Uniti, la legge federale sui diritti civili, (Titles VI e VII of the Civil Rights Act, 1964 ) protegge i non madrelingua dall’essere discriminati sul posto di lavoro per le loro origini nazionali, e di conseguenza proteggono i dipendenti che parlano con accento straniero dalla discriminazione.
Alcuni tribunali, e agenzie governative, sostengono che la discriminazione sulla lingua o sull’accento è una forma di discriminazione che si riferisce all’origine nazionale del parlante, perché la lingua è strettamente legata alla provenienza di chi la parla. Allora, le leggi sulle discriminazioni proteggono chi ha un accento dal datore di lavoro, che può decidere di non assumere o promuovere un dipendente, o un docente, per una posizione che richiede una comunicazione chiara orale in lingua inglese, solo se l’accento dell’impiegato influisce notevolmente sulla sua capacità di comunicare in modo chiaro. Bensì, se l’accento non compromette la sua capacità di essere capito, il datore di lavoro non può prendere decisioni di incarico su questa base. Negli USA e nel mondo l’accento italiano in inglese è spesso associato a caricature sulla nostra cultura, a secondo i pregiudizi e gli stereotipi degli interlocutori, anche se ci sono sondaggi che hanno dimostrato che l’accento italiano in inglese è uno dei più attraenti del mondo.
Parlando dell’apprendimento, l’abilità di parlare una lingua straniera come un madrelingua è il sogno che molti vorrebbero realizzare, ma pochi riescono a farlo. La bravura non si riferisce solo alla padronanza della grammatica o nell’essere fluente nella lingua forestiera, ma nel potersi esprimere senza un accento marcato. Parlare una lingua fluente significa essere in grado di leggere, parlare, ascoltare e comunicare in maniera efficace; la fluidità è definita come essere in grado di parlare e scrivere rapidamente, o facilmente, nella nuova lingua. La parola “fluidità” deriva dalla parola latina che significa fluentem “fluire” nell’uso delle parole, in modo da pronunciarle con facilità e scorrevolezza, come un oratore fluente del linguaggio e nel discorso. Si diventa fluenti e si diminuisce l’accento natio con molta pratica e imparando bene le quattro fasi dell’apprendimento linguistico (ascolto, orale, lettura, scrittura) e trovando un equilibrio tra la precisione e la fluidità nelle quattro competenze .
Anche se la lingua diventa uno strumento di acculturazione, e mezzo attraverso il quale è possibile acquisire valori e norme del paese in cui è parlata, la lingua rappresenta anche una cultura e dei valori diversi da quelli di chi ci ascolta o da chi la sta imparando. Nelle classi di lingua sono molti gli studenti che non amano imparare una lingua straniera, ma la devono imparare come requisito; questi allievi detestano non solo la lingua straniera ma anche la pronuncia e il suono di chi insegna loro le nuove parole, cioè l’insegnante. Un esempio che ci dimostra che le lingue si acquisiscono e s’imparano con un procedimento naturale e non forzato.
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