L’ammiraglio a quattro stelle della Marina militare William McRaven potrebbe benissimo entrare nel pantheon di quegli eroi “comuni” che ama raccontare Clint Eastwood: come Sully, il comandante del volo US Airways 1549, o come l’American Sniper Chris Kyle; o i più recenti Spencer Stone, Alek Skarlatos e Anthony Sadler di “Ore 15:17 – Attacco al treno”; per non dire del Walt Kowalski, il reduce della guerra di Corea di “Gran Torino”. Persone messe dinanzi a scelte che cambiano l’intera esistenza. Persone che, tassello dopo tassello, di fatto costruiscono quello che si può ben definire “il grande romanzo americano”.
Per tornare a McRaven: nella sua carriera ricopre incarichi a ogni livello, fino a Comandante dell’US Special Operations Command, a capo delle operazioni speciali condotte da tutte le forze dell’esercito. Prende parte alle principali missioni americane in zone di guerra: Desert Storm, che apre la prima guerra del Golfo; Enduring Freedom in Afghanistan; l’operazione Lancia di Nettuno, culminata con l’uccisione di Osama bin Laden. Per il suo coraggio è insignito di due Bronze Star Medal e due Legion of Merit, tra le onorificenze più alte dell’esercito americano. Dopo 36 anni di servizio, nel 2014, McRaven si ritira dall’esercito. Attualmente è rettore di una quindicina di università nel Texas. Chissà se immagina che quel discorso tenuto all’università di Austin davanti ai neo laureati è destinato a diventare prima un agile libro diviso in svelti capitoli con un titolo che sembra l’esortazione di una madre al figlio: “Make your bed”; poi un best seller per mesi, nella classifica del New York Times, tradotto in 24 lingue. Il discorso, che si può agevolmente recuperare in you tube, ha avuto oltre cento milioni di visualizzazioni.

Discorso e libro con regole apparentemente semplici, lapalissiane: “Se la mattina vi fate il letto, avrete portato a termine il primo compito della giornata. Questo vi darà una sensazione di orgoglio e vi incoraggerà a concluderne un altro, e poi un altro ancora. Farsi il letto, inoltre, rimarca la consapevolezza che nella vita le piccole cose contano. Se non sapete fare bene le piccole cose, non ne farete mai di grandi”.
Altre “regolette”: buttarsi, rischiare, dimenticare la strada conosciuta e ritenuta più sicura. Chi osa, vince; un po’ il motto dello Special aut service britannico, giusto per restare in campo militare. Traduzione: sudai ersi dei rischi fa parte del gioco della vita. Lavoro di squadra. Ecco, questa è una regola che dovrebbe osservare (e applicare) ogni leader, ogni persona che voglia assumere una responsabilità: vince chi sa fare lavoro di squadra e valorizza al meglio i suoi collaboratori.
Il mondo è pieno di pescecani. Predatori e arroganti prepotenti sono sempre in agguato, pronti a divorare chi è più debole, timido, indifeso. Occorre tenere testa agli squali, sapere che ci sono, tener conto della loro presenza senza consentir loro di paralizzarci. McRaven racconta che dei 150 aspiranti al suo corso Seals, solo in 37 ce la fecero a diplomarsi. Un massacro. E tuttavia questa specie di John Wayne dice che non sono i muscoli che contano, quanto il cuore: vale a dire la generosità, il dare senza attendersi ritorni, la difesa degli altri meno fortunati e più deboli. Non farsi illusioni. La vita per definizione non è giusta. Basta guardarsi intorno, prima o poi arriva la doccia gelata; ma guai a darsi alibi: “La gente comune e gli individui eccezionali sono tutti definiti dal modo in cui hanno affrontato le ingiustizie della vita”.

Sbagliare serve. Non si può essere sempre dei vincenti, occorre fare tesoro delle sconfitte per non avere paura di riprovare, e saper prendere future decisioni. “Date il meglio di voi nei momenti più bui”: McRaven racconta che anche chi indossa una divisa piange; quando, per esempio, sosta davanti alla bara di un compagno, e non c’è da vergognarsi a provare dolore. Il singolo fa la differenza. L’azione di ciascuno di noi pesa e ha forza. Essere speranza e’ la forza più potente del mondo.
Non mollare mai. Il libro di McRaven si chiude con la storia di un ranger, un ragazzo di 19 anni. Perde le gambe durante la sua prima missione. Gravi e diffuse ferita, parla con il linguaggio dei segni, imparato per comunicare con la madre sorda. Il ragazzo si rimette con una quantità di protesi, e caparbio dice: “Io starò bene”. Non molla. È un inno alla vita.
Così devono aver pensato e provato i milioni di lettori di questo libro. Non solo negli Stati Uniti d’America.