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May 8, 2019
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A New York una goccia lascia una traccia: “I Doppi Destini” di Giovanni Giudici

Intervista con l'autore di un romanzo ispirato da un attimo vissuto tra i grattacieli di Manhattan con lo sguardo al cielo

Manuela CaracciolobyManuela Caracciolo
A New York una goccia lascia una traccia: “I Doppi Destini” di Giovanni Giudici

Giovanni Giudici

Time: 5 mins read
Cover

Giovanni Giudici ha presentato il suo romanzo d’esordio Doppi destini: un viaggio travolgente e imprevedibile ispirato da un momento vissuto a New York tra le pieghe del tempo, per scoprire quanta parte della nostra vita è dominata dal destino.
Giovanni Giudici vive in Italia e lavora dividendosi tra Italia e Stati Uniti. E’ nato a Brescia nel 1965 e si occupa di comunicazione e sviluppo di nuovi mercati.

Lo abbiamo intervistato per parlare del suo romanzo.

Da cosa nasce l’ispirazione per questa storia?
“Alcuni fatti straordinari che mi sono accaduti, come quello che ho descritto nel romanzo, avvenuti all’interno della cattedrale di Perugia, fasci di luce strabilianti sul soffitto: mi hanno fatto riflettere a lungo su molti aspetti, che in seguito misero il primo seme di qualcosa che non potevo tenere solo per me. Si trattava di qualcosa di indefinito, certo, ma che all’occasione giusta avrebbe chiesto di affiorare dalla coscienza e prendere forma. Quel giorno accadeva mentre passeggiavo sulle strade di Manhattan tra la folla. Capii in quel momento che desideravo lasciare una piccola traccia per le persone che amo, che andasse oltre alla quotidianità del nostro lavoro, delle nostre routine, delle nostre vite spesso vissute per inerzia”.

Quindi una sorta di testamento.
“Ognuno vive la propria vita, giorno dopo giorno. Spesso ci scorre addosso e, senza accorgercene, pensando di essere in grado di galleggiare sulla corrente di un fiume impetuoso, somma delle vite che stanno vivendo questo nostro pianeta negli stessi anni in cui ci è concesso di viverlo anche a noi, sprofondiamo. Ognuno misura la propria linea di galleggiamento con elementi che ritiene più utili o più influenti, ma tutti insieme, come gocce con le gocce agganciate tra loro, ci trasciniamo e spingiamo tra rapide e mulinelli in un sotto sopra continuo che rende il galleggiamento un concetto labile e instabile. Ogni goccia, ovvero ognuno di noi, cerca un livello di galleggiamento accettabile. Possibilmente stabile e sicuro, che permetta di vivere col sole in faccia, oppure puntando l’orizzonte verso le stelle, sperando di poterle riconoscere in ogni istante, per poter pensare che siamo noi a sapere dove stiamo andando. Ma tutte le gocce sono in eterno subbuglio, e quel costante turbinio del fiume non può risparmiare nessuna minuscola quantità di acqua. Ed è così che ci ritroviamo sotto, nelle profondità di abissi sconosciuti, magari pensando ancora di guardare il cielo. Da questa riflessione è sbocciata l’idea di questo romanzo.

Stavo camminando per le strade di Manhattan, tra una folla indifferente, sempre di fretta, sempre di corsa, apparentemente indaffarata. Quel giorno guardai verso l’alto perché non vedevo la luce del cielo. Tra quei palazzi altissimi mi sentii una goccia, piccola parte di un fiume impetuoso. Una goccia privilegiata, ma nonostante tutto, sommersa e in fondo, troppo in fondo. E dove era il sole? Come avrei visto le stelle per orientarmi? Sapevo che le gocce che mi sono più care, che si erano staccate da una parte di me, galleggiavano anche loro. Ma era possibile che non sapessi dove? Allora ho cercato di ritrovarle, o almeno desiderato e provato ad essere una goccia diversa, pur sempre infinitesimale e piccola, ma diversa. Una goccia che le mie gocce avrebbero almeno potuto capire che era passata di lì, che, anche se non ero più riuscito a riversarmi dentro loro, almeno loro avrebbero potuto cogliere impercettibili indizi per capire che avevo lasciato una traccia di me per loro. Non volevo essere una semplice goccia che fa quel che deve fare e poi si scioglie. Volevo lasciare una traccia. Per loro. Per me. Per riflettere ancora un po’ di sole”.

Giovanni Giudici

Lei scrive di destino, di tempo, di epoche… il protagonista ci viaggia attraverso. In quale epoca avrebbe voluto vivere?
“Molte volte passeggiando per strada mi sono chiesto cosa avrebbe pensato una persona vissuta nel 1800 di una scena che stavo osservando. O come avrebbe inteso lo stesso fatto una persona del 2099? Non è importante la scena, ma la prospettiva di ogni cosa vista con occhi contemporanei o occhi di un tempo che c’era e che ci sarà. Spesso mi piace pensare a quanto sarebbe diversa la considerazione fatta in tre dimensioni di tempo, passato, presente, futuro, del fatto che sta accadendo. Poi sorrido e penso che non potrei altro che desiderare di essere nel mezzo. Nel momento che sto vivendo. Quindi la risposta è: la mia attuale epoca. Sperando di farne buon uso…”

Come è il suo modus operandi quando scrive?
“Quando arriva un’ispirazione, un’idea, bisogna trovare il tempo di farsi un appunto e metterlo in un luogo sicuro, un cassetto speciale in cui al momento giusto quel piccolo granello verrà estratto per far parte o essere spunto per un paragrafo. Cerco quindi di afferrare le idee e scriverle subito. Ad esempio il vento che ti accarezza il viso d’improvviso svoltando l’angolo di una strada. Cose semplici così. Sensazioni. Suoni. Emozioni. Sono quelle che possono dare corpo all’ossatura di un’idea. Ecco che nasce la prima bozza di un capitolo. Magari non consecutivo al capitolo scritto la volta precedente. E infine un lavoro di stesura del filo rosso che consenta di creare il filo logico per il lettore, possibilmente attento nel concatenare gli eventi cercando di catturare l’attenzione, intrecciando la narrazione, accelerandola e rallentandola, sperando di far crescere l’avidità del lettore nel sapere sempre più come si svolgerà la trama”.

Quali sono le sue fonti di ispirazione? (autori, film, libri…)
“Diamine! Domanda difficile! La mia mente affollata per rispondere ne vorrebbe citare almeno 100 di autori: il primo? Ken Follet. Il secondo? Il prossimo autore che leggerò. Ognuno ti arricchisce.
E tra i film? La casa sul lago del tempo. Una scena più di tutte mi è rimasta impressa di quel bellissimo film. Sandra Bullock seduta in fianco alla madre parla del padre scomparso, tenendo tra le mani un libro che prima di lei aveva letto suo papà. Un libro che le faceva pensare che era stato tra le mani di una persona che le aveva lasciato molto, oltre al DNA. E leggerlo le dava la sensazione di percepire l’energia del padre ancora con lei”.

L’arte ha un grande valenza nella narrazione. Fa riferimento a Rodolfo Viola, a musei e opere d’arte. Che ruolo ha all’interno della storia?
“Il piacere per la bellezza e per l’energia dell’Arte, sono stati tra i punti di ispirazione della storia. Spesso ho cercato di rappresentare dei quadri con le parole, traendo spunto proprio da quadri che avevo visto in alcuni musei. Quadri e opere che mi avevano particolarmente colpito. Mi viene in mente una visita al Vilnius picture Gallery (national museum), dove vidi il quadro di Ferdinand Ruszczyc: in quel quadro mi colpì la forza della luna che dall’oscurità del dipinto riusciva a farsi spazio tra le nubi scure che sembravano intente ad accarezzare un filare di alberi appena sospinti da un vento. Non da meno, nelle sere a farmi compagnia mentre scrivevo il romanzo, avevo davanti a me il quadro di Massimo Campigli. Le sorelle: una fonte di energia e ispirazione davanti agli occhi. Proprio il quadro che descrivo nel racconto”.

Come sta lavorando alla promozione del libro?
“Il libro è stato presentato nelle migliori librerie d’Italia. A Napoli, Firenze, Lucca, San Miniato (PI), Reggio Emilia, Brescia. Sono in attesa di definire la data con La Feltrinelli a Milano e posso anticipare la prossima presentazione a San Remo, nella versione in inglese per un pubblico anglosassone il 15 Giugno presso il Grand Hotel des anglais, nel circolo degli inglesi sulla riviera. Evento organizzato dalla libreria amico libro di Bordighera. Inoltre è presente la versione ebook su Amazon.com (in italiano e inglese) e kobo eBookstore (in Inglese)”.

Sta già scrivendo altro?
“Doppi Destini ha una trama che si presta ad una continuazione della storia, anche se il libro in sé ho cercato che fosse godibile in maniera compiuta. Non ho ancora iniziato a scriverne un altro, anche se il seguito del romanzo nella sua linea guida mi è già chiaro. Se il pubblico vorrà un seguito, nel prossimo libro il protagonista dovrà tornare in Italia, ma molto più indietro nel tempo: nel 1499. E poi? Riuscirà a tornare nel futuro? Oppure Leonard non farà più ritorno da Vinci?”.

 

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Manuela Caracciolo

Manuela Caracciolo

Manuela Caracciolo, fin da bambina ha coltivato la passione per tutto ciò che è creazione ed espressione artistica. Dopo avere frequentato l’Istituto Europeo di Design a Torino e si diploma nel 2001 al Corso di Fashion & Textile Design, lavora per alcuni anni come stilista e graphic designer. Amante della creatività anche nel campo letterario, rispolvera la sua antica passione per la scrittura. E’ giornalista e reporter dal 2007 e collabora con il giornale locale Gazzetta d’Asti e altri fogli locali e con i magazines americani America24 del gruppo il Sole24ore e La Voce di New York scrivendo articoli di costume, arte e cultura. Si occupa di comunicazione per varie realtà associative nell’ambito dell’arte, della cultura , dell’enogastronomia. Ha partecipato e vinto numerosi riconoscimenti letterari con racconti e poesie e ha pubblicato nel 2011 una raccolta di racconti “Storie sole” per Carta e Penna edizioni . A gennaio 2017 è stato pubblicato il suo primo romanzo "Quella notte a Merciful street" edito da Trenta Editore.

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