Cosa preferite: Achille o Odisseo, un uomo diretto ma spietato o un dolce bugiardo? Achille si ama al primo sguardo. E come non si potrebbe amare un semidio? Ma lui ama se stesso e non ti guarda. Odisseo invece sa guardare, parlare, blandire. E’ un attore navigato. Ci sono cascate tutte: vergini, sirene, dee e maghe. Eppure era piccolo, debole, da nulla, come afferma il ciclope Polifemo.
Ho amato Achille dalla prima riga dell’Iliade. Ho odiato Odisseo dalla prima riga dell’Odissea. Ma se guardo indietro alla mia vita di donna, io Nausicaa, Circe, Calipso ho perso la rotta per Ulisse, l’uomo che sa accarezzare il cuore con le parole. Ora sospetto che si sia inventato un sacco di prodezze per far colpo, ma non si sia mai mosso dalla sua nave tenendo ben saldo il timone. Non è mai naufragato perché non ha mai navigato nell’oceano dei cuori. Per solcare il mare bisogna avere il coraggio di lasciarsi andare. Bisogna saper contare solo sulle proprie forze per riemergere dai flutti.
Sospetto che Odisseo fosse troppo pigro e vile per far questo. Ma sapeva immaginare e quindi far sognare. Era lui sirena, ero io che salivo sulla sua nave ogni volta: mi raccontava che fosse un’isola, l’unica isola dell’amore. E niente aveva più importanza per me. Per lui ero solo una compagna per ingannare la solitudine del tragitto della vita. E Itaca? E Penelope? Mai esistite, se l’esistenza è nel cuore di chi ama. Itaca e Penelope erano solo scuse per lasciare e rivolgersi a nuove avventure. Le donne come tappe del viaggio e tappi all’angoscia di vivere.
Alla fine, infatti, tra il bellissimo Achille e il suadente Odisseo, vince Odisseo. Della loro lite indicibile, di cui Omero non parla ma sottende, ha scritto Matteo Nucci in Achille e Odisseo. La ferocia e l’inganno (Einaudi). Una lite che conosciamo tutti sin da bambini, che testiamo sulla nostra pelle finendo per dividerci tra coloro che sanno aspettare il momento opportuno e coloro che non sanno frenarsi e finiscono per cadere. Come Achille. Sincerità contro inganno. Astuzia contro schiettezza.
Eppure questi due uomini così apparentemente diversi qualcosa in comune ce l’hanno. Sono eroi, sono umani e sono mortali. Perché entrambi sono coraggiosi, disposti a soffrire fino al limite delle proprie forze: è proprio nella mortalità che sta la loro umanità. Un eroe, spiega Nucci, non è un uomo aldilà dell’umano, un essere invincibile e perfetto, bensì “un essere umano pienamente realizzato”. Proprio per questa sua finitezza è superiore agli dei immortali. E’ proprio l’irreplicabilità della vita che la rende sacra e davvero divina. Gli dei possono sbagliare all’infinito, gli umani no. La decisione dell’uomo è una sola, il suo giorno non torna più. Per questo quando, nei poemi omerici, seguiamo le gesta degli dei ridiamo e le prendiamo con leggerezza. Mentre partecipiamo empaticamente a quelle degli eroi che soffrono e sanguinano moralmente e fisicamente. Ed è proprio il coraggio di saper affrontare la morte che gli dei invidiano. Ciò non significa che gli eroi non siano fragili. Gli eroi omerici piangono dall’inizio alla fine, perché è il saper vivere fino in fondo le proprie emozioni che gli permette di attraversare il buio della notte.
Anche Platone attraverso un dialogo socratico, si chiese se fosse migliore Achille o Odisseo. Un uomo retto ma avventato o uno intelligente ma astuto? Molto spesso è necessario calibrare le parole con arte a seconda degli interlocutori e delle situazioni. Perché le parole sono come farmaci e non a tutti possono essere prescritti gli stessi rimedi. Ma ci sono due tipi di menzogna: quella che è presente nelle parole e quella che sta nell’anima. E se la prima è poco pericolosa, appunto può essere un farmaco, la seconda è drammatica: è un’ignoranza che ci portiamo dentro che non porta alla verità e al bene.
Ritengo che di drammi e tragedie Odisseo, il cui nome significa l’odioso, ne abbia innescati tanti: la caduta di Troia non è stata solo la caduta di una città potente e nemica dei Greci, ma la fine di un rispetto del femminile che ancora oggi stenta a riaffermarsi. Grandi figure simili a quelle di Ecuba, Andromaca, Cassandra, le donne troiane che saranno trucidate o tradotte in esilio dai conquistatori greci, non si ritroveranno più nelle donne greche, già circoscritte nei ginecei a tessere la tela della vita dei loro eroi.