Mentre in Italia continua il trend del romanzo storico, che vede assurgere a nuovo campione di vendite M. il figlio del secolo, di Antonio Scurati, dedicato nientemeno che a Mussolini, dagli Usa ci arriva un romanzo deliziosamente psicologico, Siracusa di Delia Ephron, tradotto da Enrica Budetta per Fazi.
Con Ephron, nota romanziera nata a New York nel 1944, anche sceneggiatrice, drammaturga e giornalista (con la sorella Nora ha sceneggiato C’è posta per te), torniamo sul terreno del contemporaneo, cioè al tema della coppia e delle sue crisi.

Ma attenzione. Se di primo acchito ci si potrebbe attendere una “semplice” (si fa per dire) commedia, fatta di incomprensioni, corna e conversazioni acide, in realtà il romanzo riserva al lettore delle sorprese.
Lo sfondo è dato da un classico-che-più-classico-non si può: la vacanza in Italia, in particolare a Siracusa (ovviamente) e a Roma. Al centro dell’attenzione due coppie americane.
La prima: Michael, scrittore partito da giovane “col botto” ma ormai in declino, impegnato ad alimentare la leggenda di sé stesso e a sedurre giovani donne, e Lizzie, sua moglie, giornalista e scrittrice meno nota, anch’essa in fase calante, che al marito non vuole rinunciare e tenta di riconquistarlo con le sorprese disseminate lungo la breve vacanza (compresa una vista al cimitero acattolico di Roma, dove sono sepolti alcuni grandi della letteratura angloamericana, come Keats e Gregory Corso).
La seconda coppia: Finn, sanguigno, insonne ristoratore di Portland, nel suo passato anche una storia con Lizzie, con la quale ha conservato un legame di amicizia, e Taylor, sua moglie, manager in campo turistico, donna ansiosa di apparire intelligente, iperprotettiva nei confronti dell’algida figlia Snow.
Il viaggio in Italia è nato quasi per caso, sulla scia di un precedente incontro a Londra. Ephron costruisce una brillante narrazione polifonica, dando la parola a turno ad ognuno dei quattro adulti. L’inquietante Snow viene lasciata sullo sfondo e descritta attraverso lo sguardo degli altri, anche se fin dall’inizio la sua presenza (che nel precedente londinese era parsa pressoché nulla) si fa sentire, più per ciò che subisce – il fascino di Michael – che per ciò che fa (Snow a volte si estranea e non risponde nemmeno alle domande che le vengono rivolte, o risponde con versi chiocci).
La Roma che si offre a questi americani di passaggio è magnifica nella sua tipicità: calda, trafficata, seducente, oppressiva, affollata all’inverosimile di turisti. C’è persino la fontana di Trevi, che con gli echi de La dolce vita attira i nuovi venuti come una ragnatela le mosche.
Siracusa, in particolare Ortigia, il suo centro storico, è soprattutto decadente: case addossate le une alle altre, intonaco che si sfoglia, e un inquietante dipinto di Caravaggio raffigurante il supplizio di santa Lucia, che genera sulle visitatrici un effetto simile a quello delle Grotte Marabar alla protagonista de Passaggio in India, però in questo caso finto, simulato.
Perché niente qui è veramente ciò che appare. E se alcune dissimulazioni il lettore le viene a conoscere subito, attraverso i monologhi dei protagonisti – la relazione di Michael con una cameriera newyorkese, il latente disprezzo di Taylor per Finn e per come esercita il suo ruolo di padre e così via – altre si sveleranno solo alla fine.
Romanzo incalzante, spietato, ricco di suggestioni, Siracusa non perdona e non redime nessuno dei suoi protagonisti. Ciò che all’inizio sembra il solito girotondo di due coppie un po’ usurate, reso più scivoloso dall’atmosfera satura della capitale italiana e poi della Sicilia, si rivela in realtà uno specchio feroce dei tempi nostri e della morale borghese, se mi è permessa questa espressione frusta.
Può ricordare qualcuno degli ultimi film di Polanski, oppure, visto che ho nominato il girotondo, un dramma di Schnitzler, scritto 100 anni fa ma ancora attuale.
Sicuramente da leggere.
Delia Ephron, Siracusa, Fazi, 2018 (traduzione di Enrica Budetta)