
C’è l’incontro fra due mondi distanti, in questo romanzo di Garth Greenwell, Tutto ciò che ti appartiene: l’America, da dove proviene il protagonista, un insegnante di inglese, e la Bulgaria, dove si sviluppa l’azione. E c’è l’amore, nella sua espressione più sensuale, l’amore che nasce da un rapporto a pagamento consumato nei bagni del Palazzo della Cultura di Sofia, ovvero da una pura spinta del desiderio. Incidentalmente, stiamo parlando di un amore gay, ma questo non è molto importante. Tanta acqua è passata sotto i ponti da quando David Leavitt ci raccontava i travagliati rapporti fra persone dello stesso sesso, densi di tormenti e sensi di colpa, nella New York degli anni ’80. Non è più così: tant’è che quando l’amante del giovane professore americano, Mitko B., prova velatamente a ricattarlo, con la minaccia di mettere in piazza la sua omosessualità, l’altro lo disarma immediatamente, rivelandogli che tutti sanno, che lui non ha mai nascosto nulla, nemmeno nella scuola dove insegna, l’American College, frequentata dai figli delle elittes locali.
Quello che non è incidentale, in questo romanzo, pubblicato negli Usa e in Uk nel 2016, e ora approdato al mercato italiano, è invece il carattere torbido, tormentato, della passione che racconta. Torbido è, l’ammetto, un aggettivo desueto. Ma è difficile trovarne di migliori per definire una storia che, fin dalle prime righe, si annuncia come pericolosa: “Che il mio primo incontro con Mitko B. si concludesse con un tradimento, benché minore, avrebbe dovuto mettermi all’epoca in maggior allarme”, dichiara l’io narrante, alter ego dell’autore, nato nel 1978 a Louisville, Kentucky, laureato ad Harvard e oggi docente all’università dello Iowa, che ha realmente vissuto e insegnato in Bulgaria.
Mitko è “alto, magro, con le spalle larghe, e portava il taglio militare in voga fra certi giovani uomini di Sofia, che ostentano uno stile mascolino e un’aria vagamente criminale”. Ha un incisivo rotto, che si tormenta ossessivamente con l’indice. I suoi vestiti sanno di alcol. Il desiderio, da parte dell’americano, scatta immediatamente, è quasi incontenibile, ma prende la strada di un rapporto sbilanciato, in cui uno offre e l’altro paga per ottenere. Mitko “sfregò tra loro le prime tre dita dell’altra mano, nel gesto universale che indica il denaro. Non c’era alcuna seduzione nei suoi modi, non un’ombra di desiderio; quel che mi offriva era una transazione (…)”. Il protagonista dapprima rifiuta, non per qualche remora morale quanto per orgoglio. Ma la schermaglia dura pochi minuti. “Avrei pagato il doppio, e il doppio anche di quello, il che non significa che disponessi di risorse veramente cospique, ma che il suo corpo mi sembrava avesse un valore quasi infinito”.
Una relazione fondata su uno “scambio diseguale”, per usare un’espressione cara a certa letteratura terzomondista del passato, ha sempre un che di coloniale, e del colonialismo contiene tutte le ambiguità. Come minimo, i ruoli si possono alternare. Sembrerebbe scontato che il bastone di comando spetti a chi ha dalla sua ricchezza (anche se la modesta ricchezza di un insegnante), status, cultura, che tiene in tasca il passaporto del paese più forte, al quale può sempre tornare. E che l’altro debba subire, debba accettare una sorte subalterna, servile, potendo contare, nel migliore dei casi, sul benevolo paternalismo del dominatore. Ma l’amore complica le cose, può rendere chi lo riceve o lo reclama schiavo di chi lo dà. E poi in fondo in ogni bisogno soddisfatto attraverso il mercato si può nascondere una forma di dipendenza.
Ed è così anche per l’io narrante, che presto si sorprende ad accettare le umiliazioni più pesanti da parte di Mitko, pur di poterlo tenere con sé, almeno per qualche ora: ad esempio vederlo chattare al computer con molti altri uomini, subito dopo avere fatto l’amore con lui. Come in Un amore, il celebre romanzo di Buzzati, chi si vende è consapevole del potere che esercita, “il potere di elargire o negare il proprio compiacimento”.
Mitko vive sul filo del rasoio. Come molti altri marchettari che abbiamo conosciuti attraverso i libri o il cinema (pensiamo al Joe Buck di Midnight Cowboy, l’avvincente affresco della New York degli anni 60 di James Leo Herlihy, a cui prestò la sua recitazione John Woight ne Un uomo da marciapiede), la sua fortuna dura fin che la salute e la buona sorte lo accompagnano. Mitko può essere spregiudicato, avido di regali e di cibo, riluttante a concedersi come una consumata femme fatale, perfino violento. Ma è pur sempre dipendente dai favori e dai soldi che riesce a procacciarsi con il suo corpo, dai legami che sviluppa con i suoi amanti/clienti. Quando la vita gli presenta il conto, si trova esposto, privo di risorse e di difese. Alla fine sono sempre classe sociale e status a fare la differenza.
Mi rendo conto che potrei cadere nell’errore di proporre una lettura troppo “ideologica” di questo romanzo, a causa della mia repulsione nei confronti dell’amore a pagamento, in ogni sua forma. E sarebbe sbagliato. Le dinamiche delle relazioni interpersonali vanno al di là degli schematismi della morale o dell’ideologia. Garth, in questa sua opera prima, che rielabora una novella già pubblicata (e premiata) nel 2010, Mitko, dimostra di riuscire a raccontare queste dinamiche con grande maestria, ovvero con un calibrato mix di partecipazione e distacco. Il punto di vista è quello del narratore, naturalmente, il che alla fine spinge il lettore ad identificarsi con lui e, da ultimo, a sperare che riesca a sottrarsi al fascino pericoloso esercitato dall’amante. Ma il personaggio di Mitko è bellissimo. Mitko, come abbiamo detto, racchiude in sè il meglio del fascino e delle contraddizioni tipiche dei “ragazzi di vita”. Come Laide, la protagonista dell’amore buzzatiano, è guidato da una sorta di naturale predisposizione a sedurre. Egocentrico, ma vulnerabile, brucia la sua candela da entrambe i lati, al pari del replicante di Blade Runner. Istintivo fino all’aggressività, non manca di autoconsapevolezza. “So che mi ami – dice al suo amante – ma non ti posso amare, mi dispiace, sei mio amico – disse priyatel, quella parola che poteva significare tanto e così poco – tu sei mio amico ma poveche ne moga, non posso fare di più”.
Il narratore non è meno ben delineato. Alle sue spalle ha un vissuto traumatico, il pesante rifiuto del padre e cose anche peggiori, descritte in quella che forse non è la parte più riuscita del romanzo. Il suo meglio è il suo darsi alla vita e al desiderio con coraggio spregiudicato, senza riserve, pur non corrispondendo per nulla a quella figura di intellettuale pasoliniano che decide di battere le strade del vizio alla ricerca della vita “vera”, del popolo dei bassifondi. È sincero nel suo amore e, nel capitolo intitolato Contagio sinceramente preoccupato per la salute del suo nuovo compagno, quando scopre che Mitko, con il quale nel frattempo ha chiuso, gli ha passato la sifilide. Al tempo stesso è incline a tradire.Ed è estremamente lucido nel constatare che, nonostante il loro lungo rapporto, lui e Mitko per certi versi rimangono due estranei. Troppo diverse le loro esistenze, troppo diverse le aspettative, le possibilità, le aspirazioni. In questa lucidità di giudizio vi è tutta l’onestà del personaggio e, forse, dell’autore.
Un’ultima annotazione per un piccolo “cammeo”, che probabilmente in origine costituiva un racconto a sé: il lungo viaggio in treno del protagonista con la madre, che è venuta a trovarlo in Bulgaria dagli Stati Uniti. Qui – così come nelle descrizioni di alcuni quartieri periferici di Sofia o di una località di vacanza sul mar Nero – l’autore mostra un altro volto di sé, la sua capacità di osservare il mondo esterno, oltre che i meandri della sua relazione amorosa e quindi in definitiva del suo animo. Senza eccessive pedanterie naturalistiche ma con finezza e acume.
Garth Greenwell, Tutto ciò che ti appartiene, Mondadori, 2017 (trad. Matteo Colombo). Titolo originale What Belongs to You (2016).