Il 10 settembre nel comune polacco di Markowa, a circa 60 chilometri dal confine ucraino, vengono beatificati come martiri i componenti (nove, visto che la Chiesa computa la creatura nel grembo materno) di una famiglia contadina, che il 24 marzo 1944 fu trucidata dagli occupanti tedeschi insieme a collaboratori locali. All’origine dell’eccidio, il fatto che la famiglia, convintamente cattolica, avesse nascosto per più di un anno e mezzo otto ebrei.

L’agghiacciante episodio è narrato in Uccisero anche i bambini, uscito presso le edizioni Ares in concomitanza con la beatificazione. A scrivere il libro, con stile da inchiesta giornalistica, la vaticanista Manuela Tulli e Pawel Rytel-Adrianik, responsabile della sezione polacca di Vatican News e Radio Vaticana. La pubblicazione è arricchita da un valido corredo di foto d’epoca e dalla prefazione del prefetto del dicastero vaticano per le cause dei santi, cardinale Semeraro.
I nuovi beati sono riconosciuti “martiri” dalla Chiesa romana e “giusti fra le nazioni” dal popolo ebraico, per via di una storia esemplare, in particolare per un certo Cattolicesimo polacco coerente con la tradizione. Józef e Wiktoria Ulma, quando si sposano nella parrocchiale di Markowa il 7 luglio del 1935, hanno rispettivamente 35 e 23 anni. Frequentano le opere della parrocchia, lavorano nei campi e mettono su una famiglia che Wiktoria cristianamente infoltisce: nel ‘44 Stasia ha 7 anni, Basia 6, Władziu 5, Franio 4, Antoś 3, Marysia 2. L’ultimo della nidiata è al settimo mese quando viene ucciso: il trauma spinge testa e parte delle spalle fuori dalla mamma.
Tulli è arrivata casualmente alla famiglia Ulma. Inviata di guerra in Ucraina, si era fermata nel sudest polacco. Lì nota una loro foto su un muro e s’informa. Dirà: “[…] Dappertutto immagini, disegni e foto di questa famiglia numerosa vissuta più di 80 anni fa. Mettevano allegria già a vederli […] questi due genitori così giovani e con così tanti bambini”. Da un libro apprende i dettagli, convincendosi che quella storia vada raccontata, anche attraverso i tanti scatti di Józef, fotografo amatoriale e ingegnaccio, popolare nella comunità per le invenzioni e il miele delle sue arnie.
Del 24 marzo 1943 il libro ricostruisce ogni dettaglio. Dall’assedio notturno della casetta con due stanze e soffitta per impedire fughe, all’irruzione di “una decina di militari, cinque gendarmi tedeschi e tra i quattro e i sei ‘poliziotti blu’, le forze di sicurezza locali che appoggiavano gli occupanti nazisti”. Sanno che Golda Grünfeld, Shaul Goldmann e i quattro figli, Lea Didner e la figlia Reshla di cinque anni sono rifugiati lì. Salgono nel solaio e fucilano a freddo nel sonno tre ebrei; agli altri tocca un colpo nella nuca.

Il sangue filtra tra le tavole della soffitta e cade sul tavolo disotto macchiando la foto ora conservata al museo locale, a testimonianza della strage. Poi tocca a Wiktoria e Józef fucilati in cortile davanti ai bambini, che seguono presto la stessa sorte. La teppa nazista arraffa quanto può dalla casa e dai corpi delle vittime, caricando della refurtiva i birocci che ha fatto venire. Brucia la casa svuotata e festeggia con “almeno tre litri” della vodka che ha ordinato. Jósef Kokott, gendarme di origine cecoslovacca unico a essere arrestato e regolarmente processato per quei fatti, urla ai presenti: “Guardate come muoiono i maiali polacchi che danno rifugio agli ebrei!”. Al sindaco – convocato affinché provveda alle fosse comuni per i cadaveri – che chiede perché si siano uccisi bambini, il capo della spedizione, Eiler Dieken, che morirà indisturbato da onorato poliziotto nel suo letto a Essen, risponde: “Perché tu e il tuo villaggio non abbiate problemi con loro”.
Il libro elenca i molti casi nei quali la cattolica Polonia ha protetto gli ebrei dai nazisti. Non approfondisce i casi (come quello del delatore degli Ulma, il ‘poliziotto blu’ Wlodzimierz Leś, processato e giustiziato dalla resistenza polacca nel settembre 1944) nei quali persone e corpi dello Stato sono stati complici del nazismo nella persecuzione antiebraica. Nell’intervista all’israeliano Haaretz del 2020, l’autorevole storico polacco Jan Grabowski, ha affermato: “Senza la polizia polacca i tedeschi non avrebbero portato a termine il loro piano”. E ancora: “La polizia diventò un fondamentale alleato della politica di sterminio tedesca”. Per lo storico, da soli gli occupanti non erano in grado di distinguere tra polacchi cristiani ed ebrei, andavano guidati.