“Alessandro ha talento. Lo fermano, lo vessano, lo sottopagano, lo isolano ma lui resiste. Poi, però, qualcosa si rompe. E tutto lo schifo che lo assediava e il dolore che montava da dentro lo inghiotte. Per sempre. Questo libro è la storia di Alessandro, giornalista calabrese.” Uno stralcio dalla prefazione di Roberto Saviano al libro di Lucio Luca “L’altro giorno ho fatto quarant’anni” – Laurana Editore. “Questo libro è un atto d’amore”. È la storia di un cronista che per vent’anni si dedica anima e corpo al giornalismo. Crede a questo sogno che alla fine lo tradisce, Alessandro si toglierà la vita, si aprirà un processo nei confronti dell’editore per violenza privata. I racconti sono nei suoi diari, nelle parole degli amici più stretti. Ma come arriva Lucio Luca, cronista di Repubblica, scrittore autore di quattro libri, ad Alessandro Bozzo? Tutto inizia con una mail alla redazione inviata da una collega, dalla Calabria.
Lucio, cosa succede quando leggi questa mail?
“Mi arriva questa mail da una collega calabrese che lavora con Repubblica, è una segnalazione che dice che nel giro di qualche mese si sarebbe arrivati alla sentenza di un processo nei confronti di un editore per il reato di violenza privata. Vicenda legata alla morte del giornalista Alessandro Bozzo, morto suicida nel 2013. Mi scatta la curiosità, non sapevo assolutamente nulla di questa storia. Mi sono documentato per capire che storia fosse, questo reato di violenza privata che non era mai stato contestato da un editore e lì ho cominciato a sentire amici e colleghi di Alessandro per cercare di ricostruire la storia e come fosse arrivato a questa scelta estrema, per quale ragione, che cosa c’era dietro questo processo. Ho parlato con la famiglia di Alessandro che mi ha dato i suoi diari inediti dove raccontava il suo calvario. Da quel momento in poi la storia di Alessandro ho pensato che dovesse essere una storia da raccontare come storia simbolica, su cosa significa fare il giornalista in una terra di provincia di Cosenza, in Calabria, in condizioni estreme, con salari mortificanti, con editori assolutamente veri e propri padroni”.
Com’era Alessandro?
“Alessandro naturalmente non l’ho conosciuto se non attraverso i suoi diari ma soprattutto attraverso i racconti dei suoi amici, dei suoi colleghi tanto che io a un certo punto ho detto a Marianna, la sorella di Alessandro: “Sento che siamo un po’ fratelli”. Lo sento molto come fratello. Alessandro era un grande giornalista, un giornalista che faceva il suo lavoro con onestà intellettuale, con la schiena dritta, che non guardava ad amici o nemici. A lui non interessava se una notizia poteva colpire la destra, la sinistra, il centro, quando trovava una notizia si buttava a capofitto sulla notizia. Era uno di quei giornalisti che non si accontentano di uscire un giorno con la notizia dell’arresto “x” ma studiava sempre le carte per cercare di avere una notizia in più, indagava per conto suo, tirava fuori delle storie e questo dava molto fastidio a una città che non l’ha mai amato mentre lui ha fatto questo mestiere per come si dovrebbe fare”.

Perché si ammazza?
“Lui si uccide perché a un certo momento ritiene di aver subito un’estorsione. Alessandro era stato assunto da questo giornale, viene costretto come altri a licenziarsi per essere riassunto a metà prezzo, dopo aver salvato il giornale. Per tantissimi mesi si assume l’onere di dirigere di fatto senza esserne il Direttore, non viene mai ringraziato per questo. Nel momento in cui viene costretto a dimettersi per poi essere riassunto, aveva tutta una serie di impegni economici che non riusciva più a sostenere tra i quali il mutuo, ma più che un problema economico, più di un problema familiare (con la moglie si separerà), è il fatto che lui si sente sconfitto. Ha sognato per tutta la vita questo mestiere, la sua grande passione, si sente tradito dal giornalismo e assieme a tutto il resto ne viene sopraffatto e alla fine decide di fare questo gesto estremo. Un gesto che vuole essere uno schiaffo a tanti giornalisti, ai tanti precari, un messaggio di Alessandro teso a risvegliarli, come a fargli capire che quello che è successo non deve mai più accadere”.
Spesso chi fa questo mestiere non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena…
“Ci siamo arrivati dando spazio a editori che non hanno questo sacro fuoco, non hanno la passione del giornalismo, lo fanno per altre ragioni perché magari si occupano di altro e il giornale gli serve per fare determinate pressioni. Un tempo gli editori avevano più passione dei giornalisti, oggi gli editori, con qualche rara eccezione, non hanno la stessa passione: è solo una questione di soldi, di affari quindi nel momento in cui questi soldi non arrivano perché c’è la crisi, decidono di trattare i giornalisti nel mondo sbagliato. Siamo arrivati a questo punto perché manca la passione purtroppo nei giornalisti stessi, forse perché si sono stancati: Alessandro ce l’ha avuta fino all’ultimo giorno e forse la sua scelta è legata a questa passione che l’ha tradito”.
Enrico Del Mercato, alla presentazione del tuo libro a Palermo, lo ha definito “un atto d’amore”. Perché?
“Sì. È un atto d’amore verso il giornalismo, l’ho detto e lo dico anche a te: quello di Alessandro è stato un atto d’amore, tutta la vita di Alessandro è stato un atto d’amore verso il giornalismo. Aver raccontato la sua storia è evidentemente un atto d’amore verso il giornalismo ed è anche il mio che faccio il giornalista da 30 anni e, malgrado tutto, continuo ad amarlo ancora”.