Rendendo omaggio alla memoria della comunità giudeo-italiana scomparsa durante il regime fascista italiano nella Seconda Guerra Mondiale, la Casa Italiana Zerilli-Marimò della NYU e il Calandra Italian American Institute della CUNY hanno ospitato una discussione sul romanzo “Il giardino dei Finzi-Contini”. L’evento, tenuto al Calandra, ha avuto la partecipazione di quattro ospiti esperti in una discussione sulla storicità del libro, i significati nascosti e le varie traduzioni in film e, recentemente, in opera. Moderato dal direttore della Casa Italiana Zerilli-Marimò Stefano Albertini, l’evento includeva Alessandro Cassin del Centro Primo Levi, Bianca Finzi-Contini Calabresi della Columbia University, Anthony Tamburri dell’Istituto Italiano Americano di Calandra CUNY, e il librettista Michael Korie la cui opera è in fase di presentazione al National Yiddish Theatre Folksbiene.
Il giardino dei Finzi-Contini (1962) di Giorgio Bassani è un romanzo semi-fittizio e semi-storico che descrive vite e relazioni in una famiglia italiana di origini ebraiche che visse a Ferrara durante l’era di Mussolini fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Scoprendo a mano a mano le caratteristiche di ogni membro della famiglia dal punto di vista del narratore, Bassani dà vita ad ogni personaggio in tutta la loro complessità. La trama si concentra principalmente sull’amore non corrisposto, il tennis, il privilegio e la letteratura, con un’enfasi particolare sulla fragilità dell’aristocrazia ed il suo auto-isolamento dagli altri. Vincitore del Premio Strega per Cinque storie ferraresi nel 1956, Bassani è considerato un autore di alto talento e rivoluzionario in Italia.

In seguito ad una breve introduzione di Stefano Albertini, gli organizzatori hanno condiviso un estratto di un’intervista con il Giudice Guido Calabresi, nipote dei membri della famiglia Finzi-Contini su cui si basa il racconto. Nel video, l’intervistatore chiede al Giudice Calabresi di elaborare sulla correlazione tra la storia nel libro e tra la storia reale della sua famiglia. “La storia è completamente fittizia. Certe cose sono accadute alla mia famiglia, ed altre cose ad altri,” spiega il Giudice Calabresi, che vede il romanzo come una storia sulla comunità ebraica-italiana. Aggiungendo, “dall’altra parte è anche vero che ha scelto il nostro nome, e non fu a caso”. Nonostante il fatto che il vero motivo nascosto dietro la scelta del nome rimanga ancora ad oggi un mistero, secondo il giudice Calabresi, Bassani scelse il loro nome per due motivi: innanzitutto, per rendere omaggio alla famiglia che gli permise di scrivere a casa loro e, secondariamente, per le connotazioni di aristocrazia e di decadenza del nome.

Come riferisce il suo cognome, anche Bianca Finzi-Contini Calabresi è discendente della nota famiglia. Avviando la discussione sul libro, Calabresi ha spiegato che la sua connessione con la storia della sua famiglia iniziò ad un’età molto giovane. Pur avendo incominciato la sua inchiesta con il film di Vittorio De Sica del 1971, Calabresi oggi è una esperta sul romanzo grazie a sua nonna che rafforzò in lei l’importanza dell’educazione letteraria ed il multilinguismo per le donne. Fu la nonna ad accompagnarla spesso in libreria ed incoraggiarla a visitare Ferrara per svelare i segreti del suo passato. Secondo Calabresi: “Bassani aveva un senso alternativo ad un mondo tanto binario.” Il tema dell’educazione delle donne reso esplicito dal passaggio nel libro che si riferisce alla scrittrice americana Emily Dickinson ed il tema dell’espressione libera dell’omosessualità implicita tra Alberto e Malnate sono indispensabili all’essenza del visionario Bassani.

Parlando dello stesso argomento sulle relazioni omosessuali presenti nel romanzo di Bassani, Michael Korie e Ricky Ian Gordon hanno colto l’occasione della nuova versione d’opera per sottolineare esplicitamente la relazione di Alberto e Malnate. In quanto librettista apertamente gay lui stesso, Michael Korie ha spiegato che l’elemento romantico omosessuale “arricchisce il mosaico dell’opera” e permette uno sviluppo romantico dopo la partenza del personaggio di Micol dal palcoscenico. La vera sfida nel tradurre il romanzo di Bassani in opera secondo Korie era la sua paura che il pubblico americano contemporaneo— contrariamente ai lettori italiani del libro— non avrebbe capito l’instabilità del contesto sociopolitico dell’Italia in quel periodo. Dopo aver studiato estensivamente vari documenti storici, incluso il “Manifesto della Razza,” Korie trovò una similitudine tra il giardino “sicuro ed illusorio” nel romanzo e la bolla sociale e ignorante presente negli Stati Uniti. Malgrado abbia ammesso che “non esiste un adattamento leale all’originale,” Korie ha provato del suo meglio a rendere l’opera storicamente autentica incorporando sia l’Italiano che l’Ebreo nei testi musicali.

Nonostante la dichiarazione di Korie, Alessandro Cassin, leale alla trama originale del romanzo di Bassani, ci teneva a sottolineare due discrepanze in quest’ultima versione d’opera. Primo, che il concetto dell’auto-odio ebreo presente nell’opera è un concetto contemporaneo americano irrilevante al contesto storico e sociale del libro. Secondo, che malgrado il ritratto negativo del servo nell’opera come personaggio disonesto e antisemita, nel romanzo invece il servo dimostra solo lealtà verso la famiglia. Tuttavia, Cassin ha continuato il suo elogio su Bassani, definendo Il giardino dei Finzi-Contini “un capolavoro”. La struttura ciclica della storia ed i pensieri di Bassani nascosti tra i dialoghi sono scelte calcolate dello scrittore che rendono il libro una tela complessa e elaborata.

Benché tutti gli ospiti si trovavano d’accordo sul fatto che il libro “Il giardino dei Finzi-Contini” rimane la versione migliore, l’ex-alunno di Bassani Anthony Tamburri ha spiegato meglio perché all’autore non piacque il film di De Sica. Privilegiato di aver studiato nella classe di Bassani all’università ed essersi scontrato con lui in diversi partite di tennis, Tamburri approfittò varie volte della sua compagnia per provare a capire come mai lo scrittore lo definiva un “pessimo film”. Per quanto fossero ambigue le spiegazioni di Bassani, Tamburri rimane convinto che il frutto della sua disapprovazione abbia a che fare con la riduzione dei personaggi in marionette unidimensionali, particolarmente riguardo alla protagonista femminile Micol. Secondo Tamburri, Bassani basò il personaggio di Micol su una donna reale di cui si innamorò l’autore tempo fa e perciò, Bassani non avrebbe mai potuto accettare un suo ritratto che non gli renda giustizia. Pienamente d’accordo, Alessandro Cassin ha aggiunto che la conclusione del film potrebbe porre un addizionale problema per i lettori del romanzo: differentemente dal libro, la scena finale mostra un torneo di tennis in slow-motion, sospettosamente simile al finale di “Blow Up” di Michelangelo Antonioni del 1966.

Tornando dunque al romanzo stesso, i quattro ospiti hanno concluso la discussione reiterando la loro ammirazione di Bassani e della sua unica abilità di scrittore di coinvolgere i suoi lettori, permettendogli astutamente di mantenere i loro pregiudizi verso l’aristocrazia disapprovata dalla maggioranza delle persone. Scegliendo intenzionalmente di non descrivere troppo esplicitamente, Bassani permette così ai lettori di formare i loro propri giudizi in base ai significati nascosti tra le righe. Essendo lui stesso figlio di un fascista, il racconto aiuta sia Bassani che i suoi lettori a comprendere meglio la comunità ebraica-italiana senza le limitazioni di concetti “giusti” o “sbagliati”. I Finzi-Contini non erano aristocratici per sé, ma rappresentavano un simbolo di una vita privilegiata destinata ad estinguersi all’arrivo del fascismo italiano.

Sebbene il legame preciso tra le famiglie Finzi-Contini, Calabresi ed Ascoli rimane un mistero ancora al giorno d’oggi— o un “grande pasticcio” come lo definisce Bianca Calabresi— l’ambiguità lascia spazio per un’interpretazione di una bellezza caotica sommersa in ricordi di amore non corrisposto, perdite e drammi in famiglia. Inoltre, Tamburri ha osservato che questa discussione sulle complessità del linguaggio, dei suoi infiniti significati e potenziali simbolismi sarebbe esattamente cosa avrebbe desiderato Bassani, un uomo estremamente sensibile alle parole. Concludendo l’evento, Cassin ha evidenziato la bellezza della parola scritta di Bassani ricordandoci che “uno non deve per forza scrivere poesie per essere un poeta”.