Vent’anni fa un mio amico ingegnere, la cui azienda di costruzioni era fallita perché lo Stato italiano non l’aveva pagato per i lavori eseguiti nei tempi previsti, si traferì a Cuba e cambiò vita. Fino ad allora era stato uno snob nel modus vivendi e un maschilista con le donne. Motivo per cui mi stava sui nervi, ma era il fratello della mia migliore amica e me lo trovavo sempre tra i piedi. Uno che metteva il becco su cosa indossavamo e dove andavamo, mentre lui girava solo con giacche di cachemire in Porsche e si spostava tra le sue case di Cortina e di Nairobi. Tornata da una visita a Cuba, sua sorella mi raccontò basita: “Se ne stava in canottiera davanti alla tv in bianco e nero e, mentre avvolgeva alla forchetta gli spaghetti, guardava Fidel Castro che urlava: ‘Popolo, de Cuba! – ovazioni – Popolo de Cuba!- ovazioni…’ Poi si è girato verso di me è ha detto estasiato: ‘Hai visto come parla bene?’”.
Questo lungo preambolo per dire che talvolta le persone cambiano talmente che riescono a dire o a fare ciò che per mezzo secolo hanno abborrito. Così Massimo D’Alema, che ho avuto l’occasione di sentire a Roma la scorsa settimana, alla presentazione del libro Il muro che cadde due volte. Il comunismo è morto, il liberalismo è malato e neanche io mi sento molto bene (Solferino) di Antonio Polito, vice direttore del Corriere della Sera. D’Alema ha affermato: “Avevo creduto che la caduta del muro di Berlino (1989) avrebbe travolto anche il comunismo italiano, invece abbiamo vissuto una nuova stagione perché la trasformazione della sinistra italiana è avvenuta nel segno dell’adesione all’internazionale socialista. Abbiamo condiviso un decennio straordinario per l’effetto dell’avanzata del mondo progressista, l’era Clinton. La sinistra è stata liberata dal peso della sua identificazione con il comunismo sovietico”. Oibò. Non mi ero accorta che D’Alema fosse un socialista italiano travestito per molti anni da comunista alla bisogna e poi, svestiti i panni sovietici, girasse con gli stivaloni da cowboy per i colli romani.
Ma poi è iniziata la crisi, che dura da vent’anni. “Noi socialdemocratici non abbiamo saputo far argine alla grande novità: il liberalismo antipolitico, che ha portato al dominio dell’economia. Per questo i poveri oggi votano per il sovranismo: hanno bisogno di una politica che torni a comandare sull’economia. Dovevamo porci il problema di come regolare il mercato”. Ecco, D’Alema è cambiato con il suo benessere tanto da professarsi socialdemocratico: è salito sull’auto di lusso della politica che governa e ha lasciato a piedi il suo elettorato operaio. Insomma non è andato dove lo portava il cuore, ma dove lo portava il potere. Senza rendersi conto che senza la truppe cammellate non solo non si conquistano le colonie, ma si perde pure l’urbe.
Per Carlo Calenda una terza via potrebbe essere il liberalismo sociale, un partito politico che tenga conto della capacità della società di rimanere agganciata al progresso. “La politica ha abdicato al suo ruolo, non è stata l’economia a farglielo fare”. Come aveva pronosticato nel 1996 Samule P.Huntington in Lo scontro delle civiltà, “andiamo verso una società multirazziale, ma “l’integrazione è una delle cose più complesse che esistono. Si raddrizza ritornando a un liberalismo sociale: non esistono trasformazioni in cui lo Stato non abbia un ruolo, altrimenti non ha ragione di esistere. La libertà come valore non è solo nel progresso della società. E poi ci chiediamo perché tanti votano i sovranisti. Il nostro governo ha perso perché, quando è arrivata la globalizzazione, l’80% dei lavori non era ancora stato inventato. Dicevamo: non salvaguardare i posti di lavoro, ma il lavoro. Se la società è più veloce del progresso, salta per aria”.
Infine Antonio Polito si è chiesto: “Come mai nessuno si è accorto di quello che stava succedendo? Abbiamo capito di non aver capito. Questo libro è un’autobiografia, il tentativo di raccontarmi con le mie idee. La presunzione intellettuale di cavalcare la storia spero non sia un errore delle generazioni future. Purché si salvi la libertà. Ci sembrano più importanti il lavoro, l’economia, il profitto, valori di una democrazia illiberale.”
Per D’Alema dal globalismo non si torna indietro ma il vero problema è come si va avanti. Calenda ribatte che la crisi è stata occidentale, mentre la Cina ha continuato a crescere, perché il confucianesimo la tiene insieme. Più importante di tutto è la questione dell’identità: “Ha ragione Polito: nessuno ha voglia di abbandonare la propria identità in modo semplice. Non è l’Europa, sono gli Stati europei. Questa battaglia la possiamo vincere solo se mettiamo insieme le democrazie liberali: America, India e Brasile”.