Elena Ferrante, ormai nota a lettori e spettatori dappertutto nel mondo, potrebbe essere l’autore contemporaneo italiano più conosciuto nel mondo, specialmente dopo lo smascheramento violento eseguito dal giornalista Claudio Gatti il quale ha rivelato l’identità vera della celeberrima scrittrice pseudonima.
La mania incessante per le opere letterarie dell’autrice è stata ben diagnosticata la ‘Ferrante Fever,’ un fenomeno discusso a lungo nell’omonimo documentario nel quale fa una comparsa Hillary Clinton. A fare più breccia è stata senz’altro la tetralogia, esordita con la lodatissima Amica geniale, che ha venduto oltre 10 milioni volumi in più di 50 paesi. Con tematiche rincorrenti fortemente dedicate all’esperienza femminile, non è sbalorditivo che i lettori principali siano soprattutto le donne, tuttavia la serie è riuscita a travalicare il confine del genere ed ad incantare anche alcuni uomini, tra i quali, James Franco, Roberto Saviano, e James Wood.
Anche se la tetralogia è evidentemente scritta da una donna, sulle donne, e per le donne, la sua classificazione frequente come ‘chick lit’ (letteratura femminile) è del tutto inadatta al contenuto completo ed anche dannosa a qualsiasi possibilità di attuare un cambiamento sociale o di allargare il pubblico di Ferrante attraverso le opere. Chiamarli ‘libri da ombrellone’ oppure ‘soap opera’ non è altro che un’accantonamento di natura boriosa e ghettizzante. Però come mai è stata assegnata quest’etichetta alla tetralogia? Sicuramente una porzione della colpa resta nella svogliatezza di tanti uomini che non vogliono esplorare romanzi dove le due protagoniste sono donne e quasi ogni personaggio maschile è cattivo. In ogni caso, un’altra grande porzione della colpa resta sia nelle mani di Elena Ferrante sia nelle mani della casa editrice.
Malgrado l’espressione ‘non giudicare un libro dalla copertina,’ è completamente inevitabile. I dati statistici ottenuti da un sondaggio condotto dai ‘Book Smugglers’ indicano che il 79% delle persone ritengono che la copertina di un libro giochi un ruolo decisivo nella loro scelta di acquistare un libro.
Le copertine di Elena Ferrante sono molto deludenti perché indicano falsamente che il contenuto della tetralogia serve soltanto come trattenimento femminile all’acqua di rose. Le ali di farfalla e le donne di spalle che mirano malinconicamente il mare fortemente limitano la clientela. Se non fosse già a conoscenza della ricchezza poliedrica della serie, il maschio medio probabilmente non sceglierebbe La storia della bambina perduta, per esempio, se la vedesse sullo scaffale in libreria. Questo è veramente un peccato perché la visione incredibilmente personale della protagonista, Elena, offre al lettore maschile l’opportunità unica di vivere le innumerevoli vicissitudini sofferte dalla donna dagli anni 50’ in poi. Mentre è senza dubbio una serie che ogni maschio trarrebbe beneficio di leggere, non racconta puramente la femminilità, ma racconta anche la storia postbellica dell’Italia, l’ascesa sociale, e l’invenzione del televisore e del computer, tutto attraverso una trama avvincente con una suspense che la rende quasi thriller.
Comunque c’è chi trova le copertine sdolcinate tanto geniali quanto Elena e Lila. Per esempio la direttrice artistica della casa editrice, Edizioni e/o, dice che in effetti temevano che la gente non capisse la loro decisione di incorniciare una storia così raffinata con un tocco di volgarità. Questa decisione è stata persino definita come ‘genialità sottile’ da una giornalista del The Atlantic.
Ma se le copertine kitsch perpetuano la classificazione stereotipata della serie come ‘chick lit’ e dissuadono gli uomini (e anche delle donne), che comunque secondo alcuni sondaggi costituiscono il 20% dei lettori delle opere di narrativa, non vedo nessuna genialità sottile.
Tuttavia, ritengo che il lettore maschile dovrebbe essere più a suo agio mentre legge un libro che chiaramente parla di donne, perché lo permette di cogliere la situazione intera del nostro mondo. Avendo letto la tetralogia ben due volte, ho portato il libro spudoratamente in tanti posti pubblici ed ha suscitato diverse reazioni. Un mio amico, avendo visto la copertina con le ali di farfalla, i costumi da fata, e la bacchetta magica, ha detto trattenendo le risate, “sembra che sia un ‘chick flick.’” Nella metro di New York ho anche sentito delle persone dire “guarda, legge un libro da femmine!” Magari una copertina più neutra spingerebbe quelli che non vogliono sentirsi ‘visti’ a comprarlo. Poiché le copertine australiane sono molto meno ‘gendered,’ sarebbe interessante paragonare il numero di lettori maschili della tetralogia in Australia rispetto all’America e all’Italia. Difficile da fare comunque considerate le influenze culturali variegate in ciascuno paese.
Senz’altro ci sono innumerevoli fattori oltre quello delle copertine di cattivo gusto i quali influenzano la composizione di genere dei lettori. La trama drammatica molto incentrata sull’emancipazione femminile naturalmente attrae più donne, che già leggono quasi il doppio dei libri degli uomini.
Verosimilmente, non avrei scelto L’Amica geniale curiosando in libreria. L’ho divorato soltanto perché faceva parte del mio corso di letteratura italiana al Marist College, dove ero l’unico studente maschio, e in seguito mi sono appassionato della scrittura incredibile di Ferrante.
Era in questo corso che dovevo portare in classe la prospettiva maschile durante le nostre discussioni bisettimanali, un compito che trovavo tanto arduo quanto quello di immedesimarmi a pieno nei personaggi femminili e le loro sfide quotidiane. Che cosa
significa veramente una prospettiva maschile? Ci sono maschi di ogni tipo, soprattutto oggigiorno grazie a una crescita di accettazione per identità tradizionalmente considerate derivanti, come la transessualità di Alfonso, il compagno di banco di Elena, per esempio. Sapevo di non riuscire a identificarmi con Lila, Elena, ed Ada, ma potevo simpatizzare per loro e cercare di capire la loro sofferenza e come prevenire il continuo sviluppo del potere patriarcale e fallocratico che ha causato gran parte del loro dolore.
Approfondire la propria comprensione della realtà femminile è l’esito ideale per ogni lettore della tetralogia napoletana. Cercare di mettersi nei panni degli altri ci rende più sensibili ad esperienze estranee e aumenta la probabilità di un cambiamento sociale. Oltre a comporre un’opera letteraria affascinante, Elena Ferrante sicuramente vorrebbe che più uomini leggessero i suoi libri proprio per questi motivi. Magari se la sua casa editrice avesse scelto un design più simile a quello australiano, lo stereotipo ghettizzante della tetralogia come ‘chick-lit’ sarebbe meno diffuso, e di conseguenza, il suo pubblico già ampio sarebbe ancora più diversificato, soprattutto lungo il confine del genere.
Ma viene dunque da chiedersi, che c’è di male nel classificare un libro ‘chick-lit’? Chiamare un’opera ‘femminile’ non è affatto denigratorio o borioso, ma semplicemente la descrizione del suo contenuto, vero? C’è anche chi abbraccia il titolo, come Michele Gorman, autrice di oltre 13 romanzi sotto questo genere letterario, a volte col nome pseudonimo Lilly Bartlett, e lo difende bene nel suo articolo del 2010 sul The Guardian.
Purtroppo, viene più usato come una calunnia bisillaba che come un’etichetta esclusivamente descrittiva. I critici scartano quello che vedono come una formula troppo ripetitiva dell’eroina che affronta sempre le stesse difficoltà ed accantonano la centralità della trama, una critica comune anche del giallo. La tetralogia di Ferrante, un capolavoro metaletterario di denuncia, con personaggi troppo grezzi e reali per essere eroici, non si merita questo titolo spregiativo e polarizzante.