Noi italiani siamo un enigma per gli altri popoli del mondo. Ma talvolta anche per noi stessi. Siamo invidiati e invidiosi perché sappiamo essere fragili e forti, imprevedibili e inaffidabili, occasionalmente eroi, comunque pieni di fantasia, ironici e autocritici, capaci di bei gesti ma piuttosto maleducati, preferiamo fare una bella risata a una bella figura, sappiamo pensare con le mani e lavorare con i pensieri. In sintesi: siamo tutto – o quasi – quello che gli altri vorrebbero essere e non osano.

Questi sono alcuni dei 50 motivi per essere italiani che Beppe Severgnini elenca nel suo ultimo libro Neoitaliani. Un manifesto (Mondadori), che ha presentato a Pordenonelegge. “Dopo questa stranissima primavera che abbiamo attraversato” ha esordito Severgnini e mi è venuta in mente la canzone: “Maledetta primavera” e ho sentito risuonare nelle mie orecchie: “Voglia di stringersi e poi… che imbroglio era… maledetta primavera”. Era il 1981, Loretta Goggi cantava il male d’amore e credevamo di morire per esso. Come a rispondermi, è salito sul palco il cantautore Carlo Fava e al piano ha intonato “Una bellissima ragazza”, che scrisse nel 2007 per Ornella Vanoni. Sì, eravamo giovani e belli e soffrivamo nonostante la bella stagione. Non vedevamo i fiori, i colori, il cielo azzurro perché ci mancava il respiro alla vista dell’amato. Ora temiamo il respiro altrui. Siamo cambiati. In meglio, in peggio? “Siamo diversi. Siamo stati costretti a trovare dentro di noi risorse che non sapevamo di possedere”, ha osservato Beppe Severgnini.
Editorialista del Corriere della Sera e che interviene spesso anche nella pagina delle opinioni del The New York Times, Beppe Severgnini è autore di molti saggi, tra cui La testa degli italiani, pubblicato nel 2005 e tradotto in 12 lingue, che in America è stato un bestseller. Ci ha raccontato che ha meditato questo libro per 15 anni, ma con l’avvento della pandemia ha proprio creduto fosse “arrivato il momento di rifare il ritratto nazionale”: da inizio marzo a fine luglio il neoitaliano ha preso corpo dai tasti del computer rivelando che la sua testa si era messa in riga per affrontare la pandemia. Ha dimostrato che sa essere serio quando davvero serve, benché la figura dell’indisciplinato gli sia sempre piaciuta da morire. Abbiamo infatti saputo affrontare le restrizioni dovute al covid meglio degli altri Stati.
Severgnini ha citato il premier britannico Boris Johnson, che aveva cercato di giustificare il boom dei contagi nel suo Paese sostenendo che “gli inglesi, a differenza degli italiani e dei tedeschi, amano la libertà”, invece sottintendeva: gli italiani non amano la libertà, perché sono un po’ servi. Il presidente Sergio Mattarella ha ribattuto che “anche noi amiamo la libertà, ma siamo seri”. Aggiungo: in uno stato di diritto la libertà, implicando diritti e doveri, finisce dove comincia quella altrui. Altrimenti si è barbari. Johnson confonde il rispetto, alla base di una civiltà democratica, con il sentimento di sottomissione. “I servi lo temevano, i liberi lo rispettavano” è una frase latina chiarificatrice. Ma cosa ha studiato all’università Johnson? Eppure ha dichiarato di aver fatto studi classici… Ha dimostrato ancora una volta di avere la testa in disordine, dentro e fuori. Né la libertà è quella che intende Trump, ha sottolineato Severgnini: “Un presidente così è meglio perderlo che trovarlo, non ha la disciplina mentale per poter gestire qualcosa”.

“Avevo scritto tre articoli su The New York Times avvertendo gli americani: guardate che gli italiani hanno le caratteristiche per affrontare questa pandemia meglio degli altri”. Severgnini ha proseguito: “Ci siamo trovati con le spalle al muro, ma è la posizione in cui gli italiani danno il meglio di sé. Sull’imprevisto non ci batte nessuno, sia in volo che a terra. Una pandemia è la macchina verità. E noi possiamo farcela perché abbiamo trovato in noi stessi una sorta di guida”.
Cosa dunque abbiamo imparato e cosa ci aspetta? “Abbiamo visto che l’Italia fa parte dell’Europa e del mondo. Pensavamo di bastare a noi stessi e abbiamo deriso l’autorità e l’altruismo, ignorato competenze e scienza che invece ci hanno salvato. Ci siamo illusi che il superfluo fosse fondamentale… una vita in vacanza. Ma abbiamo una dote che ci riscatta: non siamo tutti poeti ma riconosciamo la poesia”.