La grande editoria libraria, pietra miliare della nostra cultura del Novecento è un mondo complesso e variegato. Eppure a volte fioriscono progetti eccezionali che riescono a guadagnarsi un grande successo: è il caso di Europa Editions, una casa editrice indipendente con sede a New York, fondata da Sandro Ferri e Sandra Ozzola, già fondatori della casa editrice italiana Edizioni E/O.
Europa Editions, istituita nel 2005, nasce da una semplice intuizione: portare al pubblico americano romanzi tradotti, di cui altrimenti non avrebbe potuto fruire, vista la carenza di traduzioni nel mondo anglofono. Un’idea da subito vincente che segnerà il destino di quella che è una delle più raffinate case editrici indipendenti e che vanta il catalogo di narrativa italiana e straniera- Cassandra di Christa Wolf, Alice Sebold, Amabili resti, Muriel Barbery, L’eleganza del riccio, Elena Ferrante con l’Amica geniale– più fortunato del settore.
Quello che distingue Europa Editions dalle grandi case editrici è aver saputo avvicinare gli Stati Uniti al resto del mondo attraverso i libri. “Considerati sacri come preghiere”, dalla famiglia Ferri, tanto da maneggiarli con profonde spinte sentimentali piuttosto che da freddi calcoli economici. Così come racconta lo stesso Sandro Ferri, nel suo ultimo libro L’editore presuntuoso (Edizioni E/O). E così come, conferma la figlia, Eva Ferri, editrice di Europa Editions UK e direttrice editoriale di Edizioni E/O, mentre prova a districarsi fra le migliaia di proposte che ogni anno le si riversano sulla scrivania. Lei, la giovane di casa, è l’esempio di chi, rispettando carezzevolmente la storia ereditata, con desiderosi impulsi moderni, vive in prima persona i ponti letterari. Così quando ci racconta del panorama editoriale newyorkese e della casa editrice in cui è cresciuta, sfoglia le pagine di una storia unica e svela la bellezza che vi si cela, come nei libri più belli.
Le lettere scritte a mano sono una forma d’arte e nonostante la rivoluzione tecnologica come la letteratura sono eterne. New York compare in tante celebri lettere che catturano un’istantanea di una città difficile da descrivere. “L’editore presuntuoso” è un pò una lettera d’amore per un mestiere il cui grande passato è consegnato alla storia?
“Sì, la cosa bella delle lettere è che hanno un destinatario preciso, sennò non sono più lettere, diventano monologhi. Credo che il libro di mio padre abbia un chiaro destinatario – chi si interessa di editoria e di libri, di come si mette in atto un piano conciliando idealismo e pragmatismo. C’è sicuramente dell’amore, ma non credo che il destinatario della lettera sia il mestiere dell’editore. Il racconto è rivolto soprattutto ai giovani con in testa un desiderio di fare un’impresa”.

Risuona l’obiettivo della casa editrice di stimolare il dialogo tra le culture e la volontà di creare ponti e brecce nelle frontiere letterarie. Dove si nutre questa ricerca alla letteratura che interagisce con il mondo e la grande abilità di saperla mappare attraverso le scelte delle storie?
“Come sempre, credo nella storia personale di ognuno dei membri di questa famiglia (allargata, ormai). Sia io, sia i miei genitori abbiamo vissuto in molti posti diversi. La mia è una famiglia un po’ nomade per vocazione e necessità, a Roma i miei genitori sono capitati, né mio padre né mia madre erano di lì. Siamo tutti abituati ad abitare e lavorare sulle soglie e sulle frontiere, reali e metaforiche, e a cercare continuamente di riconnettere le parti del mondo attraverso le storie, in un dialogo continuo”.
In questi giorni dove il richiamo alla guerra è forte, lo stesso nome E/O, Est/Ovest, e il logo scelto, la cicogna, uccello migratore che viaggia per il mondo, sono un simbolo di precisa identità. I libri lasciano aperta la possibilità che opposizione e congiunzione non si escludano a vicenda?
“Quello che sta succedendo in Ucraina è una tragedia di cui è difficile parlare con cognizione di causa. Alle radici del progetto di E/O c’era la volontà di portare in Italia le letterature dell’est europeo, in una migrazione che permettesse ai lettori di scoprire e capire un mondo al di là dei motti, delle semplificazioni della propaganda. Io spero che i libri che pubblichiamo possano riuscire in questa missione, tenere insieme l’opposizione (nel senso di una fertile divergenza) e la congiunzione, la comunicazione. Come vediamo purtroppo ancora spesso, quando le persone non riescono più a parlarsi e le frontiere si irrigidiscono succedono delle cose davvero orribili, sconvolgenti. La traduzione è un’opera costruttiva importantissima che mette in dialogo differenza e continuità”.
Negli anni Novanta, dalla E siete passati più sulla O, concentrandovi sulla letteratura americana, e nel 2005 accade una cosa che nessuno aveva mai fatto prima: aprite una casa editrice a New York – Europa Editions – per pubblicare in inglese e distribuire da sé i propri libri. Il successo, a New York, della casa editrice è il risultato di una pratica editoriale che combina tradizione e unicità?
“Mio padre è americano, io sono cresciuta con una nonna newyorkese e tutti abbiamo sempre pensato a New York come a un luogo in cui, in qualche modo, sentivamo di appartenere. Negli Stati Uniti quando i miei genitori hanno fondato Europa Editions si traduceva pochissimo, la percentuale dei libri tradotti sul totale era del 3% e molti degli autori che pubblicavamo con grande successo in Italia non erano conosciuti. Così i miei genitori hanno avuto l’idea di attraversare un nuovo confine con la letteratura europea e del mondo. Il primo libro pubblicato in America da Europa Editions è stato I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante. Il successo negli Stati Uniti è dovuto a una serie di fattori – dei libri bellissimi, lo spazio che c’era per questi libri, la curiosità dei lettori, il sostegno e l’ascolto dei partner commerciali e ovviamente, una magnifica squadra di lavoro!”.

Il panorama editoriale americano e quello italiano sono strutturalmente differenti, a partire dalla composizione manageriale dell’impresa. Ma le differenze e le somiglianze toccano tutti i campi della filiera editoriale, disponendo un rapporto di reciprocità tra i due Paesi?
“Lo spirito è lo stesso ma Europa editions (US) e le Edizioni e/o sono due imprese diverse, con un numero diverso di dipendenti, con solo parti del catalogo in comune. Il mercato editoriale americano è in molti aspetti distante da quello italiano, ma nonostante in pratica ci sia bisogno di adeguare almeno in parte il proprio modo di lavoro agli usi del paese che si va a esplorare, la lezione che ho imparato da mio padre in particolare è che non bisogna per questo snaturarsi, perdere il senso di quello che si sta facendo e cioè la propria identità, il proprio essere editori-soggetto”.
Europa Editions è arrivata nel cuore dell’America, con la sua identità, e non si è conformata a tutta una serie di standard, regole e usi dell’editoria americana. Il richiamo italiano funziona, al punto che l’autore non rimane mai uno “straniero”, ma viene inglobato nel melting pot tipicamente statunitense?
“In realtà come in ogni incontro su qualcosa si cede, su qualcosa di più nucleare no”.

Le sedi delle case editrici, sono istituzioni culturali di prestigio, che guardano al presente e al futuro. Chi le anima, spesso, unisce in sé la figura del letterato, del traduttore, del critico, con quella dell’esperto dell’ industria editoriale. Com’è una giornata tipo nella sede di New York e qual’è lo spirito che si vive?
“Michael Reynolds dirige l’ufficio newyorkese. Sicuramente in un’impresa piccola bisogna saper fare e voler fare tante cose diverse, le giornate sono piene di impegni e piene di imprevisti. Bisogna saper pensare con tante teste diverse, rimanere flessibili. Per me, il senso dell’umorismo aiuta tanto” .
La presenza di Edizioni E/O, e di Europa Editions, è stata particolarmente sentita in America a partire dal “caso Ferrante”. Così è scoppiata la “Ferrante Fever” e un gran numero di lettori americani si sono convinti di trovarsi di fronte allo scrittore italiano più importante della loro generazione, al punto da suscitare una corrente di ritorno e un interesse inedito in Italia. New York realizza i sogni degli editori?
“Elena Ferrante in realtà era già molto nota in Italia a partire dal suo primo lavoro, L’Amore molesto, che E/O ha pubblicato all’inizio degli anni ’90. Certo, Per molti in Italia è stato sorprendente il successo americano. La “Ferrante Fever” l’hanno inventata gli americani, questo buffo termine è stato coniato da una libraia di new york che voleva consigliare il libro. Noi, in ogni caso, abbiamo sempre tutti pensato che Elena Ferrante fosse una grandissima scrittrice”.

C’era una volta la grande editoria libraria, pietra miliare della nostra cultura del Novecento. Un mondo complesso e variegato. Oggi la nuova concezione del mondo è entrata nell’universo editoriale e ha provocato un terremoto. C’è una parte di lei cresciuta nei vecchi e saldi valori editoriali che resiste alle spinte del cambiamento o si tuffa nella rivoluzione?
“I cambiamenti vanno ascoltati e intercettati, io credo nel dinamismo culturale e di un’impresa, però se dovessi scegliere istintivamente tra resistenza e rivoluzione, credo che sceglierei la resistenza. Nel nostro passato ci sono già molte buone idee e intuizioni che vanno difese, direi che possiamo continuare a lavorare su quelle senza perdere il contatto con la realtà. Io comunque non ho mai ascoltato un audiobook o un podcast per intero in vita mia. Tendo a distrarmi, mentre in una pagina ci cado dentro. Ci sono in ogni caso tantissimi modi in cui si presenta “la novità”, alcuni più convincenti, altri meno”.
Lo scrittore polacco, Kazimierz Brandys, zio Casimiro in casa Ferri, spedì il suo romanzo, Rondò, in redazione avvolto in un pacchetto di carta da macelleria, suo padre se ne innamorò e il resto è storia. Scoprire e mettere in luce autori che vengono dal nulla sono scelte guidate più dal cuore che dal calcolo economico. Come decide che una storia merita di essere pubblicata?
“Quando ho tante cose da fare ma, per un motivo o per l’altro, mi emoziono e non riesco a smettere di leggere”.
I suoi genitori hanno costruito un’impresa culturale, ma è arrivato il momento del “passaggio delle consegne”, che comporta un lento ed estenuante confronto- scontro tra il vecchio e il nuovo. Qual’è il nocciolo duro che salverà?
“Il nocciolo qui è tutto fatto di rispetto. Rispetto per il lavoro dei miei genitori e dei miei meravigliosi colleghi, rispetto per la loro visione, che non sempre è uguale alla mia. Anche io mi sento rispettata e ascoltata. Su questa frontiera porosa tra me e gli altri spero si possa continuare sempre a costruire qualcosa di bello e buono”.