Tante diverse suggestioni si incrociano in Elmet di Fiona Mozley, già finalista al Man Brooker Prize, tradotto in Italia da Silvia Castoldi e pubblicato da Fazi lo scorso ottobre: dal western alla Trilogia della città di K, dal mito della vita nei boschi (Walden e suoi epigoni) a Dickens. E ancora tanti altri, forse perché l’autrice, esordiente, ha dalla sua la freschezza dei 30 anni, e lo si avverte ad ogni pagina. L’azione si svolge nello Yorkshire, ovvero in Elmet, ultimo regno celtico indipendente, già raccontato da Ted Hughes, il celebre Poeta laureato inglese (nonché marito di Silvia Plath).
Detto così viene da pensare a qualcosa di fantasy, ma fin dalle prime righe si capisce che siamo invece ai giorni nostri. Il protagonista cammina lungo un ferrovia, conta le traversine, i bulloni. Cerca qualcosa, o forse fugge qualcosa, di recente ma anche di antico, come la violenza, il bosco, la notte, la natura, i legami di sangue. Tutto il romanzo è così, avvolto in un’atmosfera sospesa, un po’ senza tempo, pur se immerso in un bagno di duro realismo. Sembrano cose difficili da conciliare, ed in effetti lo sono. Richiamano forse il gotico siciliano di Orazio Labbate, o l’America di Cormac McCarthy, che Mozley dichiara essere una delle sue influenze principali, o ancora, certa fantascienza (un’altra influenza citata dalla scrittrice è Ursula Le Guin).

Siamo a Elmet, dicevamo, ma siamo innanzitutto in Inghilterra, quell’Inghilterra impoverita raccontata tante volte da Ken Loach nei suoi film. La crisi ha picchiato duro, il lavoro che se n’è andato da un pezzo. La storia è raccontata in prima persona da Daniel, un ragazzo di 14 anni, che cresce con la sorella Chaty e il padre John in una casa nei boschi, dopo un’infanzia trascorsa in una piccola città affacciata sul mare del Nord. Daniel e Chaty vengono allevati dal padre, personaggio “gigantesco”, come la sua mole e la sua forza bruta. John si guadagna da vivere con incontri di boxe clandestini, da cui esce sempre imbattuto. E’ a suo modo un uomo buono, protettivo verso i figli, capace di fare, con le mani. La sua visione della vita, quella che condivide con i figli, è solitaria e negativa, pur se rischiarata da lampi di altruismo. E’ questa visione a spingere la famiglia, soprattutto dopo la morte della nonna, ad andare a vivere in solitudine.
Una scelta a cui contribuisce un episodio che rivela la vera natura di Chaty: bulleggiata a lungo da tre compagni di classe, anche con molestie a sfondo sessuale (che non comprende appieno) la ragazza alla fine si ribella, spinta soprattutto dalla volontà di difendere il fratello minore, picchiandoli selvaggiamente. Genitori dei bulli e preside si schierano immediatamente contro la ragazza. Il padre considera inutile ogni tentativo di convincerli sulle vere ragioni che hanno spinto la figlia ad agire in quel modo. Ma matura al tempo stesso e con ancora maggiore forza la convinzione che nella vita dovrà battersi, che tutti loro dovranno farlo. Questo rinsalda anche il piccolo nucleo familiare. In precedenza il padre si assentava per settimane. In seguito non lo farà più.
Ma neanche nella foresta c’è pace. Perché – e siamo nel cuore del conflitto che attraversa il romanzo – quei luoghi non sono di tutti, hanno un padrone, il signor Price, sorta di Scrooge rurale. John è un uomo che vive ai margini della legge, sì: ma coltiva una sua visione della giustizia, nemmeno così angusta, visto che lo ha già portato a prendere le parti di una persona che non conosceva neanche bene, solo perché le era stato fatto un torno. Anche questa volta – a maggior ragione perché ne va della sua famiglia, – dovrà combattere.
Elmet è uno spicchio di mondo periferico, di fattorie, campi, boschi, ma, come avrete capito, non ha nulla dell’idillio agreste. Percorso da nomadi e lavoranti a giornata, piccoli criminali e reduci da qualche guerra recente (Bosnia, Iraq) è un luogo difficile, pericoloso, come potrebbe esserlo l’Inghilterra di Robin Hood trasportata ai giorni nostri. Un mondo dal quale la debolezza è bandita. Anche il linguaggio non ha molto di favolistico: è scuro, secco, ma anche ricercato. “Il sole tramontava lento e le serate erano color peltro, e poi nere, e poi di nuovo stillava il mattino”. Mozley, studiosa di storia medioevale, è stata definita per questo libro “astro nascente della letteratura inglese”.