Nel suo Red mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza 2020), Simone Pieranni spiega come il Dragone ha e avrà un ruolo importante nel mercato tecnologico mondiale. L’autore parte dal fronte interno cinese, dove a dominare le relazioni sociali tra i cittadini – e tra i cittadini e lo Stato – è l’app WeChat, una sorta di terzo braccio e secondo cervello con cui in Cina si fa tutto: controllare notizie, pagare beni di consumo, prenotare taxi, scambiare messaggi, inviare documenti, aprire mappe, acquistare biglietti per film e teatro. «In una giornata intera non ho mai usato il portafoglio, la mail, un browser», scrive Pieranni dopo ventiquattro ore sull’app che ha sembra aver sepolto il computer. «In Cina lo smartphone è WeChat. E WeChat sa tutto di ognuno di noi.» Dovrebbero chiamarlo WeAre: è «l’applicazione delle applicazioni», quella dove ogni volta che la si usa, si scoprono nuove funzioni appena sviluppate ed aggiornate.
Persino l’elemosina si fa con WeChat, collegato ad un conto bancario dell’utente che ha il suo codice QR attraverso cui far passare le transazioni. WeChat è una sorta di documento di identitàt. Va da sé che non scaricare l’app in Cina è una scelta di vita – pochi riescono a resisterle. L’app è dominata dalla presenza del Grande Fratello, il Partito Comunista Cinese, che la governa secondo i suoi interessi propagandistici e di controllo digitale. All’estero, l’Occidente tutto guarda alla Cina. Spesso con sospetto, ma anche con ammirazione. Pieranni spiega che la Cina si è messa al centro del mondo – già Immanuel Kant diceva che la Cina era l’impero più colto del pianeta. Il Dragone ha un mercato interno – tecnologico e non solo – molto vivace ed in continua espansione. Stanca da lustri di essere la fabbrica del mondo – lo status di produttore di enormi quantità per l’export a basso costo – nel 2008 Pechino fece un altro balzo in avanti.
Gli effetti della crisi economico-finanziaria imposero ai compratori occidentali di acquistare meno dalla Cina, che di riflesso dovette cambiare la pelle del proprio sistema economico. “Meno quantità e più qualità” è dunque il motto che scandisce il ritmo della produzione odierna del Dragone. WeChat dimostra che la Cina è orientata al futuro grazie al traino digitale per alimentare il mercato interno, nonché le esigenze e le ambizioni delle nuove generazioni. Queste, tuttavia, non sono al riparo da censure di Stato: socialità sì, ma la sue modalità sono decise dal PCC, che si è perfettamente adattato – a differenza di quanto credevano Bill Clinton e Bill Gates negli anni Novanta – all’ondata del digitale che ha investito il globo. Il PCC usa la tecnologia per toccare l’anima dei cittadini: Facebook, Twitter, YouTube rischiano di inquinare lo spirito socialista della nazione.
Il mercato non manca: nutrire mediaticamente 1.4 miliardi di persone è fino a mai. Una struttura parallela ai giganti occidentali, quali Amazon e Walmart? Alibaba. Pieranni scrive che l’Occidente guarda con attenzione Pechino e spiega che «il nostro futuro online sarà sempre più all’interno di gruppi». Il che è collegato al rischio delle cosiddette eco-chambers, ma anche alla questione del controllo sulla Rete, della profilazione dell’utente, del “direzionismo” dei consumi individuali. In tutto questo, la Cina – dunque il Partito – è maestra. Difatti, il PCC esercita e sperimenta sulla sua popolazione tiranniche forme di controllo sociale – lo smartphone che tutti hanno in mano è un red mirror: oltre il vetro chi può garantire che non ci sia il grande Partito?
Altra questione affrontata da Pieranni in campo tecnologico è l’accaparramento delle terre rare che la Cina porta avanti da anni: metalli cruciali per la creazione di artefatti tecnologici, «indispensabili per la creazione delle nostre città del futuro, green e sostenibili, ma l’estrazione di questi metalli, incorporati nella roccia, è un processo complicato». Centinaia di metri cubi di acqua sono richiesti per il processo di pulizia, un tema sensibile che proietta la Cina e non solo nel futuro. Le prossime guerre si faranno per l’acqua? Domanda in circolazione da diversi anni: farsi la guerra per l’acqua con tecnologia che richiede acqua non ha alcun senso. Molti metalli rari sono in Africa, dove la Cina ha oramai completato una colonizzazione 2.0 – con il vantaggio di non essere criticata dai movimenti “progressisti” come invece in Occidente si fa in maniera revisionista.
Collegata alla questione della sicurezza e del rapporto tra Cina e tecnologia, è il tema degli uiguri: Pechino bracca i “sospetti” jihadisti e con la scusa di voler colpire l’estremismo islamico, inghiotte nei comprovati campi di concentramento nello Xinjiang centinaia di migliaia di uiguri, minoranza turcofona musulmana. E avvia “programmi” di rieducazione etnica. Scrive Pieranni: «almeno un milione di cinesi di etnia Han sono stati mandati in Xinjiang all’interno di un programma chiamato “United as One Family”. Il loro compito è trasformarsi in “parente” di una famiglia dello Xinjiang, installarsi in casa e diventare un cittadino-poliziotto.» Una sorta di Gestapo o Stasi dal basso; un sistema dove la delazione era un sistema sui cui i totalitarismi di destra e di sinistra facevano affidamento per mantenere ordine e omogeneità sociale.
Da qualche anno anche in Occidente ha fatto inoltre notizia il cosiddetto SCS, il Sistema dei Crediti Sociali; un sistema di monitoraggio h24 su cittadini e aziende, teso a valutare le attitudini dei singoli nella società: beneficiare i fedeli, sanzionare i reietti. Il SCS è un combinato di analisi e valutazione dei comportanti degli individui; misura l’adesione alle politiche dello Stato e l’affidabilità di ciascuno. Un SCS unificato in Cina non esiste ancora, ma non ci sono dubbi sulla meticolosità comunista di implementare tale sistema. Lo scopo finale del governo di Pechino potrebbe dunque essere quello di creare un mega-database che rafforzi il controllo – non solo tramite il red mirror (lo smartphone) o WeChat. L’alternanza storica “ordine-caos” tipicamente cinese si ripropone nell’era del digitale.
Pieranni parla anche di un “nuova” società cinese, scandita dal “grande arricchimento” inaugurato sotto l’era di Deng Xiaoping. Le condizioni di vita dei cinesi di oggi sono certamente migliori di quelle dei loro genitori, ma lo sforzo richiesto è pari. Si pensi al “modello 996”, cioè dalle 9 del mattino alle 9 di sera, per sei giorni alla settimana. Uno scheduling imposto ai più; una prerogativa per la rincorsa verso la pedana più alta della classifica economica mondiale. Il piano “Made in China 2025” è il tentativo cinese di innovare diversi settori industriali e strategici per essere il paese strategico numero uno nel settore tecnologico. Questo è da inserire nel progetto del “sogno cinese” di Xi Jinping. Ossessionato da riscatto nazionalistico del “secolo delle umiliazioni”, il presidente cinese preme molto per l’utilizzo dei Big Data e le nuove forme di automazione, nonché l’uso dell’Intelligenza Artificiale (AI) nell’ambito dell’armonia agognata dal Partito Comunista.
Il Dragone è un driver dell’industrializzazione: investimenti e la creazione di zone economiche speciali «permettono alla Cina di riversare il proprio surplus commerciale e gestire i propri finanziamenti alla ricerca di risorse». La ricerca è spesso lasciata a se stessa nelle società occidentali: se ciò continuerà, il sorpasso cinese dell’Occidente in molti campi potrebbe essere irreversibile. Conclude l’autore: «la Cina veleggia con venti devastanti in termini di rapidità di esecuzione, potendo contare su finanziamenti e su un sistema scolastico […] in grado […] di sfornare talenti sfruttando l’ampiezza della popolazione». La sfida tra Occidente e Oriente, la cosiddetta Seconda Guerra Fredda, sarà anzitutto combattuta sul terreno della tecnologia.