Col suo ultimo libro Michele Giardina riapre il “caso Floridia”, il grande ma dimenticato musicista modicano (1860-1932), la cui straordinaria attività operistica e concertistica in Europa e negli Stati Uniti viene ora ricostruita con perizia di ricercatore e “fiuto” del vero giornalista d’inchiesta. I meriti del volume sono tanti, a cominciare dalla prosa tersa e talora ammiccante o pronta a generare un’ atmosfera di “suspence”. Mi limiterò pertanto a sottolineare solo alcuni importanti elementi di novità che questo lavoro apporta alla peraltro scarsa bibliografia sul tema. Innanzitutto sulla scorta di una nuova documentazione inedita l’autore ci restituisce un graffiante affresco familiare che fa da sfondo alla formazione giovanile di Floridia e alla messa in scena a Napoli nel 1882 della sua prima opera lirica, la “Carlotta Clepier” su libretto del duca Lerma di Castelmezzana. Le bizze degli artisti, i ricatti degli orchestrali, le “camorre” dei critici locali e il “cacarello finanziario” dì papà Francesco, assediato da guappi e imbroglioni partenopei, nel saporito racconto di Giardina costituiscono lo scenario sociale di un’Italia umbertina votata alle fortune del melodramma nazionale.
Pietro Floridia rientra in Sicilia, e nella villa padronale di Aguglie tra Modica e Pozzallo si immerge per anni nello studio matto e disperatissimo della musica classica europea, filtrato dalla lezione di Wagner. Anche su questo cruciale segmento della biografia floridiana Giardina offre un contributo originale di ricerca. A Palermo nel 1890 la sua bravura e alcune opportune “entrature” politiche gli aprono le porte dei salotti aristocratici (dai Florio ai Lanza di Trabia ) e del prestigioso Conservatorio, dove però si scontra con le gelosie e le calunnie dei “maestri” rivali, a cominciare da quel Domenico Torregrossa che gli cuce addosso la diceria di iettatore. Nel 1894 al Teatro Malibran di Venezia viene rappresentata Maruzza, il suo capolavoro che lo renderà famoso in Italia, ma già lo stigma negativo comincia a perseguitarlo come una maledizione fino al punto di convincerlo nel 1904 a trasferirsi negli Stati Uniti per spezzare la catena dell’ingiusta maldicenza. Quì Floridia svilupperà per quasi un trentennio una infaticabile e creativa attività di compositore e di direzione orchestrale che gli darà ampi e meritati riconoscimenti internazionali.
La fortuna italiana di Maruzza è legata alla profonda trasformazione di contenuti e stili del melodramma italiano, che alla fine del XIX secolo abbandona i grandi personaggi storici e preferisce aderire ai moduli del verismo con scene del mondo popolare. Pur non avendo i caratteri commerciali della Cavalleria Rusticana di Mascagni, l’opera presenta una vicenda passionale ambientata nelle campagne modicane e il libretto composto dallo stesso Floridia esprime con rara forza valori morali e sentimenti dell’universo contadino esaltati da una travolgente sonorità musicale.

Giardina analizza anche il ruolo svolto dalla Casa Ricordi nel promuovere il successo di Floridia, che insieme a Puccini fu considerato per alcuni anni il più degno erede di Verdi, ma nello stesso tempo sottolinea le difficoltà di quel rapporto, le incomprensioni e la definitiva rottura di quel sodalizio culturale, attribuendone non poca responsabilità al carattere instabile e permaloso del compositore modicano. Intense e amare nello stesso tempo sono le pagine dedicate al pregiudizio di iettatore, comunemente usato nel mondo dello spettacolo come arma di vendetta personale, che ha finito per condizionare pesantemente la vita del grande musicista.
Meticolosa e documentata è soprattutto la lunga fase “americana” della vicenda umana e artistica di Floridia. Da New York a Cincinnati, dai grandi successi dei colossal Paoletta (1910) e Madame Cliquot (1913) all’esperienza fallimentare della Direzione dell’Orchestra Sinfonica, Michele Giardina ripercorre tutta la parabola complessa del musicista modicano, che non riuscì però a far rappresentare le sue opere al Metropolitan di New York per una lunga lite giudiziaria che lo inimicò col direttore Conried e con lo stesso Toscanini.
Grazie alla documentazione inedita messa a disposizione da un imprenditore “illuminato” e appassionato cultore della musica floridiana come Frank Susino, Michele Giardina ha potuto scrivere pagine decisive per far luce sulla “storia sconosciuta” di Floridia negli Stati Uniti. Qui lo accompagnarono fino all’ ultimo giorno l’impegno e il tormento di rimodulare l’impaginatura sonora e scenica di Maruzza, alla luce dell’esperienza accumulata negli USA come direzione orchestrale e registrazione fonografica. Ne nacque così Malia, ultima versione del suo capolavoro, che ancora oggi aspetta di essere messa in scena per onorare la memoria di uno dei maggiori artisti della musica contemporanea.