Anche a 80 anni si può rinascere. Lo dimostra il nuovo libro del drammaturgo Mario Fratti, Diario proibito. L’Aquila anni Quaranta. Un libro che è un esordio non soltanto perché è la prima opera letteraria di un autore che ha firmato più di 90 testi teatrali, ma anche perché rende pubblico un Mario Fratti inedito. Quando uno scrittore costruisce un suo alter ego e lo rende protagonista di un romanzo è facile che cada nell’auto-celebrazione o, per lo meno, nell’auto-indulgenza. Ma Mario Fratti con i sentimenti e le piccolezze degli uomini gioca da sessant’anni nei suoi testi teatrali che mai si nascondono dietro perbenismi borghesi. E non ha paura di mostrare anche le sue di debolezze.
Uscito la scorsa estate per Graus Editore, questo non è un libro nuovo. Fratti lo ha scritto infatti appena ventenne, in un’Italia che voleva così tanto lasciarsi alle spalle il fascismo che scelse di dimenticare e di assolvere tutti, sfumando i confini tra buoni e cattivi con una pennellata di disimpegno e benessere. Scritto e poi dimenticato. Messo da parte, così come da parte Fratti aveva messo il desiderio di scrivere libri per dedicare invece il suo talento al teatro, a una scrittura più immediata che, con l’arrivo a New York nel 1963 e la scelta dell’Inglese come lingua delle sue opere, si era fatta sempre più diretta, asciutta, precisa e concisa. Ma quel libro era destinato a tornare e dal giorno in cui l’autore, quasi per caso, ritrovò quel manoscritto che aveva scordato e, sorpreso della sua stessa scrittura, ne parlò con l’amico editore, passarono pochi mesi prima che Diario proibito arrivasse nelle librerie italiane.
Ora il libro viene presentato anche a New York dove, a inizio marzo, ha avuto una calorosa accoglienza all’Istituto Italiano di Cultura, alla presenza del nuovo direttore, Giovanni Desantis, del console generale, Natalia Quintavalle e del docente Francesco Bonavita che ha introdotto il libro di Fratti.
Diario Proibito è la storia di un codardo che non ha avuto la forza di passare dalla parte dei giusti e sedicenne, aveva aderito senza convinzione al fascismo e a Salò. Un vigliacco che a guerra conclusa, prova vergogna per quel diario di memorie ritrovato in una valigia, che gli spiattella in faccia l’orrore di cui si era reso complice e gli ricorda le nefandezze del regime, le prevaricazioni fini a se stesse, le umiliazioni e le violenze.
La vergogna è il sentimento che anima le pagine del libro, come un filo rosso che dalla finzione riporta alla realtà. La realtà è quella autobiografica dell’autore che confessa di essere stato da sempre tormentato dal pensiero di non avere avuto il coraggio, quando ancora giovanissimo viveva nella sua Aquila fascista, di unirsi ai partigiani e combattere il regime.
Il Mario della vita reale, il Fratti drammaturgo che ha affrontato in tante suo opere importanti temi sociali, non è mai stato fascista e, anzi, ha sempre avuto forti sentimenti libertari. Ma il protagonista di Diario proibito, coetaneo, concittadino e omonimo dell’autore, sembra essere un’immagine riflessa di Fratti. Quella parte nascosta di noi che vediamo con la coda dell’occhio in uno specchio deformante e che vorremmo subito dimenticare. Ma che Fratti ha scelto di riportare alla luce, 60 anni dopo, trovando quel coraggio che non aveva avuto da adolescente, il coraggio di confessarsi e di riscattarsi, attraverso la storia di un vigliacco. Non è Mario Fratti quel personaggio, ma nella scelta del nome, che l’autore giustifica con un semplice “mi piace il nome Mario” sembra esserci il desiderio di pagare tributo a quei partigiani che non ebbe il coraggio di seguire. Tanto che, in appendice al libro, Fratti ha inserito un testo teatrale dal titolo Martiri, dedicato ai nove martiri aquilani, giovanissimi amici dell’autore che partirono per andare in montagna, per unirsi alla resistenza e che vennero trucidati. “Per lungo tempo sono stato geloso e ho fantasticato sulle loro avventure. Solo alla fine della guerra venimmo a sapere che erano stati uccisi e seppelliti non appena avevano lasciato la città” ha raccontato Fratti in occasione della presentazione all’Istituto di Cultura.
Che sia la confessione di un intero paese? C’è un senso di resa dei conti di una coscienza collettiva che si è a lungo fatta attendere. “La mia è la confessione di un codardo. Non sono l’eroe, sono un piccolo uomo che non ha saputo affrontare la realtà. E per anni ho provato vergogna per aver scelto il nido, il calore comodo della famiglia invece che ribellarmi”. Ma questo libro segna l’inizio di una seconda vita, lo dice lo stesso Fratti. Il riscatto viene dal coraggio di mostrare quel lato di sé che nessuno vorrebbe mai rivelare.
Dicono che un giornalista non dovrebbe scrivere dei propri amici, se vuole fare bene il suo mestiere. E Mario Fratti è un amico, oltre che rubrichista de La VOCE. Ma Mario mette talmente tanto di sé in quello che fa che non c’è bisogno delle parole di nessun altro per raccontarlo, bastano le sue.