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August 24, 2014
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August 24, 2014
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Rileggere l’Orwell di “1984” pensando al nostro 2014

Marco PontonibyMarco Pontoni
Time: 6 mins read

Gheddafi è stato amico degli italiani. Ricordate? Era il 2010, venne in visita a Roma, il premier Silvio Berlusconi lo accolse con un baciamano, si piazzò con la sua tenda e le sue amazzoni a Villa Pamphili, il nostro paese aveva firmato con la Libia un accordo di amicizia.

Gheddafi è stato nemico degli italiani. Ricordate?  Era il 2011, l’Italia prese parte, con altri alleati della Nato, all’offensiva militare che mise fine al suo regime e condusse alla stessa morte del Raìs.

Nel 2011? Ma come? Solo un anno dopo essere stato accolto con tutti gli onori a Roma? 

Sì. E’ andata così.  Baciamani nel 2010, bombardamenti nel 2011. E nessuno che ce lo abbia spiegato molto bene.

D’accordo, questa volta l’abbiamo presa alla larga. Del resto, qui in ballo c’è nientemeno che 1984 di  George Orwell. L’ho scritto la volta scorsa: per qualche settimana, parlerò di classici, quelli che ho letto o riletto quest’estate. Ma ammetterete che 1984 è una sfida da far tremare i polsi. Quel romanzo è costantemente in testa alle classifiche dei libri più letti in assoluto. Lasciamo stare che sia anche in testa alle classifiche dei libri che si dichiara di avere letto per fare bella figura, quando magari non si è riusciti ad andare oltre pag. 5. Orwell è Orwell. E questo libro ha ispirato film, canzoni, lavori teatrali, fumetti, reality show,  ogni cosa.

Insomma, se si vuol parlare di 1984, non basta raccontarne la trama. Come minimo, bisogna fare lo sforzo di chiedersi se e perché è ancora attuale. E se no, perché no.

Cominciamo col dire che Orwell, nel 1946, quando iniziò a scrivere il suo capolavoro, aveva in mente soprattutto il comunismo. Pur essendo stato a sua volta socialista, Eric Arthur Blair – questo il vero nome, nato nel 1903 in India, in una famiglia di funzionari coloniali, studente povero nell’Inghilterra iperclassista dell’epoca, poi ufficiale in Birmania, poi ancora, vagabondo senza un soldo fra Parigi e Londra – aveva sperimentato in prima persona l’orrore dello stalinismo: in Spagna, durante la Guerra civile, dove aveva militato nel Poum, partito trotzkista, alleato agli anarchici e inviso a Mosca. Chi vuol sapere che fine fecero quelli del Poum dovrebbe leggersi un altro romanzo, Il tuo volto domani, dello spagnolo Javier Marìas. Scoprirà ad esempio che uno dei leader del partito, Andrés  Nin, venne imprigionato per ordine di Stalin, e torturato fino alla morte (scuoiato vivo, si dice). Tutto questo alla vigilia del crollo della Repubblica e dell’avvento della dittatura fascista del generale Francisco Franco (tanto per dire dell’istinto autolesionista che ha sempre caratterizzato la sinistra mondiale).

Ma Orwell non intese semplicemente denunciare le aberrazioni del comunismo  di impronta sovietica. La sua ambizione era più vasta. Nel romanzo si analizza ad esempio cosa si può fare con ciò su cui letteralmente si fonda ogni costruzione sociale, ovvero il linguaggio.  Nell’Oceania, uno dei tre macrostati in cui il mondo è diviso nell’antiutopia orwelliana, governato dal Socing, o Socialismo Inglese, è in vigore la neolingua, una lingua che ha inventato parole nuove e regole nuove per esprimere nuovi concetti e forgiare dal nulla nuovi schemi mentali, e che ha eliminato al tempo stesso una quantità enorme di parole e regole appartenenti all’archeolingua,  quella in cui le persone si esprimevano prima della Gloriosa Rivoluzione.

La neolingua è, assieme alla psicopolizia e alla costante riscrittura del passato, il pilastro su cui poggia il regime del Grande Fratello. E’ una lingua che ha come obiettivo finale la pulizia psichica: mira a rendere persino impossibile la formulazione di pensieri sgraditi o contrari all’ideologia del Partito, e  al tempo stesso rende perfettamente credibili i tre slogan assurdi del Socing, ovvero:  La guerra è pace; La libertà è schiavitù;  L’ignoranza è forza.

Questa attitudine ad un pensiero, e a una comunicazione, che non sono più tali, fa sì che le persone accettino senza fare una piega  l’alterazione continua e costante del passato (il protagonista del romanzo, Winston Smith, è appunto addetto alla riscrittura di articoli di giornale e parti di libri che non si accordano con le verità professate dal Partito in quel preciso momento) e persino i cambiamenti di rotta più grotteschi. Fantastico a questo proposito il brano in cui un oratore sta arringando la folla contro il nemico dell’Oceania, l’Eurasia, ma all’improvviso gli viene passato un biglietto che evidentemente lo informa di un ribaltone nelle alleanze internazionali, al che l’oratore, senza nemmeno cambiare il tono di voce, senza  denunciare la benché minima esitazione,  comincia a scagliarsi contro l’Estasia. Ma i manifesti che ornavano la piazza sono ancora  lì, e tutti possono vedere che il nemico di cui parlano è l’Eurasia, non l’Estasia. Quale può essere la spiegazione? Naturalmente una sola: “Sabotaggio!”.

Insomma, la denuncia di Orwell, anche se calibrata sulla dittatura che era sopravvissuta al secondo conflitto mondiale, abbraccia nella sua visione disperata tutti i regimi totalitari che vede delinearsi nel futuro prossimo. Ed è di questo che, in definitiva, è chiamato ad interrogarsi il lettore del 2014. Sarà un esercizio un po’ scolastico, ma non è forse vero che non lasciamo mai del tutto i banchi di scuola?

Dunque: posto che il mondo non è ancora diviso in Oceania, Eurasia e Estasia, dove li vediamo i germi del Socing, oggi?  In Corea del Nord? Beh, sì, fin troppo facile. In Cina? Forse, anche se quel paese marcia a ritmi accelerati verso obiettivi sempre più ambiziosi di sviluppo economico e accumulazione di ricchezza, mentre la società del Grande Fratello è per l’80% composta da prolet. 

E nei territori conquistati dall’Isis? Probabilmente anche lì, per quanto nella distopia dell’autore inglese il fine ultimo sia il potere, il potere per il potere, il potere del Partito, mentre nei regimi teocratici è il potere per Dio, perché trionfi il disegno divino, perché trionfino le verità del Libro e gli eretici brucino.

Ma sono le situazioni più sfumate, meno plateali, a metterci in difficoltà.  1984 ha qualcosa da dire anche a chi abita in quella parte di mondo governata, per ora, da sistemi democratico-liberali? Oppure no? Oppure qui siamo al sicuro, e dobbiamo semmai solo difenderci dal nemico esterno? 

Personalmente, penso che se c’è un anello, della catena dove sembra di scorgere una debolezza strutturale, se c’è un aspetto, delle nostre democrazie, che appare più scivoloso, più opaco, insomma, più difficile da definire, da chiarificare…con che cosa? Con il linguaggio, naturalmente, è il linguaggio la chiave del controllo (in Orwell e più tardi in Burroughs).  Se c’è insomma  un fatto, concreto, oggettivo, tangibile, di cui facciamo fatica a parlare, a me pare sia – oggi come ieri – la guerra. 

La guerra è il territorio ambiguo e di confine dove le parole mutano il loro significato, e a volte, quando ne parliamo, ci sembra di avere in bocca una sorta di strana, un po’ disgustosa neolingua.  Guerra giusta, guerra sbagliata. Guerra per interposta persona, guerra santa, guerra laica e guerra per la difesa dei propri confini, anche quando sono ingiusti, quando rinchiudono altre persone in un ghetto. Guerra “mai più”, come si strilla nelle celebrazioni per il centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale. Guerra che ci siamo rifiutati  di combattere, a Srebrenica, o in Ruanda, e ne sono scaturiti genocidi. E guerra che abbiamo combattuto proprio noi democrazie, e ha portato ad altra guerra, come in Iraq, come in…Libia, certo. Per questo siamo partiti da Gheddafi. Da un amico a cui abbiamo baciato le mani divenuto,  in meno di un anno, un nemico da bombardare e fare a pezzi, proprio come nel comizio orwelliano. 

Eurasia. Estasia. Il fine ultimo della guerra, spiega ad  un certo punto a Winston il suo persecutore, O’Brien, quello che lo torturerà fino a spezzarlo, fino a ridurlo ad un rottame umano che si ubriaca al bar del Castagno (1984 è spietato, uccide ogni speranza), non è la sconfitta del nemico, che in sé non è neanche desiderabile. E’ impedire che le cose cambino. 

C’è qualcosa che dobbiamo chiederci, noi uomini liberi, oggi, qui, nel 2014, dopo avere letto 1984?

 


In Italia 1984 è stato pubblicato in prima edizione nel 1950 da Mondadori. Negli Stati Uniti la prima edizione, del 1949, è stata pubblicata da Harcourt Brace and Company.

 

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Marco Pontoni

Marco Pontoni

Sono nato in Sudtirolo 50 anni fa, terra di confine, un po' italiana e un po' tedesca. Faccio il giornalista e ho sempre avuto un feeling per la narrazione. Ho realizzato video e reportages sulla cooperazione allo sviluppo in varie parti del mondo. Finalista al Premio Calvino, ho pubblicato il romanzo Music Box e, con lo pesudonimo di Henry J. Ginsberg, la raccolta di racconti Vengo via con te, tradotta negli USA dalla Lighthouse di NYC con il titolo Run Away With Me. Ho da sempre una sconfinata passione per gli autori americani, Lou Reed, l'Africa, la fotografia, i viaggi e camminare.

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