Un classico: Maus: A Survivor’s Tale di Art Spiegelman è un romanzo a fumetti ambientato durante la Seconda guerra mondiale, e in particolare tratta i temi della Shoah. Si basa sui racconti del padre di Spiegelman, sopravvissuto ai lager di Majdanek e Auschwitz.

I genitori di Art, Vladislav e Andzia, erano ebrei polacchi; Rysio, il fratello maggiore, non ce la fa, muore nel lager. “Maus” è anche il primo autore di fumetti a vincere il premio Pulitzer, nel 1992. Molti considerano Spiegelman il primo “graphic novel”, anche se l’interessato non gradisce granché. Nel suo racconto i volti dei personaggi hanno fattezze animali: oltre agli ebrei-topi (“Maus”, in tedesco) e ai tedeschi-gatti, ci sono i maiali-polacchi, gli americani-cani, le rane-francesi.
“Maus” compare la prima volta a puntate sulla rivista “Raw”, fondata dallo stesso Spiegelman e dalla moglie Françoise Mouly: il primo capitolo è pubblicato come inserto speciale nel secondo numero della rivista, nel dicembre 1980.
Al centro della storia di “Maus” l’esperienza di sopravvissuto all’Olocausto di Vladek Spiegelman. L’autore riflette su cosa comporta l’essere figlio di due sopravvissuti all’Olocausto, come un’esperienza che non ha vissuto ha grandi conseguenze sulla sua vita. “Sono fiero di Maus, sono fiero di esser stato in grado di farlo, che sia nato tramite me”, spiega Spiegelman. “D’altro canto, ha inevitabilmente oscurato qualsiasi cosa che abbia fatto dopo e che abbia fatto prima, a volte in modi che trovo ingiusti. Eppure lo capisco perfettamente, che sia così”. L’obiettivo è raccontare la Shoah come una favola, rappresentando gli esseri umani come animali, per “mostrare l’orrore senza mostrarlo”.
Sempre sul tema, quello che si annuncia come un altro classico: Nazi Death Parade. Si tratta di un vero e proprio documento storico. E’ un album a strisce sui lager disegnato nel 1944, quando la fine della guerra è ancora lontana. Una ulteriore prova che l’esistenza dei lager era già nota fin da allora. Il fumetto lo scopre Kees Tibbens, professore di storia olandese dell’Istituto per la ricerca sulla guerra e la Shoah di Amsterdam.

L’autore della storia si chiama August Maria Froehlich: nel 1938 dopo l’Anschluss, fugge dall’Austria e si rifugia negli Stati Uniti. Le strisce sono realistiche, precise nei dettagli: raccontano il “viaggio” sui vagoni merci, l’arrivo al lager, le docce che in realtà mascherano le camere a gas, i corpi bruciati con i lanciafiamme, le fosse comuni scavate da altri deportati in attesa a loro volta di essere uccisi. Si intuisce che Froehlich conosce le testimonianze dei soldati sovietici dopo la liberazione del lager di Majdanek, un sobborgo di Lublino: è il primo campo abbandonato dalle SS, quando l’Armata Rossa è ormai a pochi chilometri.
In Nazi Death Parade, un particolare sorprende: gli ebrei non sono mai nominati. Perché questa “assenza”? Un’ipotesi è che si sia operata questa censura per paura che i lettori potessero condividere l’odio verso gli ebrei. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna l’antisemitismo era piuttosto diffuso: la “BBC” nelle sue trasmissioni evitava di denunciare la deportazione degli ebrei e la «macchina della morte» nei lager, nel timore che gli ascoltatori britannici finissero con il simpatizzare con i nazisti. Così, per disegnare Auschwitz con realismo Froehlich è costretto a cancellare gli ebrei.