Se i muri fossero
di gomma
tutte le ingiustizie
ritornerebbero
all’ingiusto.
Se i muri fossero
trasparenti
anche i cuori
non sarebbero di pietra.
Questo brano di Francesco Terrone, definito “ermetico”, coglie invece, nel profondo, il vissuto esistenziale dell’autore attraverso una voce di pura poesia trasparente, dunque significativa in assoluto; laddove i muri non trasparenti rappresentano la chiusura, l’indifferenza, l’impedimento che non permette di entrare in comunione, di vedere, di ‘andare’ e di vivere dignitosamente. Questo breve passo poetico racchiude la parabola della vita emblematica di un cittadino comune, di un ingegnere salernitano che ha vinto una sfida, una grande sfida, raccontata dal giornalista Aldo Forbice nel libro edito da LOG edizioni, dal titolo Io, ingegner Terrone. Vita controcorrente di un imprenditore del Sud.

Il libro è uscito tre anni fa, ma di questi tempi in cui si torna incessantemente a parlare di muri e il linguaggio contro gli immigrati sembra imporsi dappertutto, vale proprio la pena di riprenderlo in mano.
Francesco, fresco di laurea (costata sacrifici anche ai genitori, il papà è un benzinaio) negli Anni Novanta decide di emigrare a Lecco con il suo bagaglio di giuste speranze, ma immediatamente trova un MURO, e non di gomma!
Un muro che ci ricorda i fatti odierni, i molti muri alzati per impedire l’ingresso degli immigrati in Europa, il muro del neo-presidente Trump, i muri mentali fatti di pregiudizi che tutti noi fabbrichiamo quotidianamente verso ‘il diverso’. E le vittime continuano ad essere le persone del nostro Sud e in generale del SUD del mondo, i poveri.
Ma il caso di Francesco Terrone diventa ancora più emblematico (il volume è ricco di episodi amari, ma anche ironici e divertenti) perché è penalizzato non solo dal suo essere uomo del Sud ma dall’avere un cognome, Terrone, che lo sottoporrà a continue aggressioni xenofobe, derisioni e che segnerà il suo destino in maniera imprevedibile.
A Lecco avrà la fortuna/sfortuna di incontrare i “bravi moderni”. Sì, suo nonno lo aveva avvisato, il nonno aveva visto e letto i cartelli “qui non si accettano terroni” davanti alle finestre e porte delle stanze in affitto e glielo aveva sempre raccontato, ma lui non aveva voluto credergli. E così si fa cogliere di sorpresa, d’altra parte non è solo un ingegnere, è soprattutto un ‘poeta’.
Ma ripercorriamo in breve i fatti, che meritano di essere raccontati: dopo aver inviato un curriculum ad un dirigente di un’azienda di Oggiono il giovane viene convocato, il selezionatore però mostra di non essere interessato alla sua professionalità. Con gli occhi (bassi) sempre sul curriculum, dopo averlo ascoltato, sbotta …”noi non abbiamo peli sulla lingua, per la sua assunzione ci saranno problemi in quanto lei è del Sud e non abbiamo fiducia nei meridionali, poi – aggiunge – ma con quel cognome dove crede di andare?!”.
Eh già! Negli Anni Novanta (ma Francesco non lo sa) continua a sopravvivere nella zona un razzismo strisciante che sarà poi ulteriormente alimentato dalla Lega.
La xenofobia si lega sempre all’ignoranza e ignoranza vuol dire mancanza di conoscenza. Aldo Forbice ci spiega le origini di quel cognome, del quale dice “c’è invece da andarsene fieri per il suo significato, per la sua storia”. Scopriamo con sorpresa che Terrone ha origine dalla parola terra, e in particolare “terra ballerina”, come è la provincia di Salerno, dove è nato Francesco, terra cioè di terremoti. E che nella mitica Terronia, sbeffeggiata al Nord, in realtà vivono donne e uomini orgogliosi delle loro origini e dei loro nomi.
Un episodio che non lo farà dormire per anni, ma che sarà necessario alle scelte successive: l’umiliazione si trasformerà in sfida personale ed imprenditoriale. La reazione sarà immediata, Francesco denuncerà subito il fatto attraverso le pagine di un giornale locale, il Resegone, seguiranno lettere a personaggi come il Presidente Ciampi, il Cardinale Martini, allo stesso Bossi invierà 51 rose ‘rosse, bianche e verdi‘, per testimoniare la bellezza del tricolore. Dovrà ringraziare insomma questo squallido episodio per comprendere che una via nuova è percorribile, quella di ripartire dal Sud. Il Sud ‘può rinascere’ e la Sidelmed (con sede nella sua casa natale, a Mercato San Severino) che oggi dà lavoro a decine di giovani ingegneri, periti, tecnici, ed ha uffici in tutta Italia e nel mondo, ne è la prova.
Un’azienda nata in maniera trasparente, senza piegarsi ai ‘soliti compromessi’.
A sostenerlo, aiutarlo in questo percorso, è soprattutto la poesia (Terrone è attivo anche attraverso una Fondazione culturale ed una casa editrice, consapevole che solo la cultura possa combattere l’ignoranza e il pregiudizio).
Quattromila poesie scritte nei ritagli di tempo, nelle auto, in ufficio, nelle sale d’attesa, la poesia diventa mezzo indispensabile per autorigenerarsi e insieme strumento di denuncia sociale e di comprensione ‘scientifica’ del presente.
Il libro si legge velocemente, lo stile narrativo, scorrevole e visivo, riesce a raccontare questa avventura imprenditoriale straordinaria, trasformando un personaggio comune in un vero eroe del nostro tempo.