Se una sola volta nella vita noi mortali abbiamo saputo vivere l’istante, siamo stati simili a dei. Abbiamo osato, trasgredito, amato come gli dei che non si preoccupano del passato e del futuro. Perciò sono dei e sono immortali. Questo ci dice Cesare Pavese nei 26 Dialoghi con Leucò, che lo scrittore considerava la sua opera più importante, e ora Rizzoli Bur ha ripubblicato a cura di Gino Tellini.
L’immortalità è dunque vivere il presente e sentirsi immortali, come quando eravamo giovani e l’esistenza era un insieme di attimi. Quando ricordiamo, rimpiangiamo il passato, la passione perduta. Sentiamo il tempo che passa.
“I mortali non hanno tempo di godersi il capriccio. Vivono di istanti imprevisti, unici e non ne conoscono il valore. Vorrebbero la nostra eternità” spiega Satiro ad Amadriade. E Demetra chiede a Dioniso: “Che cosa saremmo senza di loro? Sai che un giorno potrebbero stancarsi di noi?” Gli dei sanno di essere un’invenzione degli uomini e che “tutto i mortali hanno sofferto quel che raccontano di noi”. Bia ha la soluzione, che confida a Cratos: “Soltanto vivendo con loro e per loro si gusta il sapore del mondo”.
Ma quando gli dei si mescolano agli uomini, nessuno più sa chi è davvero, finendo per violentare i sentimenti dell’altro senza rendersene conto. “Quando un dio avvicina un mortale, segue sempre una cosa crudele” osserva Eros parlando a Tanatos. “Ho conosciuto altri mortali. Tutti distrusse questa smania di potere ogni cosa”. Benché oggi dovremmo aver capito che gli dei non esistono, facciamo di tutto per emularli od ostentare una divinità che non ci appartiene. Perché soffriamo lo spazio e subiamo il tempo. “Meglio soffrire che non essere esistito” chiosa Patroclo ad Achille, che sa di dover morire.
Per Orfeo il passato non torna e confida egoisticamente a Bacca che scese nell’Ade non per cercare Euridice ma per ritrovare se stesso, perché “è necessario che ciascuno scenda una volta nel proprio inferno”. Mentre Odisseo vuole ritrovare quello che ha perduto, Penelope. E Calipso non riesce a trattenerlo e fargli “accettare l’istante”. Né ci riesce Circe, perché non può far sorridere Odisseo. “Non seppe mai cos’è il sorriso degli dei… aveva gli occhi pieni di ricordi”. Gli dei sorridono perché sanno, mentre “Leucò, l’uomo mortale non ha che questo d’immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia”.
Calipso e Circe sono ninfe semidivine e tuttavia soffrono per un uomo, il cui amore vogliono rendere eterno. Ma l’amore di Odisseo sta proprio nel ricordo di Penelope. L’eroe greco le abbandona forse proprio perché avevano perso il fascino divino dell’irraggiungibilità. Teseo abbandona Ariadne per lo stesso motivo: la donna conquistata perde il potere d’attrazione. Il maschio, che sia divino od umano, cerca sempre la conquista per dimostrare di essere un eroe e, quando una donna è conquistata, parte verso nuove avventure. Ma non si possono conquistare tutte perché non si può piacere a tutte: arriva il giorno anche per lui di non essere accettato. I miti sono pieni degli inseguimenti di Apollo e delle metamorfosi di tante ninfe in piante o animali pur di sfuggirgli. Ma il maschio si sente un dio e non concepisce il rifiuto. Allora la donna ride come una dea.