Simona Fruzzetti vive a San Giuliano Terme in provincia di Pisa e ha all’attivo sei romanzi (e 58mila follower). Nel 2013 si afferma come autrice self-publisher con due libri di successo: Il male minore e Chiudi gli occhi. Successivamente pubblica per Piemme Mondadori Mi piaci ti sposo e Parigi mon amour, entrambi inseriti nella collana digitale In Love. Nel febbraio 2017 torna al self-publishing con Come hai detto che ti chiami?
Con Io ti salverò, uscito a febbraio 2020, torna al genere più apprezzato dai suoi lettori: il thriller. Il libro diventa un caso: è finalista al premio letterario Garfagnana in giallo (la premiazione avverrà il 3 luglio a Barga) e a più di anno dalla pubblicazione il romanzo è sempre nei primi 100 best seller Amazon nella categoria thriller. Il romanzo ha incuriosito anche una emittente radiofonica australiana che ha deciso di intervistare l’autrice, così come blog letterari italiani e riviste del settore.
In passato Simona ha curato una rubrica sulla bellezza e la cura femminile su un portale di makeup e ha vinto numerosi premi letterari, da tre anni firma il copione di uno spettacolo teatrale interamente basato sui suoi testi, e tutto comincia da un blog “A Casa di Simo” (per apprezzare il tono della sua scrittura vi proponiamo questa stessa biografia, ma detta da lei).
Abbiamo divorato in due giorni l’ultimo libro di Simona e abbiamo deciso di intervistarla per i lettori de La Voce di New York per varie ragioni: il suo iter nel mondo della letteratura è singolare e il suo sguardo ci porta da una rosticceria in provincia di Pisa a… un lago del New England. Sì, perché la protagonista di questa storia, Sarah Jane, una romanziera alter ego della Fruzzetti, abita a Boston e ripercorre i sentieri della sua infanzia nel Maine.
Il tuo approccio alla scrittura parte non da una casa editrice ma da un rapporto personale con dei lettori. Come arrivasti a fare un blog?
“Il blog è stata la naturale conseguenza del mio percorso. Ho sempre scritto, ma tenevo tutto per me, finché il primo posto a un concorso letterario nazionale al quale partecipai con ingenua leggerezza, mi dimostrò che quello che scrivevo poteva piacere a un pubblico. Da lì la decisione di aprire uno spazio tutto mio dove riversare i miei pensieri e tutto quello che mi passava per la testa. In quel periodo i blog erano spazi dove potevi crearti una community di affezionati lettori. Adesso sono stati soppiantati dai social, ma sono molto fiera di affermare che, bensì lo curi meno che in passato, tante mie lettrici di allora (si parla di 12 anni fa) mi seguono ancora con affetto. Abbiamo solo spostato il luogo in cui farlo. Credo molto nella community, nel fare gruppo, e nel mio percorso è stato fondamentale. Molto del mio successo lo devo a chi mi segue da anni”.
Come hai fatto il salto dal blog al libro?
“Anche questa è stata una conseguenza. Il blog, così come i concorsi letterari, sono stati per me un banco di prova. Davo comunque in pasto alla rete racconti e parti della mia vita. Il riscontro era positivo e quando arrivò la possibilità di pubblicare col self-publishing mi dissi ‘Perché no?’. Mi sono sempre buttata con coraggio e un pizzico di incoscienza, anche con il rischio di feedback negativi (che nonostante l’immediato successo, arrivarono). Il primo libro autopubblicato mi ha insegnato che non ci si inventa imprenditori. Da lì ho capito di voler fare sul serio ed è stato in quel momento che è cominciata realmente la mia carriera, se così si può dire, studiando e puntando tutto su me stessa”.
L’ambientazione del romanzo come è nata? Qual è il tuo apporto con gli USA e con i tuoi parenti americani? Quando vennero qui? Cosa facevano?
“Per Io ti salverò avevo bisogno di un’ambientazione particolare. In mente avevo delle scene precise che si dovevano svolgere in determinate condizioni. I viaggi che ho fatto negli Stati Uniti nel 2016 e 2018 da questo punto di vista sono stati fondamentali. In quel periodo avevo già buttato giù qualcosa, ma mi mancava l’atmosfera. Dopo aver visitato il Maine ed esserne rimasta folgorata, decisi che era lì che si doveva svolgere l’intera vicenda. Aveva tantissimi elementi che rispecchiavano non solo quello che andavo cercando, ma il paesaggio mi suggerì anche spunti interessanti in fase di stesura. Rimasi incantata dalla maestosità dell’Acadia National Park a tal punto che decisi sul momento che uno dei protagonisti sarebbe stato una guardia forestale; così come sulla via del ritorno da Moosehead Lake, la vista d’insieme del lago mi offrì uno scenario perfetto da descrivere in un capitolo. E poi, cosa da non sottovalutare, tutto quello che ho narrato l’ho visto, annusato, calpestato, in pratica vissuto. E i lettori, mi dicono, lo percepiscono. Ho potuto visitare il Maine e altri Stati, grazie ai miei parenti che ci hanno ospitato in due occasioni. Il cugino di mio padre vive con la famiglia nel New Jersey da più di quarant’anni. Come succedeva a quei tempi partì giovane e tentò la fortuna in America come cantante. Ci è riuscito e ha realizzato il suo sogno, portando la canzone italiana in tutti gli Stati Uniti esibendosi in concerti e festival italoamericani. Ho avuto modo di partecipare a tali eventi durante la mia permanenza e devo dire che il calore del pubblico italoamericano è commovente, è come ritrovare un pezzo d’Italia oltreoceano. Inoltre il fatto che abbia ricevuto la prestigiosa riconoscenza di Ambasciatore della musica italiana in America, ci rende molto orgogliosi di lui”.
Il titolo hitchcockiano e la copertina: come li hai scelti?
“Il titolo è la frase che ripete la protagonista alla sorellina in un momento determinante del libro. È un’espressione che comunque ricorre spesso in tutto il romanzo sotto vari aspetti e ci sono molte chiavi di lettura al riguardo. Io stessa sono stata salvata da questo libro; è nato infatti da un trauma e un senso di colpa che mi ha travolto e annientato. Mi è servito molto e la cosa che più mi colpisce è che anche qualche lettore mi ha confidato di essere stato salvato dal mio romanzo, una sorta di presa di coscienza e alla fine di perdono verso se stessi. Per la cover avevo in mente qualcosa che richiamasse subito l’ambientazione. La scelta era ricaduta su tre immagini, ma appena ho visto quella attuale ho esclamato: è lei! Senza dire niente l’ho mandata a chi aveva letto il manoscritto in anteprima e la risposta unanime è stata: dimmi che sarà la copertina del libro perché è perfetta! Non ho avuto più dubbi, anche perché l’ambientazione non è solo di contorno, ma è protagonista al pari dei personaggi. Il progetto grafico invece l’ho affidato ai miei grafici di fiducia che fanno parte, diciamo, del mio staff di pubblicazione”.
La protagonista è una scrittrice che dipende molto dal suo agente. Quali sono le somiglianze e differenze tra te e lei?
“Prima cosa: io non ho un agente. Il come, il perché, la tempistica, il tema, la lunghezza e tutto quello che concerne la nascita e l’uscita di un libro, è gestita interamente da me. L’agente è una figura fondamentale per quanto riguarda le pubblicazioni con casa editrice, nel self-publishing è diverso. Anche se io sono arrivata a pubblicare con Piemme senza un agente, la reputo una figura molto importante. Di fatto io non ho scadenze, gestisco il mio lavoro senza pressioni, senza paletti, con molta flessibilità. Questo però comporta un rovescio della medaglia: bisognerebbe essere muniti di costanza e disciplina per pubblicare almeno un libro all’anno, ma sono due doti che, ahimè, non sono il mio forte. Scrivo di pancia spinta dal fuoco sacro dell’ispirazione e questo mi fa essere un’autrice per certi versi lenta. Non seguo il mercato, ma ciò che sento dentro”.
Mi hai detto “faccio anche la commessa”, e io credo che un lavoro informi sempre tutto il resto. Dove lavori? In che cosa il tuo essere commessa si intreccia con l’essere scrittrice?
“Il fatto che io faccia la commessa sorprende i più. Apparentemente sono due cose molte diverse, ma una non esclude l’altra. Sono due lavori, due attività, che mi permettono di portare la pagnotta a casa. Mi è stato chiesto più volte il perché io non mi decida a mollare il mio lavoro da banconista in una rosticceria per dare spazio e luce a un lavoro più culturale. A volte, in alcuni contesti, mi è stato chiesto anche di omettere che io sia anche una commessa, quasi la mia seconda professione potesse indebolire la mia aura di autrice. Io ne vado fiera, invece. Io racconto storie e tante sono nate da quello che vedo, dalla gente che incontro. A volte le lettrici mi vengono a trovare al lavoro, altre scrivo dediche proprio lì sul bancone, tra un’ordinazione e l’altra. Questo lo trovo molto bello ed empatico. Quasi nessuno riesce a comprendere come possano coesistere e combaciare due professioni così diverse, ma tutte e due mi permettono di essere sempre e comunque me stessa, che è la cosa a cui tengo di più. E il fatto che in mano abbia un forchettone unto o un premio prestigioso, non fa nessuna differenza: sono sempre io”.
Come ha influito la pandemia nella pubblicazione e diffusione del libro?
“Purtroppo dopo un mese dall’uscita del libro è scoppiata la pandemia, quindi ho fatto in tempo solo a fare la prima presentazione in pubblico. Per questo motivo mi sono saltate non solo le presentazioni, ma anche le fiere del libro e tutto quello che concerne la promozione in presenza. Devo dire però che avendo i social a disposizione, il libro è andato bene comunque; è stato letto in un periodo in cui le persone avevano effettivamente più tempo e il riscontro è stato positivo. Non vedo l’ora però di poter tornare di persona a presentare i miei libri perché mi piace molto confrontarmi con le persone. A ogni fiera o evento se ne esce sempre arricchiti”.
Cosa ti dà più soddisfazione quando esce un libro? In cosa consiste il successo?
“Puoi scrivere anche venti libri, ma ogni volta che esce l’ultimo è sempre una grande emozione, non ci si abitua mai. Col self-publishing il carico di ansia è maggiore rispetto a quando si pubblica con la casa editrice, perché la responsabilità di quello che sta per uscire è tutta sulle tue spalle. Non ci sono intermediari, tutto quello che vedranno, sfoglieranno e leggeranno l’hai scelto tu. Non hai nessuno su cui appoggiarti nel caso in cui qualcosa andasse storto. Ma se tutto va bene, be’… è una grande soddisfazione. Al di là delle copie vendute credo che il successo di un autore indipendente sia presentare al pubblico un prodotto professionale, fatto bene, che non faccia rimpiangere la presenza di un editore. Se da piccola mi avessero detto che un giorno avrei presentato i miei libri ai festival letterari non ci avrei creduto. Era un mondo totalmente lontano da me, da noi, da non essere preso nemmeno in considerazione, quindi ogni volta che accade per me è una magia. Credo, tuttavia, di mantenere la leggerezza che mi contraddistingue. In ogni ambiente non ho filtri, non indosso maschere, alla fine emerge sempre la semplicità e la spontaneità di quella bambina”.
Ho letto solo un libro tuo ma ho visto che hai affrontato diversi generi. Cosa ti ha fatto considerare il giallo?
“Io scrivo due generi perché sono quelli che preferisco leggere. Sono una grande appassionata di gialli e thriller quindi lo sento molto nelle mie corde. Mi basta scorgere una scarpa abbandonata per strada per far partire un film mentale con sfondi noir. Invece le commedie mi escono di getto, il tono è quello dei post su Facebook, è un altro lato di me, più leggero e scanzonato. E sono tutti e due molto importanti”.
Che differenza c’è tra pubblicare con una casa editrice e il self-publishing?
“Io ho esperienza in entrambi i campi, quindi conosco tutte e due le realtà. Per semplificare diciamo che con la casa editrice una volta consegnato il manoscritto il più è fatto. Ovviamente il lavoro non finisce lì, perché c’è comunque una collaborazione attiva, ma ci possiamo rilassare un po’ di più in quanto ti vengono messe a disposizione delle figure professionali che lavorano affinché il tuo libro intraprenda il suo percorso. Invece con il self-publishing, una volta messa la parola fine al manoscritto, inizia una mole di lavoro immane perché di fatto devi sostituirti a tutte queste persone. Quindi un editor te lo devi trovare, così come un correttore di bozze, un grafico per la copertina che hai scelto, curare l’impaginazione sia dell’ebook che del cartaceo, insomma devi confezionare il prodotto al meglio. Ma non è finita, perché devi fare le veci anche dell’ufficio stampa quindi pensare alla promozione: comunicati stampa, collaborazioni con blog letterari, eventi di divulgazione, iniziative, fiere del libro… In pratica devi fare tutto quello che una casa editrice farebbe per il tuo libro. Detta così lo so che spaventa, ma con impegno, studio e dedizione ci si riesce, soprattutto se affiancati come nel mio caso da esperti. Io ho affidato l’editing, la correzione di bozze e il progetto grafico a dei professionisti per i quali ho stanziato un budget, perché per avere un buon prodotto devi un minimo investire. Il resto lo curo io. Il self-publishing è un’opportunità bellissima, ma perché funzioni devi prenderla sul serio, investendo su te stesso con impegno e professionalità. È il prezzo da pagare se si vuole pubblicare senza vincoli e in piena libertà”.