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“From Da Ponte to the Casa Italiana”: 90 anni di Italia alla Columbia University

Il libro di Barbara Faedda ci racconta la storia dell'istituzione italiana, dalla fondazione al controverso rapporto con il fascismo

Chiara NobisbyChiara Nobis
“From Da Ponte to the Casa Italiana”: 90 anni di Italia alla Columbia University

Alla vigilia dell'inaugurazione della Casa Italiana nell'ottobre del 1927, il banchetto in onore del senatore Guglielmo Marconi (foto del libro "from Da Ponte to the Casa Italiana" dal sito news.columbia.edu)

Time: 5 mins read

La Casa Italiana alla Columbia University è sempre stata un polo di riferimento culturale nel variegato panorama di New York. In occasione del 90° anniversario della sua fondazione, viene pubblicato il libro “From DA PONTE to the CASA ITALIANA”, un’opera di ricerca sulle origini e sui miti che circondano la storia dell’istituzione, scritto da Barbara Faedda, antropologa di Roma, Associate Director dell’Italian Academy e Adjunct Assistant Professor presso il Dipartimento di Italiano.

L’autrice Barbara Faedda, Associate Director dell’Italian Academy e Adjunct Assistant Professor presso il Dipartimento di Italiano (foto di Barbara Faedda)

La variegata e travagliata storia di questa istituzione ha origine grazie all’attività accademica di un personaggio sui generis, Lorenzo Da Ponte, al secolo Emanuele Conegliano: nato da famiglia ebraica, convertito al cattolicesimo e bandito da Venezia dopo essere diventato padre di due bambini durante il suo breve mandato come prete, approdò alla corte di Vienna, dove divenne il librettista di Mozart.

Dopo la morte di Mozart, si trasferì dapprima a Londra e poi in America, dove, grazie alla conoscenza del poeta Clement Clarke Moore, iniziò a frequentare gli ambienti della Columbia University, diventando il primo professore di italiano del college.

Grazie all’attività di Da Ponte, l’istituto divenne un punto di riferimento per le relazioni culturali tra Stati Uniti e Italia, ospitando una grande varietà di eventi e creando un filo diretto tra l’Italia e New York.

Nell’introduzione al libro di Armando Varricchio, Ambasciatore italiano negli Stati Uniti, si legge: “La presenza italiana alla Columbia continua ad essere produttiva, e centinaia – anzi migliaia – di studenti e professori italiani e italo-americani si riversano a Morningside Heights, continuando così la nostra collaborazione di lunga data”.

Ma è con Giuseppe Prezzzolini, direttore della Casa a partire dal 1930, che l’istituzione entra nella sua fase più controversa. Durante il suo mandato,  il fascino e la notorietà della Casa Italiana crebbero di pari passo con il numero di eventi qui vennero ospitati. Ma altrettanto affascinante fu il rapporto ambivalente che il direttore mantenne nei confronti del regime di Benito Mussolini. A lungo accusato di fascismo, Prezzolini si difese ammettendo i suoi rapporti con il regime, ma negando qualsiasi interesse a rendere la Casa Italiana un centro di propaganda fascista.

Ritratto di Lorenzo Da Ponte, immagine per gentile concessione di Avery Architectural & Fine Arts Library (foto dal sito news.columbia.edu)

Le ricerche di Barbara Faedda hanno evidenziato come, negli anni, la Casa in realtà abbia mantenuto un’evidente apertura nei confronti di qualsiasi evento culturale, nonostante i rapporti con il regime fascista, ospitando un club ebreo, conferenze marxiste e proteste nei confronti della politica antisemita nazista.

La storia è dunque più complessa e articolata di quanto possa apparire, ma sono le parole del sindaco di New York Bill de Blasio che ci forniscono una chiave di lettura sulla situazione attuale della Casa Italiana: “Oggi La Casa rappresenta un simbolo vivente della cultura italiana e funziona come una sorta di pubblica piazza, dove l’italiano è ancora la lingua franca dei discorsi quotidiani e l’eredità italiana è celebrata attraverso l’apprendimento e le arti”.

Com’è nato il progetto del libro “From DA PONTE to the CASA ITALIANA”?
“Il progetto è nato molti anni fa quando ho iniziato ad interessarmi alla storia dell’istituzione per la quale lavoravo ed ho incominciato a visitare gli archivi. Giravano tante versioni discordanti e non esisteva un testo completo che raccontasse la storia della Casa Italiana e dei primi studi di italianistica alla Columbia University. Tale confusione era peraltro alimentata anche dal passaggio dalla Casa Italiana all’Italian Academy for Advanced Studies, avvenuto all’inizio degli anni Novanta”.

In che contesto culturale, politico e sociale si colloca la fondazione della casa?

La Casa Italiana, immagine per gentile concessione della New York Historical Society (foto dal sito news.columbia.edu)

“La Casa viene inaugurata nel 1927. In Italia c’è Mussolini e il fascismo. Come molti sanno, in America ci fu un iniziale entusiasmo verso la figura del Duce; tale ottimismo non tardò a scemare in seguito agli interventi italiani in Africa. Il senatore Guglielmo Marconi presenziò la cerimonia inaugurale in rappresentanza del governo italiano. Il primo Novecento è anche il periodo in cui diverse “Case” vengono istituite all’interno del campus: la Maison Francaise era già stata fondata nel 1913 – Seguirono la Deutsche Haus e la Casa Hispanica”.

Come si è evoluta la storia della Casa Italiana? Il rapporto con il regime fascista come ha influenzato le scelte della Casa Italiana?
“Il periodo più interessante è quello di Giuseppe Prezzolini, che fu direttore della Casa Italiana dal 1930 al 1940. Nei suoi primi decenni di vita sono passati per la Casa molti studiosi, intellettuali, scienziati e artisti di chiara fama. Alcuni di questi in linea con il governo fascista, ma molti in netta opposizione al regime (diversi di loro avevano firmato il Manifesto degli Intellettuali Antifascisti di Benedetto Croce, quali ad esempio Emilio Cecchi e Mario Casella). Durante la Seconda Guerra Mondiale l’Italia divenne paese nemico: la Casa interruppe i programmi regolari e fu tramutata in uno spazio di assistenza ai soldati americani. Dopo la Guerra ripresero le relazioni USA/Italia e ripartirono anche le attività della Casa che si protrassero fino agli anni ottanta. Fu allora che la Columbia e il governo italiano iniziarono a lavorare ad un accordo unico (peculiare perché avvenuto tra una università americana indipendente e un governo straniero) per la costituzione di una nuova istituzione all’interno del bel palazzetto neorinascimentale che fino ad allora aveva ospitato il Dipartimento di Italiano e le attività della Casa come centro accademico e culturale dell’università (disegnato peraltro da McKim, Mead & White e riconosciuto e protetto dalla New York City Landmarks Preservation Commission a partire dagli anni settanta). Con l’aprirsi degli anni novanta, l’accordo si realizza e nasce un istituto di studi avanzati chiamato “Italian Academy for Advanced Studies in America”. L’Academy è un centro di ricerca della Columbia, per il suo prestigio spesso chiamato “a jewel in the crown of Columbia University”.

Quale fu il contenuto dell’agreement?
“Lo stato italiano acquistò il palazzo per 17 milioni e la Columbia lo riaffittò per 500 anni. 7 milioni furono usati per il restauro. I rimanenti 10 andarono a formare il fondo (endowment) grazie al quale ogni anno l’Academy è in grado di offrire in media 20 borse di ricerca a brillanti ed autorevoli studiosi e scienziati da tutto il mondo. L’investimento italiano fu soprattutto culturale; attraverso esso l’Italia fu partner fondamentale della Columbia nello stabilire – dentro una delle più prestigiose università a livello internazionale – un istituto di ricerca unico al mondo”.

Ad oggi, quale rapporto mantiene la casa italiana con la realtà americana? E quale rimane il rapporto con lo stato italiano?
“Il rapporto tra l’Academy e lo stato italiano è di assoluta collaborazione. Vi è molto rispetto per le relazioni tra le due entità: una chiara prova ne è il fatto che, nonostante l’amministrazione sia completamente gestita dalla Columbia, il presidente onorario dell’Academy è il Presidente della Repubblica Italiana (mentre il presidente è quello della Columbia). L’Italia è molto orgogliosa di quel che si fa all’Academy. Infatti, promuovendo la più alta ricerca – e presentandola non solo in una Ivy League quale la Columbia, ma anche nella città di New York e a livello internazionale – l’Academy contribuisce a rafforzare la migliore immagine di una Italia impegnata nella ricerca e nella innovazione scientifica, così come nello studio umanistico e nella preservazione dei beni culturali (e spesso con un ruolo di leadership)”.

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Chiara Nobis

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