Quando uscì il suo Questa è l’America (Mondadori 2020) Francesco Costa disse che tutto quello che sapeva a proposito degli Stati Uniti era concentrato nell’opera. Ebbene, viste le sue diverse e pregevoli attività attorno alle tematiche statunitensi, non può essere certamente così: nel volume Costa smonta molti miti e luoghi comuni del “grande continente”. Dalla questione delle armi all’evasione fiscale, dalla cultura dello Stato limitato al divide città-campagna, dalle questioni energetiche alla politica interna. Il vicedirettore del Post offre al lettore idee e spunti in merito a trasformazioni e problematiche degli Stati Uniti di oggi, in un libro stringato e supportato da dati e numeri, zeppo di curiosità attorno al grande gigante americano.
Ad esempio, nella sola New York ci sono più persone di quante ce ne siano in quaranta dei cinquanta stati americani. Dal 2016 al 2018 per tre anni consecutivi gli Stati Uniti hanno visto una diminuzione dell’aspettativa di vita media (non succedeva dal 1915-1918, dai tempi della Grande Guerra e della spagnola). L’America sforna ogni anno una manciata di premi Nobel. Costa ricorda che l’America è sempre la terra delle opportunità, elemento del quale si dubiterebbe se si osservano le evoluzioni politiche degli ultimi anni: il sogno americano «oggi è oscurato dalla perenne consapevolezza che si procede senza nessuna rete di protezione».
Uno dei grossi problemi negli Stati Uniti è la questione legata agli oppiacei contenuti in molti farmaci: dal 1999 al 2018 quasi ottocentomila persone negli States sono morte per overdose; questi medicamenti vengono prescritti a raffica per lenire dolori a milioni di individui che legalmente ne fanno uso quotidiano. La dipendenza che si sviluppa è devastante; prodotti prescritti dal medico di fiducia, il fenomeno non è purtroppo al centro dei grandi dibattiti, sebbene esso rappresenti una sorta di “auto-guerra” dell’oppio propugnata da americano ad americano. «Negli Stati Uniti la stampa si è accorta tardi di questo fenomeno», spiega Costa; nel 2016 le contee più colpite dall’(ab)uso di questi farmaci hanno votato per Donald Trump…
In diversi stati come la West Virginia – fondata su industria pesante, legname e miniere di carbone – alla fine della propria carriera molti lavoratori hanno dolori cronici, che vengono leniti da farmaci a base di oppiacei. Inoltre, molti medici «sono sempre stati più propensi a prescrivere gli antidolorifici ai bianchi, rispetto ai neri, perché consideravano i neri più irresponsabili, quindi a maggior rischio di abuso». Il risultato oggi è che è proprio la popolazione bianca ad essere maggiormente colpita dall’“auto-guerra”; «l’autodistruzione dell’organismo si accompagna a quella della persona, che nel frattempo sbriciola i propri legami personali, la propria posizione lavorativa, la propria stabilità economica».
Costa racconta anche di un’altra grossa piaga negli Stati Uniti, quella della facile circolazione delle armi: la metà delle armi in circolazione in America è posseduta dal tre per cento della popolazione. La propensione all’arma personale deriva anche dal fatto che molti dei detentori credono di essere in perenne stato di assedio e che devono dunque proteggersi dal governo di Washington. Dunque, via libera a pistole, mitragliatori e fucili da guerra; strumenti che de facto sostituiscono il monopolio della forza dello Stato e danno origine ad un pericoloso Far West. «Chi sopravvive ad una sparatoria muore comunque, anche se non riporta alcuna ferita, e comincia il giorno dopo una vita diversa e nuova», scrive Costa. Alcuni addirittura si uccidono a seguito di una sparatoria; altri non sono in grado di reggere lo stress a scuola o al lavoro.
Negli USA nessuno è davvero al riparo dalla violenza delle armi; la maggior parte delle violenze avviene negli stati e nelle regioni più povere. «Centinaia di milioni di americani nel corso dei secoli insegnarono a sparare loro figli, costruendo tradizioni e riti di passaggio generazionale […] solidissimi: la prima volta che mio padre mi ha portato a caccia, la prima volta che ho sparato, il primo fucile». La pistola come simbolo d’identità culturale, battesimo di molti americani. Il nesso che collega la necessità di armarsi a quella d’indipendenza rispetto al government è antico, specialmente nelle file del GOP, dove molti invocano più indipendenza rispetto allo Stato. Cosa inconcepibile in Europa, dove in tanti chiedono allo Stato di occuparsi di loro. La sfiducia di molti cittadini nei confronti dell’autorità centrale negli Stati Uniti, riferisce Costa, è dovuta anche al fallimento nel prevenire l’11 settembre, alle tardive operazioni di soccorso dopo Katrina, alle guerre in Iraq e Afghanistan… Insomma, il governo federale è diventato per molti sinonimo di sprechi ed inefficienza.
Quanto alla tematica delle minoranze etniche, Costa ricorda che presto queste non saranno più minoranze, cosa che spaventa molti WASP. «Per quanto in America non esista un singolo tema che possa essere letto senza partire dalla questione razziale, non è scritto da nessuna parte che le persone votino sempre soltanto in base alle loro origini e al colore della loro pelle». Ad ogni modo, entro il 2044 quello dei bianchi «rimarrà il segmento demografico più popoloso, ma le altre minoranze presto saranno abbastanza numerose da diventare, tutti assieme, maggioranza». Inoltre, «tra il 2000 e il 2050 la fascia di popolazione statunitense tra i 15 e i 64 anni dovrebbe crescere del 42%, mentre […] si prevede che diminuisca del 10% in Cina, del 25% in Europa, del 30% in Corea del Sud e del 40% in Giappone». Questo crea molte tensioni nella società americana, spaccata in due filoni che spesso degenerano nei loro estremi: da una parte gli ultra-conservative che temono sostituzioni etniche, dall’altra gli ultra-liberal che propongono un multiculturalismo esasperato.
«Forte della sua gioventù, infatti, la cultura statunitense ha sempre costruito la sua influenza impareggiabile sulla permeabilità, sulla capacità di farsi contaminare senza grandi paure». Intersecare i vari segmenti della popolazione americana, considerando la straordinaria eterogeneità della materia genetica americana è la sfida che tocca il paese dalla sua fondazione all’oggi. Non stupisce che alcuni “politici” trovino spazio e consenso in strati della popolazione che del miscuglio culturale non vogliono sentir neppure parlare. Trump, smentito dai dati, «ha alzato la durezza dei suoi attacchi non solo contro gli immigrati, regolari irregolari […] ma anche contro gli americani che non sono bianchi». Non stupisce dunque uno studio della University of North Texas che ha riscontrato che le contee che nella campagna del 2016 hanno ospitato un suo comizio «hanno sperimentato in seguito un aumento medio del 226% di aggressioni motivate dall’odio razziale».
Altro capitolo importante per capire l’America di oggi è la questione commerciale: con il NAFTA gli scambi commerciali erano aumentati in modo positivo e conveniente anche per le imprese americane consentendo di resistere all’influenza commerciale da parte della Cina. Tuttavia, importanti settori del paese si sono impoveriti: Costa ricorda che dal 2000 ad oggi il Michigan ad esempio ha visto la scomparsa di oltre mezzo milione di posti di lavoro nel manifatturiero, quasi il dieci per cento del totale. «Il resto del Midwest ha sperimentato un simile collasso. Ma […] la grandissima parte di questi posti di lavoro è andata perduta a causa dell’automazione, dei macchinari impiegati nelle fabbriche che hanno rimpiazzato gli operai.» Trovare “l’immigrato che ruba il lavoro” è comodo a livello politico, ma pochi parlano della fuga di molti operai specializzati verso altri stati. Non è dunque un caso che «oggi il Midwest è la regione statunitense dove l’abuso di farmaci a base di oppiacei ha fatto il maggior numero di vittime».
«Gli Stati Uniti stanno attraversando una sensazione di perenne precarietà e paura, che ha soffocato l’identità stessa del paese, il suo ottimismo proverbiale incrollabile, la sua fiducia nel futuro». Covid-19 e polarizzazione politica hanno ulteriormente complicato le cose. In tal senso, negli ultimi decenni, democratici e repubblicani non hanno mai avuto posizioni simili, ma gran parte del segmento moderato votava una volta il GOP e l’altra i dem, visti i contenuti talvolta simili. Per esempio, nelle elezioni del 1996 il candidato democratico più moderato, Bill Clinton sfidò il candidato repubblicano più moderato, Bob Dole. Vent’anni dopo, due candidati radicalmente opposti si scontravano nella battaglia per la presidenza, sintomo di un paese che dice di sé di essere eccezionale, ma che oggi a livello istituzionale è pieno di contraddizioni.