Nel febbraio 2020, alla vigilia delle presidenziali, Glauco Maggi pubblicò, nel catalogo Mind, Il guerriero solitario Trump e la Mission Impossible, raccontando la vicenda di un’amministrazione allora al termine, sulla quale signoreggiava un presidente così “guerriero” da contribuire, poco meno di un anno dopo, al clamoroso assalto al Campidoglio.
Come in un sequel, Maggi – mentre si fanno gli ultimi conteggi delle presidenziali 2024 ed è già evidente la straripante vittoria repubblicana – chiude in tipografia Trump La Rivincita (Mind, 2024). Il guerriero sconfitto quattro anni prima, suturate le ferite e rattoppata l’armatura, appare pronto se non per la vendetta alla Rambo da lui promessa e da molti ora evocata in vista dell’Inauguration Day, per la mano decisiva che i professionisti pretendono al tavolo dei gamble della vita. Nel gioco della corsa alla presidenza dello scorso novembre, come si legge nello scritto di Maggi, non sarà stato il coraggio o l’incoscienza dell’azzardo a sostenere la vittoria del gambler repubblicano quanto lo spirito del buonsenso popolare che dichiara di incarnare.
A sostegno della lettura revanscista, Maggi passa in rassegna contenuti e forme della campagna trumpiana, evidenziando i perché di una vittoria messa in dubbio solo al momento dell’esordio, come candidata, della vice presidente Harris. Trova nei risultati della Bidenomics e nell’insicurezza dei cittadini (in particolare in relazione ai flussi di immigrati) i due pilastri sui quali si è costruito il successo di Trump, senza dimenticare, ovviamente, il resto.
Per l’economia il presidente eletto promette: “Questa sarà l’età dell’oro in America”. Per l’immigrazione spiega: “okay all’immigrazione, ma con regole, e sicurezza nelle città”. La gente gli crede perché presenta se stesso e le soluzioni che avanza, come “il nocciolo duro del buonsenso”, ovvero il sentiment prevalente anti wokismo che, rileva Maggi, “si è fatto sistema, se non religione”. Tanto religione, verrebbe da dire, che ha finito per identificarsi con la sigla Dei (diversity, equity, inclusion). Tanto religione da aver creato, nelle parole di Maggi, “un clero laico di funzionari che vigilano sulla sua perpetuazione, [fondata] sull’identità di colore e di etnia, di genere e di identità sessuale, meglio se con un passato di discriminazione.”
Poi c’è il resto, appunto, e Maggi lo descrive con dettagli anche gustosi, che si fanno leggere. La signora Melania, che in pubblico non esibisce più cenni di disgusto verso il coniuge ed esce dal riserbo per muovere “alla conquista del mondo Lgbtq”. Il mito del ” ‘martire’ del sistema giudiziario partigiano”, nonostante i tanti mandati di comparizione e il fatto che Trump sia il primo ex presidente a subire una condanna penale (per 34 reati di falsificazione di documenti aziendali). Le promesse di grandezza legate al ritorno in auge dell’energia inzuppata di anidride carbonica e fracking, le posizioni creative su pace e guerra, gli annunci sul confronto con Cina e UE su tariffe e commercio.
E c’è soprattutto un programma elettorale, i cui punti salienti Maggi richiama puntigliosamente, facendone risaltare i punti significativi, originali anche nel linguaggio: “sigillare i confini e fermare l’invasione degli immigrati” sino alla “più massiccia operazione di deportazione nella storia americana”; “trasformare l’America in una superpotenza manifatturiera”; “ricostruire le città, compresa Washington DC, rendendole di nuovo sicure, pulite e bellissime”; “cancellare l’obbligo per i veicoli elettrici e tagliare le regolamentazioni costose e gravose”; “tagliare ogni fondo federale per qualunque scuola che imponga ai figli degli americani la teoria critica della razza, l’ideologia gender e altri inappropriati contenuti razziali, sessuali o politici”; “unire il Paese portandolo a nuovi successi a livelli record”.
Maggi non lo rileva, ma è come se la gente americana che andava ad ascoltare Trump, si lasciasse ammaliare da una retorica di tipo seduttivo che evitava di ragionare sul bilancio della presidenza 2017-2021, esaltandosi nell’ascolto di espressioni come la seguente, riportata nel libro: “Abbiamo costruito la coalizione più grande, più ampia, più unita. […] Sono venuti da tutti gli angoli, sindacalizzati, non sindacalizzati, afroamericani, ispanoamericani, asioamericani, araboamericani, musulmani americani. Avevamo tutti con noi ed è stato meraviglioso. È stato un riallineamento storico che ha unito cittadini di ogni estrazione attorno a un comune nucleo di buonsenso”.
Un’ultima annotazione, a carattere quasi sportivo visto che si tratta di record. Che il rientro alla Casa Bianca di Trump sia avvenuto o non grazie al buonsenso popolare, esso ha coinciso con almeno tre record del candidato, messi ben in luce dal libro di Maggi. Mai prima era stato eletto presidente un uomo così anziano (78 anni e 4 mesi). L’elezione ha avuto un effetto di trascinamento tale da portare in campo repubblicano ogni istituzione in palio. Per la seconda volta nella storia dell’Unione, un candidato torna presidente al terzo tentativo: era toccato al democratico Stephen Grover Cleveland nel 1892, dopo aver vinto nel 1884 e perso nel 1888.
Il che la dice lunga sull’eccezionalità della vicenda Trump2. Per la cronaca, si è letto che all’incontro con i parlamentari repubblicani, successivo alla rielezione, Trump abbia chiesto di verificare se fosse possibile modificare la costituzione in modo tale da consentirgli di competere per un terzo mandato. Il recordman aspira ad inanellare altri primati.