In Le visionarie. 1933-1943. Arendt, De Beauvoir, Rand, Weil e il pensiero della libertà (Feltrinelli 2021) Wolfram Eilenberger fa un’analisi comparata di quattro tra le filosofe più importanti del Novecento. L’autore passa al setaccio Hannah Arendt, Simone de Beauvoir, Ayn Rand e Simone Weil nell’epoca dei totalitarismi. Di formazione e pensiero politico diverso, le signore erano collegate dal fil rouge della passione per la libertà, l’individualismo, la responsabilità, la critica all’autoritarismo.
Tra socialismo e liberalismo, ebraismo e cattolicesimo, il poker d’assi della libertà è esplorato da Eilenberger partendo dalla fine del decennio in esame, per poi concludere nuovamente con il 1943. In “Scintille” (1943) «De Beauvoir è in stato di grazia, Weil in trance, Rand fuori di sé e Arendt in un incubo». La polizia di Vichy stava indagando su de Beauvoir, già nota alle autorità per le tresche amorose con studenti e studentesse.
Queste le passava poi a Jean-Paul Sartre, che la chiamava “castoro” per via dell’impressionante produttività della compagna. Nel frattempo, Weil tornò a Liverpool da New York e raggiunse le unità operative della France Libre di Charles De Gaulle. Era disposta a morire per la sua patria e si offrì volontaria come crocerossina. Laurea in Filosofia all’ENA, ottima conoscenza della matematica, con esperienza in sindacati e giornalismo. Rand invece era fuggita con la famiglia in Crimea a causa della rivoluzione bolscevica. Sin da ragazza sognava l’America. Considerava i totalitarismi di destra analoghi a quelli di sinistra, entrambi basati su collettivismo e sottomissione allo Stato. Ma anche sull’annichilimento dell’individuo in favore della “classe”, del “popolo”, della “nazione”, della “razza”. Anche Arendt, allieva di Karl Jaspers – suo relatore di dottorato – e Martin Heidegger criticò precocemente i totalitarismi. Il loro successo, spiegava, è la sottomissione sistemica delle masse facendo leva sulla loro indifferenza.
Cacciata dalla Germania hitleriana, Arendt arrivò a Manhattan dopo essere passata da Berlino a Parigi, dunque da Marsiglia. In “Esili” (1933-1934) «Arendt lascia il suo Paese, Weil il suo partito, de Beauvoir la su scepsi e Rand il suo copione». Arendt aveva visto la sua Germania bruciare nelle fiamme del Nazionalsocialismo. I perseguitati politici emigravano a Praga; gli intellettuali a Parigi. Dopo l’incendio al Reichstag iniziarono arresti arbitrari e trasferimenti nei campi di concentramento. Molte palestre vennero trasformate in stanze della tortura; duecento nella sola Berlino. Allora Arendt era una giovane intellettuale, accademica senza soldi e pubblicista senza editori. Nella disperazione, nel 1933 anche Weil lasciò la Germania. Attivista sindacale e insegnante liceale, negli scritti Simone “la Rossa” si lamentava di quanto la sinistra fosse divisa sia in patria che all’estero. Si spostò a Roanne, vicino a Lione. Per mantenersi dava lezioni di geometria, letteratura francese e socialismo scientifico.
Pensava che nella futura società senza classi queste materie potessero essere utili a tutti. Quanto allo stipendio, Weil tratteneva solo quanto spettava agli operai: il resto lo dava a bisognosi. Sono gli anni in cui studiava i fenomeni totalitari. L’oppressione dello Stato poggiava sullo sfruttamento delle nuove tecnologie e una classe di burocrati sorveglianti, scrisse – un case study di rilievo fu la carestia ordinata da Stalin in Ucraina, dove quattro milioni di persone morirono di fame. Tuttavia, Weil non rinunciò al socialismo, alla base di quei massacri. «Sottomettere la società all’individuo; questa è la definizione della vera democrazia e quindi anche del socialismo» (Oppression et liberté). Rimproverava ai partiti socialisti l’eccessiva burocratizzazione; critica che faceva Lev Trockij a Stalin e che gli valse il confino – quando poi scappò in Francia, fu ospite dei Weil a Parigi. Qui de Beauvoir continuava a scrivere: iniziava romanzi, ma li abbandonava subito.
Le sue tematiche erano le donne, le difficoltà sociali, l’oppressione. Analoghe le tematiche per Sartre, con cui continuava la relazione. «Per loro due gli altri non esistono realmente come esseri umani», osserva Eilenberger. «Gli unici esseri davvero pensanti e senzienti sono loro. Il resto dell’umanità non è che una variopinta scenografia per i loro esperimenti di pensiero». De Beauvoir scoprì Edmund Husserl, mentore di Edith Stein, la grande assente in questo libro. A New York, Rand incontrò l’amore di una vita, Frank O’Connor. Sul diario scrisse: «D’ora in poi non dovrai più in alcun modo pensare a te stessa, solo al tuo lavoro. Tu non esisti. Non sei altro che una macchina da scrivere». D’altronde, era il passaggio necessario per infarcire i suoi romanzi di filosofia libertaria e conservatrice, sulla base delle influenze di Friedrich Nietzsche. Così parlò Zarathustra fu il primo libro che portò con sé in America.
Col filosofo tedesco condivideva «odio spiccato per la religione, elitarismo esplicito, rifiuto della sofferenza come destino, l’invito a integrare nella propria vita concreta traguardi ambiziosi», ricorda Eilenbeger. In “Esperimenti” (1934-1935) «Rand passa a Broadway, de Beauvoir a Olga, Weil si trasferisce in fabbrica e Arendt in Palestina». L’emigrata russa portò in scena a Broadway Woman on Trial, basato sulla figura dell’uomo d’azione: l’unico contro i troppi alla ricerca della libertà. La prosa randiana era influenzata anche da José Ortega y Gasset. In America Rand capì che «dove regna la libertà, il talento superiore finisce per imporsi». Ce la fece anche lei. In Francia, invece, de Beauvoir continuava ad affinare le sue questioni sociologiche. Intendeva la filosofia «come un rapporto plastico con la vita e la quotidianità, […] che […] fa emergere con maggiore chiarezza, vivacità e infine libertà quelle stesse cose ordinarie che tutti crediamo di conoscere», ricorda Eilenberger.
Elaborava una critica alla borghesia cattolica da cui proveniva e denunciava le religioni. Il contrario di quello che faceva Weil, che si avvicinò al cattolicesimo e si trasferì in fabbrica, alla Alstom di Parigi. «Il suo intento è sperimentare sulla propria pelle quell’oppressione che denuncia e combatte sul piano del pensiero». Una cosa che né Karl Marx, né Friedrich Engels, né tantomeno Lenin o Trockij o Stalin fecero. Weil cercava di agganciarsi alla realtà delle cose; per questioni di salute lavorerà solo ventiquattro mesi. Scrive Eilenberger: «la monotonia del compito finisce per generare in lei […] una specie di morte interiore». A peggiorare le cose, le feroci emicranie. In fabbrica Weil capì il rapporto massa-individuo. Nella massa il singolo perde la libertà. «L’individuo singolo non è mai stato così totalmente esposto alla cecità del collettivo. […] Viviamo in un mondo in cui niente corrisponde alla misura umana» (Oppression et liberté).
La diagnosi di Weil era chiara: l’Europa stava sprofondando nella dittatura che annienta la libertà individuale. Un «espropriazione dell’individuo a favore della collettività». Secondo Weil occorreva riorganizzare le forze produttive dalla collettivizzazione all’individualizzazione. I turni in fabbrica erano sfibranti per Weil, che detestava dipendere da altri. Un sentimento simile lo provava anche Arendt, che percepiva l’antisemitismo latente in Francia. Quanto ai rifugiati, «nel momento in cui gli uomini non godono più della protezione di un governo nazionale, nel momento in cui non possiedono più alcuna cittadinanza politica che tuteli la loro parte anche minima di “diritto”, che spetterebbe loro per natura, non c’è più nessuno che possa garantire loro questo diritto, e nessuna autorità politica o internazionale è disposta a farsene carico», scrisse Arendt (The Origins of Totalitarianism). In “Prossimi” (1936-1937) «Rand ama un Superuomo, Arendt un paria, Weil ama la Repubblica e de Beauvoir la sua nuova famiglia».
In questo biennio Rand cercò di dimostrare come cristianesimo e Comunismo condividessero gli stessi presupposti e fossero distruttivi per il capitalismo. Nel 1936 uscì We the Living, ma il bestseller della stagione è Gone with the Wind di Margaret Mitchell. Rand prese quota come commentatrice politica e fece diverse interviste radio. Si stava affermando nel panorama culturale americano. Non era il caso di de Beauvoir, che sì ottenne l’agognato posto al liceo Molière del sedicesimo arrondissement di Parigi, ma continuava ad essere una sconosciuta. Non se ne stava mai a casa; sempre nei caffè. Nei pomeriggi saliva a Montmartre con Sartre; frequentava Maurice Merleau-Ponty, Paul Nizan e Raymond Aron. Contemporaneamente, Weil continuava le diagnosi della situazione politica in Europa. «Inizierà una fase in cui tutti in tutti i Paesi verranno commesse le più incredibili sciocchezze, e queste sciocchezze sembreranno del tutto naturali», commenta.
«Quelli che chiamiamo un comportamento civile e una vita civile saranno sempre più rari. I metodi militari finiranno per dominare ogni minimo aspetto dell’esistenza. Il capitalismo verrà distrutto, ma non dalla classe operaia. Ciò che lo distruggerà sarà il primato, ovunque, della difesa nazionale: sarà rimpiazzato da uno Stato totalitario». Era il 1937: aveva visto lungo. In “Eventi” (1938-1939) «Weil trova Dio, Rand la soluzione, Arendt il proprio popolo e de Beauvoir la propria voce». Torturata dall’emicrania, Weil soggiornò a Bologna, Firenze e Roma, dove ascoltava tre concerti al giorno per rilassarsi. Non riusciva a pensare all’insegnamento: i dolori fisici la portarono sull’orlo del suicidio. «La totale mancanza di sicurezza non giova affatto alla salute mentale», scrisse. E di sicurezza nell’Europa del tempo ce n’era sempre meno. Dopo l’Anschluss dell’Austria, cadde il governo di Léon Blum. Le leggi sull’immigrazione sotto Édouard Daladier vennero inasprite.
A Parigi nel 1938 un decimo dei quattro milioni di abitanti era straniero; di questi quarantamila ebrei rifugiati. Francisco Franco stava per vincere in Spagna. L’Italia adottò le leggi razziali. Poi fu la Notte dei Cristalli. In questo scenario, Rand tornò in libreria con Anthem, che narra un futuro distopico in cui le società sono giunte alla collettivizzazione totale. Solo l’uomo-eroe poteva salvare il mondo, secondo l’autrice. Anche Arendt si dedicava all’individualismo e riconobbe l’incapacità di «ribellarsi come singoli contro tutto» in un mondo dove gli spazi di libertà si facevano più stretti e la disintegrazione individuale diventava la norma. «Alla fine, la tanto celebrata libertà di chi è stato espulso coincide quasi sempre col diritto alla disperazione» (Rahel Varnhagel). Raggiunti i trent’anni, de Beauvoir si sentiva una donna matura. Sartre aveva pubblicato La nausea e diventò una star del panorama letterario francese e venne paragonato a Franz Kafka.
In “Guerra” (1939-1940) «Weil è senza nemici, de Beauvoir senza Sartre, Arendt è in fuga e Rand resiste». E la guerra arrivò. Weil non ne fu una sorpresa. «La violenza trasforma in cosa chiunque la subisce […], trasforma l’uomo […] in cadavere» (L’Iliade: poème de la force). «Weil è convinta che la guerra e la paura della morte finiscano per alimentare […] una sorta di esistenzialismo della spietatezza», conferma Eilenberger. Il 22 giugno 1940 Philip Pétain firmò a Compiègne l’armistizio con la Germania; poi sospese la Costituzione. Il motto “Libertà, uguaglianza, fraternità” divenne: “Lavoro, patria, famiglia”. «Ero come prigioniera di un tempo che non apparteneva alla mia vita», scrisse de Beauvoir (La force de l’âge). «Non era più la Francia e non era ancora Germania: una terra di nessuno». Di questa condizione soffriva anche Arendt. Rand descrisse l’avanzata totalitaria come un sistematico appiattimento della facoltà di giudizio.
Ribadì la riduzione in schiavitù e l’annullamento dell’individuo nella società di massa che predilige l’uguaglianza. Il totalitarismo era il tentativo «di controllare la società da parte degli indegni e dei criminali» (The Journals), identificando la società aperta come «l’unica alternativa al totalitarismo e l’unica difesa contro di esso». Rand si professava libertaria; non liberal, termine usato dai dem rooseveltiani negli anni Trenta. In “Libertà” (1941-1943) «De Beauvoir si emancipa, Arendt si isola, Weil scrive il suo testamento e Rand il suo certificato di nascita». Con l’operazione Barbarossa, i nazisti vollero condurre una battaglia dei germani contro gli slavi, per poi estendersi in Afghanistan, India, Iran, Turchia, Siria. In questo scenario, de Beauvoir elaborò nuovi concetti della libertà: nessuno è un’isola. Per preservare la propria libertà è necessaria sviluppare anche la libertà degli altri. Non si può essere liberi da soli. Dal 1940 Weil non poteva più insegnare nelle scuole.
Non importava se non avesse mai ricevuto educazione ebraica e non si fosse mai sentita ebrea. In questo periodo, Arendt ruppe con i gruppi sionisti di New York. Sebbene condividesse l’idea di Theodor Herzl di creare un focolare nazionale ebraico, non era però convinta dall’idea della forma del classico Stato nazionale su modello europeo in Palestina. Dopotutto, gli Stati Uniti erano nati come una federazione composta da «un varietà di elementi ben distinti […]. In una federazione di questo tipo i conflitti nazionali possono essere risolti in quanto il problema insolubile del rapporto maggioranze-minoranze aveva cessato di esistere. […] In questa unione nessun singolo può prevalere su un altro, e tutti gli Stati governano insieme il Paese» (Vor Antisemitismus ist man nur noch auf dem Monde sicher). Nel frattempo, Rand creò una nuova categoria dello spazio politico. Ad “individualismo” e “collettivismo”, aggiunse “altruismo”, il nemico assoluto della libertà.
Altruista è chi «orienta il proprio pensiero e il proprio agire sull’esistenza e gli interessi degli altri esseri umani: sia per sottometterli e manipolarli, per brama di potere, sia al contrario nell’intento propriamente “altruistico” di sostenerli o addirittura di “salvarli”», riassume Eilenberger. Rand continuava a cercare il suo uomo-eroe, il Prometeo che illuminasse il mondo, l’individuo creativo come motore della civiltà, in contrasto con l’invidia dei tanti. «Un pensiero collettivo non esiste. […] Nessuno può usare i propri polmoni per respirare la posto di un altro. Nessuno può usare il suo cervello per pensare al posto di un altro» (The Fountainhead). Secondo l’altruismo «ciascuno dovrebbe vivere per gli altri e porre gli altri al di sopra di sé» (ibid.). Eilenberger ricorda che per Rand a vera scelta dell’uomo non era tra servo e padrone, ma tra dipendere e non dipendere. «La dignità personale non è sostituibile» (ibid.).
In “Fuoco” (1943) «Rand e de Beauvoir sono in cielo, Arendt guarda in fondo all’abisso e Weil varca l’estrema soglia». Nel 1943 uscì The Fountainhead, il primo masterpiece di Rand, in cui la scrittrice descrisse l’uomo-eroe ideale che si batte per la libertà. Ricorda Eilenberger: per Rand «nulla di più fatale, sul piano morale di soccorre il prossimo a ogni costo. Nulla di più sbagliato, sul piano filosofico, di una cieca fede religiosa. Nulla di più aberrante, sul piano metafisico, dello sforzo di fondare i valori della vita pratica in una dimensione trascendente. E niente di più folle, sul piano esistenziale, che sacrificare la propria vita per la salvezza altrui». Nel 1957 uscì il bestseller Atlas Shrugged, che negli anni Sessata ha venduto in America solo meno della Bibbia; oltre venticinque milioni di copie. Rand affinò poi le sue intuizioni filosofiche nell’ambito della corrente da lei creata, l’oggettivismo.
Divenne un’icona culturale. Tra i suoi allievi più brillanti, Alan Greenspan, poi presidente della Federal Reserve. Per Ayn Rand occorreva «fondare il capitalismo come l’unica vera espressione di una convivenza morale. La cui superiorità non era tanto di natura materiale quanto spirituale. Il suo ideale-guida non è il benessere, ma l’autonomia. Il suo scopo non è la ricchezza, ma l’autorealizzazione, il suo ideale non è lo sfruttamento, ma l’indipendenza. Ben lungi dall’essere semplicemente “il male minore”, il capitalismo era piuttosto l’espressione del bene come tale» (Eilenberger). Quando a de Beauvoir, nell’estate 1943 divenne quello che ha sempre voluto essere: scrittrice e filosofa a tempo pieno. Nel 1945 fondò con Sartre la rivista Les Temps Modernes, a cui collaboravano anche Aron e Merleau-Ponty. Quattro anni dopo pubblicò Le deuxième sexe, il testo fondativo del femminismo. Nel 1954 ricevette il Premio Goncourt, il più prestigioso di Francia.
Nell’autunno 1943 Hannah Arendt, ancora a New York, ruppe anche con l’intellighenzia tedesca, inclusi Theodor Adorno e Max Horkheimer. La questione ebraica la toccava nel vivo. Già nel 1943 il World Jewish Congress aveva riferito a proposito di massacri degli ebrei in Europa. Nel 1952 pubblicò The Origins of the Totalitarianism ed ottenne la cittadinanza americana. Nel 1961 seguì a Gerusalemme il processo a Adolf Eichmann. In Eichmann in Jerusalem sostenne che la colpa dell’imputato e di altri prima di lui era quella di non essere in grado di pensare. In ultimo, Simone Weil vedeva la sua tubercolosi peggiorare. Non voleva mangiare nulla. Per solidarietà, disse, con i compatrioti affamati. Il 17 agosto 1943 venne trasferita in un sanatorio nel Kent. Un collasso cardiaco la portò via nel 1943. Albert Camus la riscoprì anni dopo e per Gallimard pubblicò i suoi scritti in libertà.