Tu pensi di conoscere una persona, e invece non la conosci mai abbastanza. Quando collaboravo a Il Giornale ho incontrato per anni in redazione, a Milano, il giornalista Michele Vanossi: talvolta si andava a pranzo e si parlava di lavoro, tutt’al più di vacanze. Non di vita privata. Mi chiedevo tuttavia come mai fosse single. E mi rispondevo: è un timidone. Mai avrei potuto immaginare che Michele per anni e anni fosse stato innamorato di 20 ragazze tutte insieme. E mica ragazze qualsiasi, no, le signorine Buonasera! E comunque fosse stata anche una sola, era irraggiungibile.
Mi chiama quindi qualche settimana fa e mi rivela che per parecchio tempo ha rincorso le presentatrici televisive, che era una sua passione, raccogliendo interviste, aneddoti, fotografie e ora, che non appaiono più in tv, gli ha dedicato un libro: Le Signorine Buonasera. Il racconto di un mito tutto italiano dagli anni 50 ad oggi (Gribaudo – Feltrinelli).
Forte, Michele! Penso. O tutte o nessuna. Meglio rincorrere un sogno che vivere una vita non desiderata.
Anch’io sono cresciuta con le Signorine Buonasera della Rai, ma direi che a me non piacevano poi tanto. Erano gli anni ’60, dettavano legge in fatto di acconciatura e mia mamma le scimiottava. Non solo si faceva pettinare dal parrucchiere come loro, ma trascinava pure me, bambina, e dovevo stare sotto un casco bollente con i bigodini in testa più di un’ora. Uscivamo con le facce rosse e le teste cotonate venti centimetri sopra la fronte e cosparse di lacca. Pure l’atteggiamento di donna perbene sempre sorridente, al collo un filo di perle, era quello d’ordinanza tra le signore borghesi italiane. Vedevo mio nonno e mio padre che si scioglievano quando apparivano le signorine sullo schermo. Dovevo essere un po’ gelosa e, per disturbarne l’ascolto, facevo il verso a quella di turno. Insomma erano entrate in casa mia come in tante altre case italiane a dare lezioni di bon ton. Arrivò il ’68 e andarono di colpo fuori moda; io finalmente potevo essere figlia dei fiori e portare i capelli lunghi e dritti, come erano di natura. Ma continuammo a vederle in tv fino al 2018.
Michele Vanossi le ha intervistate tutte nel suo bel libro, ricco di foto ed aneddoti. Mi rendo conto solo ora che non erano così vecchie come sembravano a me bambina, ma giovani. E che il loro lavoro non era così semplice e scontato come credevo. Si truccavano da sole e avevano seguito un corso di dizione per rendere il loro accento inappuntabile. Erano sempre moderate nel vestire e nell’esprimersi; oggi alcune presentatrici dovrebbero prendere esempio: eviterebbero di essere volgarmente ridicole.
La prima è stata Nicoletta Orsomando che dal 1953 è rimasta in carica per una quarantina d’anni. Confesso: con la pettinatura alla Orsomando sono stata fotografata in un giornale di cruciverba, per un concorso a cui avevo partecipato, e ho vinto una racchetta da tennis. Avevo 8 anni e, così conciata, ne dimostravo il doppio.
Tutte ricevevano regali, biglietti, fiori, cioccolatini, poesie ritratti da migliaia di ammiratori. Perfino proposte di matrimonio. Rosanna Vaudetti, l’avatar di mia madre, ha raccontato a Vanossi che un giorno un signore le inviò il suo testamento dicendo che aveva passato più tempo con lei che con i suoi parenti. Ma lei non lo fece valere in sede testamentaria. Maria Giovanna Elmi forse è stata la più amata: era chiamata “la fatina della tv”, così bella da sembrare finta. Ne era estasiato perfino il figlio dell’attrice Aundrey Hepburn la quale, incontrandola in un ristorante romano, le chiese un autografo per lui.
Nel 1984 anche Mediaset si dotò di annunciatrici; l’ultima è stata la grintosa Emanuela Folliero. Le abbiamo conosciute in bianco e nero e, quando le abbiamo salutate, erano a colori.