C’erano i Greci e c’erano le barbare. Ossia le raffinate e emancipate Troiane che i grezzi e maschilisti vincitori della guerra di Troia si riportarono a casa come schiave. Loro che erano state principesse e regine li avrebbero serviti nel talamo e al desco. La morte era preferibile. Le Troiane di Euripide è il calvario collettivo di queste donne, che vanno incontro ad un atroce destino. Ma Euripide scrisse anche altre tragedie su singole figure di Troiane, Andromaca ed Ecuba, come su donne greche che furono determinanti per lo scoppio della guerra: Elena ed Ifigenia.
Nel 2019 la giornalista e scrittrice inglese Natalie Haynes ha dato alle stampe A Thousand Ships (Un Migliaio di Navi). The Guardian e The Times, che forse hanno sentito menzionare solo l’Iliade e l’Odissea, l’hanno considerato uno dei migliori libri del 2019 sostenendo che rappresenti una sovversiva rivisitazione dei classici, poiché fa parlare le donne troiane rimaste finora in silenzio. Ohibò, Euripide mai sentito nominare?
Sonzogno ora nella traduzione italiana ha conferito al libro della Haynes un titolo molto più opportuno: Il Canto di Calliope, visto che è la musa ispiratrice di Omero a prendere direttamente la parola per raccontare perché Troia sia caduta. “Quando avete capito che avrebbero preso Troia?” chiese Polissena alla madre Ecabe, cioè la regina Ecuba. “L’abbiamo capito quando è caduta l’Amazzone”. Mica quando Achille uccide Ettore, no: quando uccide Pentesilea. Qui tutto è al femminile, anche la causa della caduta di Troia.
Altra chicca: “Molto prima che sapesse camminare, Ippolita aveva insegnato a Pentesilea a lanciare pietre con la fionda attraverso i saloni della loro madre”. Speriamo che i candelabri non fossero di vetro di Murano.
Descrizione ‘poetica’ della morte di Pentesilea: “Vide gli occhi della donna annebbiarsi, come per una cataratta”. Eh certo, Achille si intendeva di oculistica già nel 1200 a.C.
Gran finale: “Si domandò se mai qualcun altro fosse morto pronunciano la parola grazie”.
Ma come si fa a rovinare una della morti con più pathos della letteratura classica? Bastava copiare Quinto di Smirne che ne Il seguito dell’Iliade scrive: “Le tolse dal capo l’elmo scintillante… e di lei, pur caduta nella polvere e nel sangue, brillò sotto l’amabile fronte il bel volto, sebbene morta”. Oppure l’Achille di Heinrich von Kleist che si fa sbranare di baci da Pentesilea: “Questa donna meravigliosa, metà furia, metà grazia mi ama… e io pure l’amo”.
Ma ecco che la scrittrice fornisce Penelope di carta e penna per scrivere allo sposo Ulisse che non torna e la fa concludere: “Tua moglie che ti ama”. Non ci dice l’indirizzo dove invii la missiva, che semmai sarà stata vergata su una tavoletta d’argilla in lineare B.
Polissena non se la beve ed è convinta che Troia sia caduta per volontà degli dei. Nel frattempo la nereide Teti, madre di Achille, ne piange la morte, ma “le sue lacrime non sapevano di niente”. Perché le lacrime devono sapere di qualcosa?
Giri pagina e trovi Calliope incavolata nera: “Se mi chiede un’altra volta di cantare, credo che potrei dargli un morso”. Povero Omero.
L’adolescente Ifigenia, figlia di Agamennone, va alla pozza d’acqua tra le rocce, si rispecchia e “sembrava che avesse il doppio mento”. E ancora: “Cercò tra i suoi effetti personali il trucco che voleva usare il mattino dopo”. Roba da matti: Ifigenia, che prima di essere sacrificata affinché i Greci avessero il vento favorevole per salpare alla volta di Troia, pensa a truccarsi!
Segue la solita disputa tra Afrodite, Era e Atena su chi sia la più bella. Come sanno anche i sassi, Paride assegna la mela d’oro ad Afrodite che in cambio gli farà conquistare il cuore di Elena.
Nel libro della Hayenes, Penelope continua a scrivere ad Ulisse e osserva: “Certe donne fanno proprio di tutto per non restituire un marito alla moglie”. Eh sì, non è colpa del marito fedifrago, ma della maga Circe. Poi conclude dicendogli che il cane sta bene, ma sta invecchiando.
Certe donne non dovrebbero scrivere di mito di cui non sanno un accidenti! Se non rispetti il mito, non comprendi l’essere umano.