La vita è un albero. E ognuno dovrebbe erigere il suo. Ma spesso è più facile allargarsi e farne un cespuglio, dove nascondere quello che non si è. Molti cespugli fanno un sottobosco, che può coprire un territorio, un paese, l’identità di un popolo. L’Europa si è allargata territorialmente, invece di crescere in autorevolezza. E, come se non bastasse, ora è sommersa da ondate di profughi. Si sente una grande civiltà minacciata. Ma grande non è, perché non ha saputo elevarsi.
Far crescere il proprio albero è faticoso: ci devi appendere quanto apprendi. E poi averne cura. Un po’ come quando una volta si faceva l’albero di Natale. I gingilli si potevano rompere tra le mani prima di averli fissati, erano uno diverso dall’altro, eppure alla fine il risultato era unico e affascinante. Oggi gli alberi di Natale sono spesso monocolori e monotematici: con fiocchi oppure con biscotti oppure con cuoricini e via dicendo. E quel che è peggio ogni anno sono gli stessi e per di più sono sintetici. Finti ma figurosi come il messaggio che trasmettono.
La nostra salvezza sta nell’albero della nostra cultura, ho scritto la settimana scorsa. Vi insisterò ancora. Andate a cercare su facebook: “L’Albero Dei Libri Dell’Europa Cristiana” e, se siete d’accordo, digitate “mi piace” o “condividi”. Scrivete le vostre idee su come diffondere questa iniziativa natalizia: nelle scuole, nelle famiglie, tra gli amici. E soprattutto scrivete i titoli dei libri che vorreste appendere al vostro albero di Natale: quelli che vi hanno formato, che vi hanno lasciato un insegnamento, che hanno cambiato la vostra vita. Perché noi non abbiamo un solo libro. Noi leggiamo, elaboriamo e mettiamo in dubbio. Noi per secoli abbiamo creato la nostra cultura, il nostro pensiero, non abbiamo eseguito gli ordini di un libro che in cambio promette un paradiso di vergini, da trasformare in fattrici come in terra.
Come ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, al Corriere della Sera giovedì 26 luglio: “L’Europa non deve vergognarsi di essere cristiana. Il nostro Continente dovrebbe riappropriarsi della propria cultura che ha, nelle radici, una visione antropologica e ideale cristiana, e lo dico senza voler offendere nessuno e senza aver paura di nessuno”.
Intendo per cultura cristiana la sintesi di un processo culturale secolare che è nato e si è sviluppato nel bacino del Mediterraneo ben prima dell’arrivo di Cristo. C’erano gli dei allora, con i loro pregi e difetti, ma qualcosa ci hanno insegnato: non osare credersi dei. Chi pecca di hybris (tracotanza, eccesso, superbia, prevaricazione), viola le leggi e subirà la vendetta divina. I filosofi greci ci hanno spiegato che eravamo fatti di psiche ed eros, anima e amore, ma per trovare la propria strada dovevamo ascoltare il daìmon, ossia il proprio dio interiore, la coscienza. Arrivare a un solo dio è stato il percorso obbligato. Ma molti hanno smesso di interrogarsi sul bene e sul male. Non basta un Dio da pregare fuori di te. Bagnasco ha invocato appunto “un esame di coscienza”, perché “non si può dialogare esprimendosi solo in termini economici, politici, finanziari… c’è bisogno di più Europa”, più umanità.
Ma cosa sta succedendo in Italia se anche chi fa cultura dialoga ormai solo in termini di politica economica? La materia del contendere in questi giorni è la trentennale fiera del libro di Torino che i grandi gruppi editoriali hanno voluto spostare a Milano. Quindici prestigiose case editrici sono uscite dall’Associazione italiana editori. Nel grande problema di assenza culturale italiana sembra questa la fiera delle vanità dove i ladri di polli pensano di spennare i libri come polli, ma le penne non sono piume per fare piumini, tanto di moda oggidì. Per fame di business o di egemonia culturale, vogliono ingozzarci sempre più di indigesti polli/libri, mentre le penne sono destinate a non crescere più. Per favore, non appendete polli al vostro albero della cultura: farebbero davvero una brutta figura.
E pensare che anche quest’anno a maggio ho trascorso tre giornate entusiasmanti aggirandomi alla fiera del libro di Torino. E ho notato che gli innumerevoli visitatori avevano un’espressione felice sul volto. Come fossero in paradiso.